Chi ha inventato il parto in acqua?
L’uso dell’
acqua nel corso del travaglio e del parto ha radici nella storia degli anni ’60 del secolo scorso, quando il medico russo Igor Charkovskij ne intuì i
benefici per la
mamma e per il
neonato. Fu nel decennio successivo che in alcuni ospedali italiani cominciarono ad essere introdotte le vasche per effettuare il
parto in acqua, oggi disponibile in numerose strutture sul territorio.
I
costi del parto in acqua dipendono dalla
struttura selezionata per la nascita. Se si tratta di un ospedale del servizio sanitario, la prestazione è offerta
gratuitamente; se la clinica è privata e non convenzionata, la prestazione è a carico della partoriente, con
costi variabili.
Perché si fa il parto in acqua: quali benefici
La permanenza in acqua permette alla mamma di ottenere un effetto di
rilassamento della
muscolatura (in particolare del pavimento pelvico) e di sollievo dal dolore senza l’utilizzo di antidolorifici (limitando quindi il riscorso all’epidurale). Tale effetto è promosso dalla riduzione della
sintesi di
cortisolo e
adrenalina (ormoni associati allo stress) e dallo stimolo della sintesi di endorfine (sostanze legate alle sensazioni di benessere) e, complessivamente, consente un’accelerazione del travaglio. Inoltre, l’ambiente acquatico genera un’azione di idratazione e ammorbidimento dei tessuti che
abbassa il rischio di
lacerazioni vagino-perineali al momento del parto. La
donna è, inoltre, più libera di muoversi in acqua e facilitata nel movimento.
L’acqua permette anche un
miglioramento della circolazione fetale e rappresenta un
medium in grado di offrire un
passaggio più
graduale e
meno traumatico alla vita extrauterina. Il fatto che l’ambiente acquatico sia riscaldato contribuisce a mantenere la temperatura corporea del neonato a livelli fisiologici, prevenendo l’ipotermia. Il neonato non rischia di annegare perché non respira ancora spontaneamente, ma continua a ricevere ossigeno attraverso i vasi sanguigni del cordone ombelicale: comincerà a respirare in autonomia quando affiorerà in superficie.
Malgrado la correlazione con un buon numero di benefici, è utile che la donna che intende partorire in acqua affronti un
colloquio preventivo con il
Ginecologo al fine di essere informata precisamente su tutti i rischi a cui può andare incontro. Tali approfondimenti dovrebbero riguardare anche il fatto che non esistono studi scientifici sufficienti a supportare (o scoraggiare) il fatto che la fase espulsiva del bambino sia realizzata in acqua.
Quando è indicato e quando non si può fare
Il
parto in
acqua è indicato quando la
gravidanza è
singola e a termine ed è disponibile nella struttura scelta per la nascita tutta la strumentazione necessaria e il personale adeguatamente formato per garantire un’assistenza personalizzata.
È
controindicato quando il parto è
pretermine o la mamma ha già avuto una
pregressa emorragia post partum. Non è indicato anche nei casi in cui la donna abbia febbre (il bambino può andare incontro a ipertermia fetale), sanguinamento vaginale o abbia scelto la parto-analgesia o sia stato necessario indurre il parto con ossitocina. Non è possibile effettuare in parto in acqua se è necessario istituire un monitoraggio cardiaco-fetale e non è disponibile una strumentazione subacquea.
I medici sconsigliano il parto in acqua anche quando la donna è affetta da un’infezione vaginale da streptococco beta-emolitico di gruppo B (SGB), il neonato si presenta in modalità podalica o la gravidanza è gemellare.
Come funziona e come vestirsi
Nella fase di
travaglio attivo, quando sono presenti contrazioni regolari ed efficaci, la donna viene invitata ad immergersi in una vasca di acqua di forma e dimensioni diverse ad una temperatura variabile e precedentemente concordata ma comunque inferiore ai 38°C (la temperatura consigliata è 33-37°C).
Il livello dell’acqua è
uguale o superiore ai 60 centimetri, per consentire il galleggiamento e il movimento.
Dopo il disimpegno delle spalle, viene facilitata la risalita del piccolo verso la superficie e la sua sistemazione in teli caldi già predisposti accanto alla vasca. Il neonato viene poi posto sull’addome materno, con il resto del corpo ancora immerso. Il
secondamento (espulsione della placenta)
avviene al di
fuori della
vasca.
La donna può scegliere se indossare la parte superiore del bikini oppure se restare nuda per essere completamente libera nei movimenti.