Infarto miocardico acuto: come scegliere la struttura sanitaria?
Per l’infarto miocardico acuto il Ministero della Salute indica:
- Il numero di ricoveri effettuati dalla struttura presa in considerazione, indice di esperienza della struttura nel trattare questa patologia;
- La percentuale di mortalità entro un mese dal ricovero, indice di efficacia;
- La percentuale di pazienti sottoposti ad Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea (PTCA) entro 48 ore dal ricovero, indice di appropriatezza delle cure prestate.
In particolare, è preferibile optare per strutture che effettuino almeno
100 ricoveri l'anno, che abbiano una sopravvivenza a 30 giorni dal ricovero
superiore al 92% e che in caso di infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) effettuano l’angioplastica (PTCA) entro 90 minuti dall’ingresso in ospedale in almeno il
60% dei ricoveri.
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Infarto miocardico acuto: che cos'è?
L’infarto miocardico acuto è la morte di una parte del muscolo cardiaco (miocardio) dovuto nella maggior parte dei casi ad un ridotto apporto di sangue e ossigeno alle coronarie (ovvero i vasi che irrorano il cuore). Le coronarie sono due, la destra nutre la parte destra del cuore (atrio e ventricolo destro), la coronaria sinistra nutre l’atrio sinistro e il ventricolo sinistro. Lungo il loro tragitto, le coronarie danno origine a varie ramificazioni e biforcazioni per raggiungere le porzioni più lontane del cuore.
La cardiopatia ischemica è una malattia che colpisce le coronarie, incapaci di apportare sangue ed ossigeno al cuore a causa di un restringimento progressivo. Il diametro delle arterie, a causa della patologia, tende a diminuire nel tempo fino ad arrivare a una condizione in cui il cuore, o parte di esso, non riceve più il sangue necessario al suo corretto funzionamento (ischemia), determinando a lungo andare la morte delle sue cellule (infarto o necrosi). Questo accade soprattutto quando il cuore ha bisogno di un apporto maggiore di ossigeno e sostanze nutritive, ad esempio durante le attività sportive o condizioni di stress importanti. Avendo un calibro sensibilmente ridotto, le coronarie non riescono a fornire la giusta quantità di sangue e il tessuto cardiaco va incontro a ischemia e necrosi.
Infarto miocardico acuto: cause
La causa principale e più frequente delle placche che ostruiscono le arterie coronarie è l’aterosclerosi, ovvero l’accumulo di colesterolo all’interno dei rami coronarici principali. Più raramente le coronarie si restringono per spasmi (restringimenti improvvisi) senza causa apparente (alcune droghe eccitanti come la cocaina facilitano lo spasmo delle coronarie) oppure per trombosi coronarica acuta, ovvero la ulcerazione di una placca aterosclerotica e la formazione di un accumulo di piastrine sopra la placca ulcerata con occlusione improvvisa e completa del lume coronarico.
I fattori che però contribuiscono più comunemente alla formazione dei depositi di colesterolo nelle coronarie, e che rappresentano i fattori di rischio da combattere per evitare gli infarti, sono:
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Elevati livelli di colesterolo, trigliceridi e LDL nel sangue;
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Sedentarietà e la poca attività fisica;
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Stress;
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Uso o abuso di droghe.
Infarto miocardico acuto: sintomi
Il sintomo caratteristico è l’angina, caratterizzato da un senso di dolore e oppressione al petto, che può migrare al collo, braccio sinistro, spalle, denti e mandibola, schiena e all’addome all’altezza dello stomaco e del fegato. Il dolore toracico è molto forte e di solito dura più di 20 minuti senza interruzioni. Possono associarsi nausea e vomito, mancanza del respiro, sudorazione profusa. In rari casi può succedere che l’ischemia o l’infarto non producano questa sintomatologia e siano silenti.
Nelle donne le manifestazioni possono essere differenti e la sindrome coronarica acuta può manifestarsi come faticabilità, nausea, mancanza di respiro e non con la classica sintomatologia anginosa.
In ogni caso i sintomi sopra descritti rappresentano un campanello d’allarme che deve suggerire di raggiungere il pronto soccorso il più velocemente possibile. Le conseguenze dell’infarto, in caso di ritardo nella diagnosi e nella terapia, dipendono dalla grandezza della zona colpita e dalla posizione, ma possono essere drammatiche: gravi alterazioni del ritmo cardiaco (aritmie come la pericolosa fibrillazione ventricolare), insufficienza o scompenso cardiaco (il cuore non pompa più il sangue in modo ottimale fino allo shock), rottura di cuore (lacerazioni subite dal tessuto cardiaco), valvulopatie (problemi alle valvole che separano le 4 camere del cuore). Tutte queste sequele possono portare alla morte.
Durante la
visita cardiologica, spesso può essere indicato un esame di induzione dell’ischemia cardiaca mediante
test ergometrico (test da sforzo con bicicletta o tappeto). Mentre la
scintigrafia miocardica e la
risonanza magnetica cardiaca vengono prescritte per valutare il grado di danno miocardico dopo infarto e misurare le zone di muscolo cardiaco che sono ancora vitali e pertanto recuperabili se trattate con terapia chirurgica.
Infarto miocardico acuto: diagnosi
Per fare diagnosi di coronaropatia è necessaria l’esecuzione di prelievi ematochimici specifici, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma. In caso di diagnosi accertata si rende necessaria la
coronarografia, ovvero un esame che si esegue attraverso l’introduzione di un catetere a livello del braccio (arteria radiale) o più raramente a livello inguinale (arteria femorale comune) Il tubicino giungerà nelle coronarie dove inietterà il mezzo di contrasto che consentirà di vedere le eventuali occlusioni e restringimenti che, contestualmente, verranno trattati con dilatazione mediante palloncino medicato (con farmaci antiproliferativi) ed impianto di stent medicati che prevedono la successiva assunzione di doppia terapia antiaggregante piastrinica. Le linee guida raccomandano di trattare la lesione coronarica che sta causando l’infarto miocardico acuto e, se vengono diagnosticati altri restringimenti coronarici che non stanno dando sintomatologia, è opportuno trattarli in un secondo momento o mediante
angioplastica coronarica con stent o attraverso interventi di cardiochirurgia che prevedono la rivascolarizzazione coronarica chirurgica mediante
bypass coronarico; ciò avviene in caso di patologie coronariche con malattia diffusa o in caso di concomitanti patologie valvolari (solitamente a carico della valvola mitrale, tricuspide e/o della valvola aortica).
L’intervento di bypass coronarico viene eseguito quando l’angioplastica non è risolutiva. L’intervento consiste nel costruire un condotto vascolare che porti sangue al cuore superando la zona di coronaria stenotica. Si tratta di procedure che prevedono l’anestesia generale, la ventilazione meccanica, l’apertura del torace e, a seconda della tecnica scelta, l’uso o meno della circolazione extracorporea. Di solito si utilizza un’altra vena o arteria o una parte di esse per creare un ponte tra il segmento a monte e quello a valle dell’arteria coronaria chiusa. In questo modo il sangue non passerà più dalla zona ostruita ma fluisce nel nuovo percorso a ponte. Nell’ultima decade si è ampliato l’utilizzo del robot DaVinci anche per gli interventi di chirurgia coronarica. In tal caso, il torace resta chiuso e si accede alla cavità toracica solo attraverso piccoli fori. Infine esiste la possibilità di effettuare bypass coronarici in minitoracotomia sinistra ma solo pochi centri in Italia effettuano tali approcci. L’intervento cardiochirurgico consente di correggere contemporaneamente patologie valvolari conseguenti la cardiopatia ischemica (insufficienza valvolare mitralica da dilatazione dell’anello mitralico) e/o altri vizi valvolari cardiaci presenti.
Va infine sottolineato che esiste una patologia del microcircolo coronarico nota con l’acronimo MINOCA (Myocardial Infarction with Non-Obstructive Coronary Arteries), è una condizione in cui i pazienti presentano sintomi di infarto del miocardio, ma l'angiografia coronarica mostra arterie coronarie non ostruite significativamente. In tali casi, la terapia è solo farmacologica.