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Rivascolarizzazione carotidea con stenting e angioplastica: come scegliere la struttura sanitaria?
Per l’intervento chirurgico di rivascolarizzazione carotidea con stenting e angioplastica il Ministero della Salute fornisce il numero di interventi effettuati in un anno dalla struttura presa in considerazione, indice di esperienza dell’ospedale.
 
Approfondisci l'indicatore relativo al numero di interventi chirurgici di rivascolarizzazione carotidea con stenting e angioplastica.
 
Che cos’è
Le arterie carotidi sono i vasi arteriosi che nascono direttamente dall’arco aortico e portano il sangue arterioso al cervello (arterie carotidi interne) e alla faccia (arterie carotidi esterne). Le due arterie carotidi interne, insieme alle due arterie vertebrali che nascono dalle arterie succlavie, costituiscono i quattro pilastri dell’irrorazione cerebrale. Il fumo di sigaretta, la displipidemia (colesterolo LDL e trigliceridi alti), il diabete (la glicemia e l’emoglobina glicata alta), sono le cause di formazione delle placche aterosclerotiche che progressivamente si stratificano nel lume delle arterie causandone la riduzione del diametro e la progressiva calcificazione e occlusione. Nel tempo la placca tende ad indurirsi e occludere le arterie, fino a restringerla significativamente. Si tratta di una malattia grave che determina una ostruzione nell’afflusso di sangue alla testa e può predisporre allo sviluppo di un ictus che è l’infarto del cervello. Infatti la mancanza di sangue per più di qualche minuto causa la morte delle cellule del cervello. Le conseguenze saranno danni cerebrali permanenti e disabilità (paralisi, cecità, problemi nel parlare o nell’eseguire semplici attività quotidiane) a seconda della zona del cervello colpita. L’arteriopatia carotidea è una delle principali cause di ictus nei Paesi occidentali. In alcuni casi la placca si può rompere e un suo frammento staccarsi per poi viaggiare nel circolo sanguigno e incastrarsi in altri punti del sistema sanguigno.
 
Sintomi dell'ostruzione della carotide
L’ostruzione della carotide non determina tendenzialmente sintomi finché il restringimento non è grave. In alcuni soggetti, l’ictus è la prima manifestazione della malattia. Altri sintomi possono essere vertigini o problemi di equilibrio, disturbi visivi come visione offuscata o doppia, difficoltà a parlare o muoversi, difficoltà a deglutire, paralisi di un arto, confusione mentale improvvisa, disorientamento o perdita di coscienza.
 
Diagnosi di arteriopatia carotidea
Per la diagnosi di arteriopatia carotidea basta un ecocolordoppler carotideo, ed eventualmente un'angio-TC dei vasi del collo. Prima della procedura, il paziente è comunque sottoposto a una visita accurata che comprende la raccolta di tutti i dati concernenti la sua salute.
 
Quando si fa
Al fine di evitare la formazione della trombosi su placca, l’embolizzazione delle placche colesteriniche, la progressiva calcificazione delle placche con conseguente occlusione delle carotidi, vengono attuate una serie di strategie mediche e chirurgiche in base al grado di ostruzione.
La terapia medica prevede l’eliminazione dei fattori di rischio (stop fumo, riduzione del colesterolo, dei trigliceridi e degli zuccheri con la dieta e l’attività sportiva quotidiana e regolare), la prescrizione di farmaci ipolipemizzanti e ipoglicemizzanti, la prescrizione di antiaggreganti piastrinici per rendere più fluido il sangue ricordando sempre che il sangue è composto di acqua quindi ricordandosi che bisogna bere almeno 2 litri di acqua al giorno come primo farmaco. Qualora, invece, si siano formate placche di qualsiasi genere che hanno causato attacchi ischemici transitori cerebrali oppure ictus ischemici, le placche vanno rimosse pertanto si procede all’intervento chirurgico vascolare di tromboendoarteriectomia carotidea o, se le condizioni anatomiche o cliniche del paziente rendono proibitivo l’intervento chirurgicosi può ricorrere all’impianto endovascolare di stent carotidei.
Qualora, infine, si siano formate placche che ancora non hanno causato danni cerebrali noti, si effettuano controlli diagnostici a cadenza annuale con gli esami ecocolordopplergrafici dei tronchi sopra aortici attraverso cui si definisce la morfologia delle placche, il grado di stenosi, l’incremento di velocità del flusso ematico che la stenosi causa. Le linee guida internazionali al momento indicano l’intervento chirurgico in caso di stenosi del vaso maggiore del 70% con accelerazione del flusso superiore a 240 cm/s all’esame Doppler.
Lo stent carotideo ha indicazione a essere preferito all’intervento chirurgico tradizionale se il collo del paziente è ostile (collo tozzo, corto, con pregressi interventi laterocervicali di otorinolaringoiatria che abbiano causato aderenze, collo che sia stato sottoposto a cicli di radioterapia), oppure se la stenosi carotidea è parzialmente o totalmente nel tratto di carotide interna intracranica (decorso non aggredibile con il taglio chirurgico), oppure se le condizioni cliniche del paziente sono così gravi e compromesse da renderlo non in grado di sopportare un intervento chirurgico (in tal caso va bene valutata la necessità dello stent perché un paziente in condizioni critiche potrebbe non beneficiare nemmeno dell’impianto di uno stent che si configurerebbe come un overtreatment o eccesso di trattamento rispetto alla sola terapia medica).
 
Preparazione all’intervento
La pianificazione dell’intervento avviene in base all’anatomia del vaso e all’altezza e lunghezza della lesione. Gli esami pre-operatori generalmente effettuati sono gli esami ematochimici, il radiogramma del torace, l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma trans toracico e una angioTC dei tronchi sopra aortici e del circolo intracranico.
 
Come si svolge l’intervento chirurgico
La rivascolarizzazione carotidea con stenting e angioplastica è una procedura non invasiva diffusamente consolidata nella pratica medica che consente di pulire e liberare le arterie carotidi da accumuli di grasso che ostacolano il passaggio del sangue. Viene eseguita tramite l'introduzione nell’inguine di una piccola cannula in anestesia locale che permette, sotto la guida di immagini radiografiche, il posizionamento di cilindri metallici (stent) che dilatano le arterie in modo permanente. Lo stent viene rilasciato nella parte del vaso sanguigno soggetta a restringimento per evitare che torni a occludersi. Qualora le arterie femorali siano entrambe non utilizzabili (calibro piccolo, calcificazioni), si può effettuare l’angiografia e l’impianto dello stent attraverso l’arteria brachiale. L’arteria radiale invece è preferibile non utilizzarla dato il calibro dei dispositivi da impiantare. Gli stent possono essere a maglie aperte, a maglie chiuse o ibridi. La scelta viene effettuata in base alla morfologia della placca, al diametro del vaso e alla lunghezza della placca da trattare. Dopo la procedura, l’introduttore posizionato in arteria femorale (o brachiale) viene estratto e viene applicata una medicazione compressiva volta ad evitare il sanguinamento arterioso massivo. La manutenzione dello stent prevede generalmente la doppia antiaggregazione piastrinica in via prudenziale per almeno sei mesi.
L’intervento endovascolare viene effettuato in sala angiografica o in sala ibrida (sala operatoria con angiografo incorporato). Può essere effettuato dai chirurghi vascolari, dai radiologi interventisti, dai cardiologi emodinamisti (al momento non vi è una disciplina assoluta che definisca rigidamente il territorio di competenza).
 
Rischi e complicanze
Lo stenting carotideo non rimuove la placca determinante la stenosi, si limita a schiacciarla contro le pareti del vaso, ampliando momentaneamente il lume, pertanto non è un intervento definitivo. Lo stent può determinare accelerazione di flusso nelle sue regioni estreme dovuto a una non ottimale apertura. A volte, se mal posizionato, può essere necessario ricorrere all’intervento chirurgico di rimozione dello stent. Nel perioperatorio può formarsi uno pseudoaneurisma femorale o brachiale. Può esserci un sanguinamento dall’accesso percutaneo femorale o brachiale che può richiedere l’intervento chirurgico per la riparazione chirurgica della breccia. Le complicanze più gravi sono gli ictus e gli attacchi ischemici transitori. Più raramente potrebbero verificarsi perdita di coscienza, difficoltà respiratorie, nausea o problemi renali legati all'uso del mezzo di contrasto per la guida della cannula. Se viene somministrato molto mezzo di contrasto o se la funzionalità renale del paziente non è ottimale, può verificarsi una nefropatia acuta da mezzo di contrasto.
 
Cosa succede dopo l’intervento
Il ricovero ospedaliero tendenzialmente dura 1-2 giorni dopo l’intervento. Non ci sono ferite chirurgiche. Dopo 30 giorni, 6 mesi e 12 mesi va effettuato un controllo ecocolorDoppler per monitorare il flusso del vaso trattato. Contestualmente viene prescritta una terapia farmacologica che prevede l’uso di doppia antiaggregazione piastrinica, eventuali farmaci antipertensivi, ipocolesterolemizzanti, ipotrigliceridemizzanti e ipoglicemizzanti (a seconda dei fattori di rischio di ciascun individuo). Si ricorda che il fumo di sigaretta è causa primaria di arteriopatia obliterante quindi deve essere sospeso qualora esso sia presente nella storia del paziente.
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