Salute e web: come il paziente cerca informazioni mediche

Salute e web: come il paziente cerca informazioni mediche

Indice

Domande e Risposte

Il bisogno di informazioni del paziente

Il cittadino è sempre più consapevole, interessato e autonomo nella ricerca di informazioni che riguardano la sua salute. Questo aspetto, che solo negli ultimi anni si è sviluppato in Sanità, testimonia la centralità del paziente nell’ambito del processo di prevenzione, diagnosi e cura. Un fenomeno che caratterizza la medicina moderna e getta le basi per la costruzione di una mentalità nuova verso i temi della salute e del benessere, un approccio più partecipativo i cui benefici ricadono sia sul paziente che sul sistema sanitario e sulla società nel suo complesso.

Quali informazioni vengono ricercate in rete

Il cittadino italiano medio accede ai siti che forniscono informazioni e servizi per la salute e il benessere, da cui attinge nozioni per poter gestire la prevenzione, la diagnosi e la cura in sempre maggiore autonomia.
Ricerca le strutture più quotate cui rivolgersi per trovare specialisti adatti alla cura della sua patologia e visita i blog delle aziende che operano nel settore alla ricerca di dati utili a supportare il suo processo decisionale. 

Le survey condotte sulla popolazione mostrano che la maggior parte delle persone ricerca notizie sulla salute ogni tanto, mentre una percentuale racconta di cercarle spesso.  

I dati Eurostat riferiti al 2022 mostrano, inoltre, come più del 50% della popolazione adulta (16-74 anni) residente negli Stati membri dell’Unione Europea utilizzi il web per la ricerca di informazioni legate alla salute. In questo contesto, il nostro Paese esprime parametri in linea con la media.

Le domande più spesso rivolte alla rete riguardano i sistemi di prevenzione, in particolare dei tumori, i controlli più utili ai quali sottoporsi, gli strumenti base per la comprensione dei referti medici, i tassi di sopravvivenza dopo determinate diagnosi, i professionisti ai quali rivolgersi per avere una second opinion.

Lo studio NomismaBisogni, criteri di scelta e propensione alla spesa degli italiani in tema salute e benessere” evidenzia come per 4 italiani su 10 i siti internet specializzati (42%) e Google (38%) siano touch point fondamentali nella ricerca di informazioni sui temi della salute. Informazioni che appaiono essere focalizzate principalmente su malattie e sintomi (52%) e sull’individuazione delle strutture sanitarie migliori a cui rivolgersi per un determinato disturbo (44%). 

Gli italiani mostrano di apprezzare in particolare le strutture che offrono risposte rapide, soluzioni digitali e agevolazioni economiche (convenzioni con enti, aziende, associazioni) e di basare la propria scelta su Google (47%) ma anche e soprattutto sul passaparola (55%). Mentre 4 concittadini su 10 sono più inclini a contattare la struttura online tramite il servizio di prenotazione web, la maggior parte degli utenti sceglie ancora il telefono come canale di comunicazione preferenziale.

Tra i temi più sentiti, anche quello della sicurezza dei dati. L’83% degli intervistati ritiene importante il rispetto della normativa in tema di privacy e l’81% considera fondamentale ricevere informazioni chiare sulle modalità di trattamento dei dati sensibili.

immagine che mostra una dottoressa che mostra delle informazioni alla sua paziente

Quali sono le maggiori difficoltà

Una delle criticità più forti nella gestione delle ricerche in rete, almeno per quanto riguarda la salute, è rappresentata dalla difficoltà di comprensione dei contenuti ivi presenti. Data l’eterogeneità della provenienza e della qualità dei testi presenti nel web, l’utente si imbatte spesso in informazioni fra di loro conflittuali, uscendone con le idee confuse.

Inoltre, occorre sottolineare come il fenomeno della scarsa alfabetizzazione sanitaria della popolazione (italiana, in particolare) impatti sulla capacità di gestire le nozioni lette ed effettuare scelte conseguenti consapevoli e responsabili. I risultati emersi nell’ambito del progetto “Health Literacy Population Survey Project 2019-2021” realizzato dalla World Health Organization (WHO) mostrano come nel nostro Paese il livello di health literacy sia “inadeguato” per il 23% della popolazione e “problematico” per il 35%. 

Dall’altro lato, l’atteggiamento medio dei medici nei confronti dei pazienti che vorrebbero confrontarsi con essi su dati reperiti online non aiuta, mostrandosi spesso altezzoso e sarcastico. 

In questo quadro, si sta diffondendo il fenomeno della cybercondria, ovvero della ricerca di compulsiva di sintomi e malattie su Google, finalizzata all’ottenimento di una sorta di autodiagnosi e associata ad un progressivo aumento dei livelli di ansia relativi alla salute. Ciò sembra esprimere il bisogno di certezze che la rete, paradossalmente vista la sovrabbondanza di informazioni disponibili, amplifica. La cybercondria è la versione tecnologica dell’ipocondria ed è ormai diffusamente presente nella letteratura scientifica, pur non essendo ancora stato codificato in DSM. 

Gli esperti ritengono che la condanna a priori del comportamento dei pazienti da parte dell’operatore sanitario sia davvero poco vantaggioso in termini di promozione dell’adozione di atteggiamenti virtuosi di prevenzione e cura. È infatti provato che ciò rafforza negli utenti il bisogno di individuare supporti alternativi nella ricerca di certezze. Più utile sarebbe adottare un atteggiamento di apertura e comprensione nei confronti della necessità di trovare risposte ad interrogativi incalzanti.  

Un punto tuttavia essenziale è rappresentato dall’ampia disponibilità di fonti poco autorevoli online che, se il paziente non è sufficientemente educato, può portare a scelte terapeutiche sbagliate, con conseguenze pesanti per la salute. Esemplare quanto successo negli scorsi anni ad uno dei presidi di Sanità più efficaci e sicuri, i vaccini.
In un contesto così complesso, assume un valore particolare la configurazione dei motori di ricerca finalizzata all’individuazione di siti istituzionali o comunque verificati. Se i contenuti privi di evidenza scientifica vengono privilegiati perché meglio indicizzati, inevitabilmente il lettore non accederà mai a informazione verificata, a meno che non inserisca nella barra di ricerca l’indirizzo del sito.

Si stima che i contenuti fake circolino ad una velocità circa 5 volte più rapida rispetto a quelli scientificamente dimostrati. Si tratta, inoltre, di notizie pericolose da smentire: il debunking rischia, infatti (e lo dimostrano molti studi) più deleterio dell’indifferenza. E la rimozione di un contenuto dal web può essere impossibile da ottenere.
A causa delle pressioni provenienti da Governi e istituzioni e al fine di ridurre l’impatto di questo fenomeno durante la pandemia, una fase storica durante la quale i danni della cattiva informazione sanitaria hanno pesato non solo sul benessere del singolo ma anche sulla salute pubblica, Google ha messo a punto un algoritmo finalizzato a privilegiare i contenuti science based e pubblicato un alert ad ogni ricerca web sui temi sanitari che invitava a rivolgersi a siti qualificati.

I vantaggi del digitale

A differenza del consulto in presenza, in rete l’utente può porre liberamente domande anche su questioni private o scomode che lo metterebbero in imbarazzo. Questo aspetto ha portato anche allo sviluppo di chatbot per il contrasto alla vaccine hesitancy, che rispondono ai dubbi delle persone che vi accedono con una comunicazione lontana dai tradizionali paternalismi e da ogni forma di giudizio.

Una forma di espressione che solo oggi si sta affermando e che ha mostrato di essere più efficace ai fini del coinvolgimento sui temi dell’healthcare.
Un secondo aspetto vantaggioso è rappresentato dalla rapidità di risposta. L’utente può effettuare una breve ricognizione nel web durante la pausa caffè, con un investimento di pochi minuti di tempo.

Come cambia la relazione medico-paziente

Gli studi evidenziano come la ricerca di informazioni sulla salute si accompagni alla necessità da parte del paziente di condividere con il proprio medico quanto scoperto a riguardo. I pazienti, infatti, non si dichiarano insoddisfatti della loro comunicazione con i medici, ma esprimono il desiderio di saperne di più e meglio. 

Il medico continua a rappresentare il riferimento per la gestione di salute e benessere, anche se i cittadini avvertono forte l’esigenza di approfondire in autonomia i temi legati alla salute e di confrontarsi con chi ha attraversato la medesima esperienza di malattia e di cura.
Tale cambiamento di prospettiva ha ricadute fondamentali nell’organizzazione di ospedali e luoghi di cura, perché segna il passaggio dal modello di medicina centrato attorno al medico (e alla malattia) a quello orientato al paziente, il modello patient-oriented.  

L’arrivo della pandemia ha portato all’implementazione rapida di piattaforme già esistenti ma fino a quel momento poco usate, come quelle per la realizzazione della telemedicina. Questo ha cambiato la relazione medico-paziente, oltre ad avere avuto un potente effetto di alfabetizzazione digitale per molti anziani, che hanno visto negli smartphone l’unico strumento per mantenere un contatto con i propri cari.
Sono state così poste le prime basi di un processo di deospedalizzazione, di decentramento della cura che porteranno al tanto auspicato rafforzamento della medicina territoriale.

È tuttavia doveroso sottolineare come non sia solo il web ad avere inciso sulle dinamiche di cura, promuovendo lo sviluppo della figura dell’e-patient. Più in generale, lo sviluppo delle opportunità di autodeterminazione dei pazienti e la loro assunzione di un ruolo attivo e collaborativo nei processi di cura ha impattato sulla relazione medico-paziente. Diversi studi mettono in luce come tale interazione sia stata messa in seria difficoltà dalla scarsa fiducia verso i medici, un parametro che si ripercuote negativamente su fenomeni quali l’aderenza alla terapia e che pertanto influenza indirettamente il successo delle cure e, più complessivamente, degli investimenti in Sanità.

L’aumento del numero di informazioni disponibili online ha determinato uno spostamento del baricentro della fiducia dal professionista sanitario alla rete e alla sensazione (spesso falsa, alterata) di supporto che offre nell’assecondare paure ed emozioni garantendo soluzioni facili a problemi complessi. Il web emerge infatti come mezzo attraverso il quale le persone che non si fidano del proprio medico, che non credono che il medico abbia realmente a cuore la propria salute cercano rassicurazioni.

A margine di ciò, il moltiplicarsi dei casi di aggressione al personale sanitario è da leggersi come l’espressione di una crisi profonda che mina l’essenza della cura.

In quest’ottica, il potenziamento dell’approccio collaborativo fra operatore sanitario e cittadino appare essere la base per l’uscita dall’impasse.

Il patient engagement

L’espressione patient engagement significa letteralmente coinvolgimento del paziente. In ambito sanitario, si riferisce al suo coinvolgimento attivo in tutto il suo percorso di prevenzione, diagnosi e cura.
In passato, il paziente subiva passivamente le decisioni che i medici prendevano per lui. Qualche volta, nella migliore delle ipotesi, i curanti consultavano i parenti stretti del malato, ma più in generale si tendeva a escluderlo dalle riflessioni intorno alla sua malattia, nella convinzione di evitargli un turbamento che avrebbe potuto compromettere la cura. 
Quella condizione, tuttavia, contribuiva a sconvolgere ulteriormente il paziente, rendendolo incapace di reagire e spingendolo a delegare ogni decisione al sistema.
Un contesto che implicava però:
  • Un aumento dei costi a carico della Sanità;
  • Una scarsa aderenza alle terapie;
  • Un generale peggioramento dello stile di vita del paziente.

Alla luce di queste considerazioni, è sorta la necessità di ridefinire il rapporto medico-paziente in maniera che recepisse la volontà di quest’ultimo di essere protagonista del suo decision making.

In termini più generali, il patient engagement agevola il passaggio da cittadino utente a cittadino protagonista e asseconda l’evoluzione del concetto di salute già ratificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1946, quando fu abbandonato il concetto di salute come “semplice assenza di patologie organiche”, e privilegiato quello di “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”.


Gli aspetti del coinvolgimento del paziente

A dispetto di quanto si potrebbe desumere, il coinvolgimento del paziente non è un processo spontaneo e casuale, ma deve avvenire in maniera scientifica e strutturata. E, soprattutto, deve essere un processo personalizzato, realizzato su misura del singolo paziente.

Esso comprende diversi aspetti:
  • Empowerment;
  • Partecipazione attiva: per raggiungere questo obiettivo è necessario che il focus del paziente si estenda dal suo contesto sanitario a quello quotidiano nella gestione della cura; il malato deve concentrarsi meno su sintomi e speculazioni tecniche e specialistiche per dedicare energia e concentrazione alle informazioni utili al management della malattia nel day-by-day;
  • Alfabetizzazione sanitaria (health literacy): il malato (il cittadino, in generale) deve acquisire informazioni scientifiche, ma deve anche formarsi una mentalità in grado di cogliere i vantaggi offerti dall’innovazione in maniera efficace e sicura.
  • Ben vengano, dunque, i siti di informazione scientifica, anche istituzionali, che permettono lo sviluppo di specifiche competenze e la presa di coscienza dei problemi legati alla malattia. Questo è il processo attraverso il quale le persone e le comunità acquisiscono un maggiore controllo rispetto alle decisioni e alle azioni riguardanti la propria salute;
  • Decision making condiviso: il paziente prende decisioni sulla sua salute sentito il parere del medico.
In questo, il caregiver informale costituisce un alleato fondamentale per il medico o l’equipe che si occupa del malato, al fine di garantire la continuità assistenziale alla persona con patologia cronica e la buona efficacia ed efficienza dei servizi di assistenza e cura.

Informazione del paziente: dovere o diritto?

La health literacy rappresenta uno dei punti sui quali il nostro Paese deve intervenire: come anticipato nei passaggi precedenti; le indagini sociali sono piuttosto concordi nel mostrare una scarsa alfabetizzazione sanitaria in Italia. Questo fenomeno è in parte causato dall’insoddisfacente livello di cultura scientifica.

Se la nuova visione della Sanità implica un processo di responsabilizzazione del paziente, e quindi necessariamente anche il dovere all’informazione, è anche vero che questa prospettiva potrebbe non essere quella migliore dalla quale proporre e analizzare il fenomeno.

Così come accade per i vaccini, anch’essi vittime di pregiudizi immotivati dal punto di vista scientifico, anche l’informazione non dovrebbe essere vissuta come un dovere, ma come un diritto. Pur essendo un atto di responsabilità e altruismo verso la collettività, la vaccinazione rappresenta prima di tutto una scelta di sano egoismo, attraverso la quale l’individuo si protegge da malattie gravi e potenzialmente mortali. 
Allo stesso modo, l’informazione dovrebbe essere vista come una forma di tutela di sé: il fatto di sapere come proteggersi in maniera efficace dalle malattie, quali siano gli stili di vita più opportuni per prevenirle e dove trovare indicazioni su come gestire i sintomi nel caso in cui compaiano va a vantaggio del singolo, prima ancora che della società. 

L’empowerment del paziente

Dal concetto di patient engagement è nato quello di promozione della salute, ovvero del “processo che consente alle persone di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di migliorarla” (da qui il concetto di empowerment e i riferimenti al potere), così come definito nella Carta di Ottawa stilata dall’OMS nel 1986.

La promozione della salute rappresenta il complesso delle azioni dirette:
  • Ad aumentare le capacità degli individui;
  • Ad avviare cambiamenti sociali, ambientali ed economici;
  • In un processo che aumenti le reali possibilità di controllo, da parte dei singoli e della comunità, sui determinanti di salute.
Il complesso di azioni che rientrano nell’attività di promozione della salute può essere realizzato solo attraverso l’empowerment del cittadino. L’empowerment per la salute comprende tutte le informazioni che devono essere fornite al cittadino per permettergli di partecipare al processo decisionale nell’ambito della sua cura.

Digital health e patient empowerment

L’avvento della digital health ha determinato un aumento significativo nelle opportunità di accesso alla cura e alla conoscenza. Tuttavia, la fruibilità di queste soluzioni è strettamente legata alla alfabetizzazione sia sanitaria che digitale, un fenomeno definito nel suo complesso digital health literacy e che si riferisce alla capacità di individuare informazioni sanitarie rilevanti nei diversi archivi presenti in rete, comprendere ciò che si è letto e utilizzarlo correttamente per migliorare la propria salute. È noto come la scarsa digital health literacy sia correlata a maggiori tassi di ospedalizzazione e a peggiori parametri di sopravvivenza e guarigione a valle di determinate diagnosi. 

Lo sviluppo delle soluzioni di digital health ha permesso un ampliamento della disponibilità di sistemi per accedere ai servizi connessi all’assistenza. Pensiamo alla diffusione di strumenti di remote monitoring, app mediche, telemedicina e di soluzioni quali il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), che potrebbero aumentare le possibilità di cura nei centri più isolati ma che rischiano di essere più penalizzati da deficit infrastrutturali proprio in questi territori.

Appare dunque chiaro, come i continui sforzi per migliorare l'educazione scientifica e il substrato infrastrutturale e per la definizione di policy sanitarie sempre più mirate, siano fondamentali ai fini dell'equitàdell'accesso alle cure.

I fattori frenanti il patient empowerment 

Fra tutti i fattori che stanno oggi rallentando l’acquisizione da parte dei cittadini della consapevolezza e del senso di responsabilità nei confronti della cura vissuta in prima persona, un aspetto critico è rappresentato dalla riluttanza dei medici a concedere spazio nell’ambito della cura, a staccarsi dal passato, a perdere il privilegio di una posizione centrale. Il passaggio dal modello biomedico al modello biopsicosociale, che vede la malattia come conseguenza dell’interazione fra fattori biologici, psicologici e socioculturali, implica uno sforzo notevole, che sappia vincere andare oltre le resistenze culturali di una classe medica tradizionalmente votata ad approcci meno partecipativi.

Se, da un lato, un paziente maggiormente informato e partecipe è un paziente migliore, dall’altro richiede maggiore attenzione, uno slancio di trasparenza e chiarezza nella comunicazione, nonché una più fine sensibilità ed empatia. Il medico deve riuscire a discernere quali informazioni possono essere utili per il malato, per la gestione della quotidianità da quelle che possono ingenerare ansie e preoccupazioni inutili, come i particolari tecnici e le statistiche di mortalità.

Per promuovere una relazione medico-paziente capace di oltrepassare questi limiti, occorre potenziare l’informazione evidence-based, ossia quella basata sulle prove scientifiche e non sulla percezione. I forum e le community dove i pazienti condividono le loro esperienze di malattia costituiscono un network importante nella cura. Infine, gli esperti concordano sul fatto che si debba puntare sulla componente di formazione nell’informazione, l’elemento essenziale per ottenere il coinvolgimento attivo di cittadini e associazioni e favorire lo sviluppo di una Sanità orientata al paziente.

immagine che mostra un paziente confortato dal suo medico

I vantaggi del patient empowerment

Quando l’utente partecipa alla cura si realizza una congiuntura favorevole:
  • La sua soddisfazione è maggiore;
  • I risultati clinici migliorano;
  • Aumenta la sua sicurezza in ospedale: questo aspetto assume un valore particolare, ad esempio, per quanto riguarda le iniziative a contrasto della antibiotico resistenza;
  • Le terapie alle quali si sottopone sono più sicure, perché è più in grado di comprendere le indicazioni del medico e di conseguenza l’importanza di seguirle scrupolosamente.
Diminuiscono quindi le ricadute economiche della malattia e aumenta il benessere generale della popolazione.

La definizione della qualità delle strutture sanitarie

Le strutture sanitarie oggi sono chiamate a interagire con un soggetto diverso rispetto al passato: un paziente che racconta in maniera più o meno precisa la sua condizione, che chiede ai medici chiarimenti e vuole comprendere qual è la sua reale condizione di salute.
Un individuo che sperimenta soddisfazione per le cure e per l’attenzione ricevuta in ambito sanitario e la vuole condividere; che è consapevole del fatto che la sua opinione conta, che le strutture sanitarie hanno a cuore il suo feedback e che, pubblicando una recensione o raccontando la sua esperienza in un forum, potrà facilitare la scelta di altri pazienti, nei quali si identifica.

La convinzione generale è quindi che la comunicazione sui temi della salute e del benessere debba essere inclusiva del paziente: solo così può diventare una forma importante di prevenzione e di miglioramento dell’aderenza alla terapia.
La cura diventa in questo modo un elemento sempre più multidisciplinare, che necessita del medico, ma anche dell’infermiere (che rappresenta la figura forse più vicina al paziente, in particolare in ospedale) del biologo (che è chiamato a partecipare alle equipe di ricerca) così come del farmacista (che risponde ai dubbi del malato e lo orienta nella terapia).

Lo scopo è produrre una cura che non si limiti all’erogazione di una prestazione, ma vada incontro alle esigenze del paziente, esca uscire dalla mentalità cosiddetta a silos e si sposti verso il singolo paziente, definendo il concetto della Sanità basata sul valore (value based healthcare). 

Il caso particolare: l'assistenza al paziente oncologico

L’incidenza del tumore è in continuo aumento, ma le cure che oggi i medici hanno a disposizione non hanno paragoni rispetto al passato.
Il paziente oncologico è sempre più un malato cronico: laddove le medicine ne consentono la cura definitiva, egli guarisce e laddove ancora non la permettono i medici cercano di trasformarla in una patologia gestibile, al pari di tutte le altre cronicità.

Il risultato è che il malato di cancro vive di più, ma sperimenta anche tutte le difficoltà legate alla convivenza con una malattia che sa essere particolarmente ostile. Negli anni che gli rimangono, sempre più numerosi grazie al progresso della ricerca, egli può andare incontro a ripercussioni psicologiche importanti, che possono estendersi anche ai caregiver, ai familiari in generale e anche ai medici che lo hanno in cura.

In oncologia i casi di burnout, la forma di grave esaurimento psicofisico che può colpire il medico per cause professionali, sono molto più numerosi rispetto ad altre branche della medicina.

Dall’altro lato, in questo ambito è più importante che in altri che si instauri una comunicazione medico-paziente soddisfacente, sia per la protezione dalle perturbazioni emotive che per la corretta trasmissione delle informazioni sulla cura. 

I vantaggi di questo modello

In una ricerca pubblicata nel 2017 dal centro di ricerca Engage Minds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, più di un paziente cronico su due dichiarava di non sentirsi abbastanza coinvolto nel suo processo di cura, non adeguatamente sostenuto e legittimato a giocare un ruolo pro-attivo nel proprio percorso socio-sanitario. Su un campione di 1389 pazienti cronici italiani, 9 su 10 ritenevano invece importante il loro coinvolgimento attivo nel processo di cura.

I fatti dimostravano già allora che i pazienti poco coinvolti:
  • Presentano sintomi ansioso-depressivi con probabilità significativamente più elevata rispetto alla popolazione generale;
  • Rischiano 10 volte di più di incorrere in ricadute;
  • In un mese spendono in medicine quasi il doppio rispetto a quelli con un alto coinvolgimento.
Il patient engagement è dunque una priorità sia etica che pragmatica per il sistema sanitario, tanto da essere incluso nell’indirizzo strategico proposto dal Piano Nazionale della Cronicità e dal Piano Nazionale della Prevenzione del Ministero della Salute.
Senza un ruolo attivo dei cittadini e dei pazienti - dichiarò all’epoca Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità - sarà impossibile garantire la sostenibilità del servizio sanitario ed è per questo che le indicazioni scaturite dalla Conferenza saranno particolarmente preziose”.


Coinvolgere il paziente per migliorare l’aderenza terapeutica

L’aderenza terapeutica è uno dei punti sui quali il coinvolgimento può davvero determinare un impatto disrupting. Il paziente abbandonato a se stesso non pone domande, anche quando non capisce ciò che ha detto il medico; sperimenta frustrazione e mancanza di autostima non solo a causa della malattia, ma anche per via della sua ignoranza. Ciò porta a un aumento del rischio che commetta errori nell’assunzione delle medicine, che dimentichi un controllo, che trascuri l’importanza del suo stato psico-fisico.

Inoltre, il coinvolgimento qualificato dei pazienti nelle diverse fasi dello sviluppo, dell'approvazione e della sorveglianza dei farmaci porta alla produzione di terapie sempre più dirette a soddisfare i reali bisogni del paziente e al miglioramento del sistema di farmacovigilanza, ovvero l’insieme delle procedure che vengono messe in atto dopo l’immissione in commercio per tutelare la sicurezza dei pazienti. 

Sono i malati a sperimentare in prima persona gli effetti indesiderati dei farmaci, la loro efficacia e qualità, ed è quindi importante che abbiano la possibilità di effettuare segnalazioni in merito direttamente alle autorità sanitarie.

Patient engagement e sicurezza dei pazienti

Il coinvolgimento attivo dei pazienti, in particolare, e dei cittadini, più in generale, è fondamentale per rendere l’assistenza sanitaria più sicura e portare alla definizione di soluzioni di cura più efficienti e alla (ri)costruzione di un rapporto di fiducia fra medico e paziente. 

Di queste tematiche si è occupato da vicino il Report “Patient Engagement for Patient Safety The why, what, and how of patient engagement for improving patient safety” pubblicato da OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) nel 2023, il sesto della serie dedicate agli aspetti economici della sicurezza dei pazienti.  

Dagli studi condotti emerge che fino a 1 paziente su 6 riporta di essere stato interessato da eventi avversi legati alla sicurezza dei farmaci e fino all’8% dei pazienti hanno sperimentato errori nell’assunzione di medicinali. Da questo punto di vista, è la transizione fra setting diversi di cura (dimissioni ospedaliere e passaggio al setting domiciliare o alla RSA, ad esempio) a rappresentare l’aspetto più critico. 

I dati evidenziano un lieve ma crescente ritorno economico relativamente agli investimenti stanziati verso il patient engagement per la sicurezza dei pazienti. È chiaramente dimostrato che un basso coinvolgimento dei pazienti è associato a maggiori costi dell’assistenza sanitaria e che la tecnologia digitale può aiutare a stimolare l’interazione. 

Nella maggior parte dei Paesi OECD i pazienti sono coinvolti nel corso dell’iter diagnostico e terapeutico in iniziative legate alla sicurezza, ma il livello di questo coinvolgimento non è costante. Alla luce dei risultati delineati, il Report indica 7 raccomandazioni chiave ai fini del miglioramento del patient engagement per la sicurezza del paziente:

  • Costruire un rapporto di fiducia con il sistema sanitario: oggi l’assistenza sanitaria sicura ed efficiente è necessariamente co-sviluppata da tutti gli attori coinvolti e definita attraverso l’incontro fra domanda e offerta;
  • Istituzionalizzare il patient engagement per la sicurezza dei pazienti: è richiesta l’organizzazione di iniziative in merito, ma anche una maggior disponibilità all’ascolto da parte delle istituzioni nei confronti dei referenti dei pazienti (ad esempio, le Associazioni Pazienti);
  • Realizzare piattaforme e reti di condivisione delle esperienze e delle buone pratiche;
  • Rafforzare il patient engagement per la sicurezza dei pazienti a livelli istituzionali e clinici;
  • Potenziare il monitoraggio della sicurezza dei pazienti per tenere traccia dei progressi e accumulare dati preziosi ai fini del miglioramento delle cure;
  • Ancorare la raccolta e l’impiego dei dati relativi alla sicurezza alle Recommendations of the Council on Health Data Governance OECD, un aspetto essenziale per la protezione della privacy dei soggetti coinvolti e la promozione dell’utilizzo adeguato delle informazioni sensibili;
  • Migliorare la qualità degli indicatori relativi alla sicurezza del paziente e implementarne l’utilizzo sistematico ai fini dell’aumento degli outcome di sicurezza stessa.


 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Domande e risposte

Qual è il primo obiettivo internazionale per la sicurezza dei pazienti?

La prima sfida globale per la sicurezza del paziente (IPSG, International Patient Safety Goals) è rappresentata dalla corretta identificazione del paziente. Le strutture sanitarie devono elaborare e implementare un processo atto a migliorare l’accuratezza dell’identificazione del paziente, ai fini dell’identificazione attendibile e della verifica della corrispondenza tra la prestazione o il trattamento ed il singolo soggetto.

Cosa si intende per sicurezza in ambito sanitario?

La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. Viene realizzata anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Alle attività di gestione del rischio clinico (risk management) messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie (sia pubbliche che private) è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Perché il patient engagement è importante?

Perché il paziente coinvolto nel processo di cura mostra più interesse e attenzione alla sua salute, che gestisce con maggiore responsabilità; questo porta al miglioramento delle sue condizioni psico-fisiche rispetto al paziente non coinvolto (a parità di condizioni) e alla riduzione dei costi in Sanità.

Come è possibile migliorare il patient engagement?

Attraverso l’informazione scientifica corretta e chiara e l’implementazione di iniziative che concentrino la sua attenzione sugli aspetti nei quali l’informazione può migliorare la gestione della malattia nel quotidiano.

Partecipazione attiva del paziente e patient engagement sono sinonimi?

No. La prima è l’insieme delle azioni che portano il paziente a sfruttare le informazioni scientifiche a sua disposizione per massimizzare i benefici nella gestione della malattia. Il secondo è un concetto più generale, che comprende la partecipazione attiva, l’empowerment e l'alfabetizzazione sanitaria, e che rappresenta il suo coinvolgimento in tutte le fasi di diagnosi e cura.

Il coinvolgimento del paziente migliora la sua salute?

A parità di condizioni sì. Il coinvolgimento del paziente determina una sua forma di responsabilizzazione, maggiore attenzione alla salute, minor numero di errori nell’assunzione dei farmaci, la scelta di uno stile di vita più sano.

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