Nascite: solo il 44% delle strutture in Italia è sopra gli standard ministeriali in termini di volumi dei parti e solo il 2,4% negli ultimi 5 anni ha superato la soglia minima
L'analisi è stata realizzata sulla base dei dati provenienti dal PNE gestito da AGENAS. Tra le criticità emerse, anche le scarse performance per i parti naturali rispetto ai più costosi cesarei
I punti nascita che in Italia
superano la soglia minima dei 500 parti naturali effettuati in un anno sono meno della metà (44%) del totale delle strutture con sale parto (581). A ciò si aggiunge anche il saldo negativo tra i punti nascita che negli ultimi cinque anni (2018-2022) sono andati
sopra soglia in termini di volumi (2,4%) – rispettando gli standard ministeriali - e quelli che, inizialmente performanti,
hanno ridotto il numero (6,9%).
I dati provenienti da fonti ufficiali del Ministero della Salute e del Programma Nazionale Esiti (PNE) gestito da AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), sono stati da noi raccolti e analizzati. Le performance sono misurate sulla base degli standard nazionali di riferimento.
I punti nascita sotto soglia
Nella mappatura rientrano anche altre casistiche, indicative di una situazione preoccupante dal punto di vista dei volumi dei parti naturali. In relazione al totale dei
581 punti nascita, la quota di quelli che sono
rimasti sempre sotto soglia negli ultimi cinque anni sfiora il 10% (9,8%), a dimostrazione del perdurare di una situazione di stallo gravosa da più punti di vista. Ancora più alto il trend che riguarda quei punti nascita che, perdurando sotto soglia,
hanno scelto di chiudere (14%). Meno impattante in percentuale, ma grave in termini di perdurante instabilità, la quota di quei punti nascita che, pur performando sopra soglia,
oggi risultano chiusi (11,1%).
“In una situazione di contrazione pressoché cronica del numero di nascite ogni anno in Italia, può risultare tutto sommato accettabile il basso numero di strutture che rispettano gli standard di eccellenza per il parto. Invece è molto grave: la qualità delle prestazioni legate al parto non deve mai venire meno, neanche di fronte ai ben noti problemi di natalità che condizionano da decenni il nostro Paese - ha dichiarato la professoressa Elena Azzolini,
medico specialista in Sanità Pubblica e responsabile del
Comitato Scientifico di Micuro.
È sicuramente importante la quota dei punti nascita che in cinque anni hanno continuato a rispettare gli standard ma c’è ancora molta strada da fare. Ci troviamo di fronte a strutture che pur avendo sempre rispettato gli standard di volumi, oggi sono chiuse, oppure, anche se in quota minore, ad altre che, rispetto anche solo a cinque anni fa, hanno perso drasticamente volumi. È fondamentale investire sulle buone pratiche, su quei punti nascita che hanno raggiunto gli standard di qualità e su quelli che riescono a mantenersi su questi livelli, senza trascurare quei pochi che continuano ad attestarsi a volumi non soddisfacenti: con programmazione ed efficienza anche questi possono uscire dal guado e contribuire al raggiungimento dei livelli di eccellenza che si merita un sistema sanitario come il nostro”.
Oltre ai volumi, abbiamo preso in considerazione anche il numero dei punti nascita esistenti, la quota di cesarei e la quota di parti naturali a fronte di un pregresso cesareo, che, insieme ad altri indicatori, contribuiscono, se rispettati, a certificare come eccellente una struttura per il
parto.
In tutte le regioni italiane negli ultimi cinque anni c’è stata una i
mportante riduzione dei parti (naturali e cesarei), da 401.325 nel 2018 ai 393.499 registrati nel 2022, pari al -14,5%. Nessuna regione ha avuto un trend positivo né anno su anno né nel quinquennio. Contestualmente si è assistito a una contrazione del numero dei punti nascita operativi in Italia, sia quelli grandi (>1000 parti / anno) che quelli medi e piccoli, con
cali variabili tra l’11% e il 18% del totale.
La Lombardia è la regione su cui pesa di più il trend (-23%), seguita dalla Campania (-19%), seppur il fenomeno delle chiusure è in linea con quello delle nascite, rispettivamente -15,1% in Lombardia e -11,9% in Campania.
Il numero di parti cesarei
Segnali meno negativi arrivano invece dal rispetto degli standard ministeriali relativi al numero di parti cesarei, per i quali è stabilita una quota massima da non superare rispetto al totale dei parti (<15% per strutture che registrano volumi totali tra 500 e 1000 parti all’anno; <25% per strutture che superano i 1000). Il numero delle strutture eccellenti è rimasto sostanzialmente uguale a cinque anni fa (-1%), seppur la quota di strutture in linea con i criteri di qualità sia ancora solo il 38,3% del totale. A livello regionale sono il Veneto, la Puglia e il Piemonte a contribuire alla stabilità del trend, registrando una crescita nel numero delle strutture eccellenti rispetto al 2018. Male la Lombardia che fino a oggi ha perso ogni anno tra una e due strutture sopra soglia.
Parti vaginali con un pregresso cesareo
Decisamente più critica è invece la situazione relativa all’indicatore sui parti vaginali nelle pazienti con un pregresso cesareo, in controtendenza rispetto a quanto succede in altri Paesi del mondo dove, in assenza di particolari criticità, si predilige il parto naturale indipendentemente dal trascorso della paziente nelle precedenti gravidanze. Il Ministero stabilisce nel 25% la quota minima di parti naturali da garantire su pazienti con cesarei pregressi rispetto al totale dei parti effettuati durante l’anno: in Italia solo l’11% delle strutture rispetta questo standard, con una esclusiva presenza dei pochi punti nascita eccellenti solo in alcune regioni del nord.
“La situazione dei parti naturali, soprattutto in caso di cesarei pregressi, è preoccupante sia per la distanza che separa gran parte delle strutture dagli standard minimi di qualità sia per una cultura diffusa che, inspiegabilmente, predilige la sala operatoria alla sala parto anche in situazioni di benessere della paziente – conclude Azzolini. L’aggravante è rappresentata dalla disparità territoriale in Italia tra nord, centro e sud, con queste due ultime zone che ad oggi non hanno strutture che garantiscano gli standard minimi di eccellenza per l’indicatore del parto naturale post cesareo”.
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