Divario retributivo di genere: che cos’è, come si calcola, a quanto ammontano gli stipendi

Divario retributivo di genere: che cos’è, come si calcola, a quanto ammontano gli stipendi

Indice


Domande e Risposte
 

Che cosa è il gender pay gap

Con l’espressione Gender Pay Gap si intende indicare la differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne, calcolata sugli stipendi versati direttamente ai dipendenti prima delle detrazioni fiscali e dei contributi previdenziali. 

A misurare il gender pay gap in Europa è Eurostat, che tenendo conto soltanto delle aziende con 10 o più dipendenti, ha stimato che in Europa le lavoratrici guadagnano il 12,7% in meno ai lavoratori. Le variazioni fra paesi sono ampie, con gap maggiori in:
  • Estonia (20,5%);
  • Austria (18,8%);
  • Germania (17,6%).
L’'Italia si colloca al quintultimo posto con un valore del 5%. Si tratta comunque di un valore sin troppo, generico che riassume sotto un unico ombrello situazioni molto diverse tra loro per settore, mansione, per condizione contrattuale. 

Sembra impossibile che sia così, e invece le analisi dati lo mostrano chiaramente: il divario retributivo di genere è ancora ampio in tutti i settori, in particolare nel privato, e anche i lavoratori del comparto sanitario, che sono per la maggior parte donne (circa il 70% degli occupati).

Eppure, secondo le stime dell’Unione Europea, ogni riduzione dell'1% nel divario retributivo di genere comporterebbe un aumento del PIL dello 0,1%.

A che cosa è dovuto il gender pay gap?

Il divario retributivo di genere è dovuto a diverse ragioni: alcune “spiegabili” nel senso che sono la conseguenza di una serie di abitudini, come per esempio la maggiore diffusione del part-time fra le donne, e altre “non spiegabili”, ossia per l’abitudine a sottostimare il lavoro delle donne offrendo loro a parità di mansione un inquadramento e quindi una retribuzione inferiori.
Bisogna distinguere due aspetti del gender pay gap: 
  1. il divario in termini di reddito annuale – dovuto ad esempio al fatto che le donne, nonostante oggi studino di più degli uomini e ottengano risultati migliori, come evidenziano i dati di Almalaurea, occupano meno le posizioni dirigenziali;
  2. il divario di reddito medio mensile, dovuto o al fatto che le donne lavorano di meno (maggiore diffusione del part-time) o che hanno inquadramenti e quindi retribuzioni orarie, inferiori.
Il divario retributivo di genere misura un concetto ampio e comprende un gran numero di disuguaglianze che le donne devono affrontare nell’accesso al lavoro, nella progressione e nelle ricompense. Le principali sono le seguenti:
  • Segregazione settoriale: circa il 24% del divario retributivo di genere è legato alla sovrarappresentanza delle donne in settori relativamente poco retribuiti, come l’assistenza, la sanità e l’istruzione. I lavori altamente femminilizzati tendono ad essere sistematicamente sottovalutati. 
  • Disequilibrio fra la quota di lavoro retribuito e non retribuito: le donne hanno più ore di lavoro settimanali rispetto agli uomini, ma dedicano più ore al lavoro non retribuito, come il lavoro di cura di bambini e anziani, che influenza anche le loro scelte di carriera. Nella libera professione, dove l’orario di lavoro è per sua natura più flessibile, questo aspetto è particolarmente evidente.
  • Il cosiddetto “soffitto di cristallo”: la posizione nella gerarchia influenza il livello delle retribuzioni: meno dell'8% degli amministratori delegati delle aziende più importanti sono donne. Tuttavia, la professione con le maggiori differenze di retribuzione oraria nell’UE è quella dei manager: il 23% di retribuzione inferiore per le donne rispetto agli uomini. L’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno pubblicato il primo rapporto mondiale sul divario retributivo fra uomini e donne che lavorano in sanità, che raccoglie dati da 54 paesi. Da questa analisi emerge che l’Italia è uno dei paesi dove il gap retributivo uomini/donne si allarga per le posizioni apicali della gerarchia. Nei gruppi di redditi più alti le donne guadagnano il 63% e il 69% in meno degli uomini.
  • Discriminazione retributiva vera e propria: in alcuni casi specie nel privato, le donne guadagnano meno degli uomini per aver svolto lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, anche se il principio della parità retributiva è sancito nei trattati europei (articolo 157 TFUE) dal 1957. Questo trend è particolarmente evidente nella libera professione.

Il divario retributivo di genere nella libera professione

In Italia a soffrire maggiormente del divario retributivo di genere è il settore privato, ed è un problema che riguarda sia i dipendenti che i liberi professionisti. Fra questi ultimi il divario di reddito è molto ampio, anche nelle fasce d’età più giovani. Lo mostrano i dati dell’ultimo rapporto di ADEPP, la federazione delle casse di previdenza private, che riguarda i professionisti con albo. Fatto 100 il reddito degli uomini liberi professionisti, quello delle donne è di 45. Fra i giovani 20-30 enni le ragazze hanno dichiarato 13 mila euro annui, i ragazzi oltre 15 mila euro. Più ampio il gap per chi è in età “da famiglia”: fra i 30 e i 40 anni le donne dichiarano 18 mila euro annui, gli uomini 28 mila. Fra i 40 e i 50 anni le donne 26 mila e gli uomini 44 mila. Fra i 50 e i 60 anni le donne 34 mila e gli uomini 58 mila. La metà delle professioniste donne ha oggi un reddito inferiore ai 16.500 euro, gli uomini inferiore ai 26.000 euro. Nel computo di Adepp rientrano anche i professionisti con albo e con contratto di lavoro dipendente. 

Lo stesso trend si riscontra fra i liberi professionisti senza iscrizione all’albo, i cui redditi vengono conteggiati all’interno della Gestione Separata Inps. Si tratta di collaboratori a progetti, venditori, collaboratori occasionali di vario tipo, ma anche di medici in formazione specialistica, di dottorandi e di assegnisti di ricerca. Secondo i dati dell’ Osservatorio sui lavoratori parasubordinati (aprile 2022) il reddito medio dei collaboratori si aggira sui 15.688 euro per le donne e sui 28.398 per gli uomini.

Quante donne fanno part-time oggi?

In Europa (dati Eurostat) lavora part-time il 28% delle occupate di età compresa tra 15 e 64 anni, contro l’8% degli uomini, con percentuali molto più alte fra le occupazione assimilabili a quelle operaie: in questo contesto ben il 48% delle donne sono lavoratrici part-time, contro il 19% degli uomini. La differenza più bassa tra le quote di lavoratori a tempo parziale fra uomini e donne riguarda i manager: qui il 10% delle donne lavora part-time contro il 3% degli uomini).

Il tema centrale è il lavoro di cura, di bambini e anziani. Da una indagine realizzata da Ipsos per Save the Children e contenuta nel rapporto “Le Equilibriste” pubblicato a maggio 2023, le donne dedicherebbero cinque ore e 5 minuti al giorno al lavoro non retribuito di cura domestica e della famiglia, contro un’ora e 48 minuti degli uomini. Questo significa chei il 74% del carico grava sulle donne, e anche quando contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, dedicano alla cura 2,8 ore in più di loro, che salgono a 4,2 quando ci sono i figli. 

Nel comparto sanitario, l’Italia è uno dei paesi dove le donne che occupano le posizioni nei quintili con i redditi più bassi hanno la maggior probabilità di lavorare part-time. Il 60% e il 54% delle donne che lavorano in sanità nei primi due gruppi di reddito ha un contratto a tempo parziale, rispetto rispettivamente al 40% e al 20% dei colleghi maschi (dato ILO).

Quante sono le mamme che non lavorano?

Stando all’ultima rilevazione BES di Istat, nel 2021 la metà delle donne con almeno un figlio di meno di sei anni fra i 25 e i 49 anni non risulta occupata. Fra coloro che non hanno figli è il 27% a non essere occupata, ma va detto che nel computo sono comprese anche le studentesse universitarie. Nel meridione lavora solo il 35,3% delle donne con figli piccoli, la metà rispetto alle donne del Nord (il 64,3% di loro è occupata regolarmente).

Dal già citato rapporto “Le Equilibriste” emerge che nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore in famiglia, il tasso di occupazione per le donne si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello degli uomini.  Se i bambini sono due il tasso di occupazione femminile scende al 56%. Tra gli uomini il 78% delle dimissioni è legato al passaggio ad altra azienda e solo il 3% alla difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura, mentre per le donne questa difficoltà rappresenta complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni. 
 

Quanto guadagnano gli uomini e le donne nelle professioni sanitarie

Il divario retributivo di genere nel settore sanitario e assistenziale varia da circa il 15% (nel caso della retribuzione oraria mediana) a circa il 24% (nel caso della retribuzione media mensile), secondo i dati del già citato rapporto di ILO. Nel complesso è emerso che le lavoratrici salariate nel settore sanitario e assistenziale (inquadrate con vari tipi di contratto, non parliamo dei dipendenti pubblici in Italia) guadagnano circa il 20% in meno rispetto agli uomini.
Fra i giovani è lo stesso. In Italia nel 2021 il Consorzio Almalaurea ha pubblicato i dati sul divario retributivo fra i neolaureati e le neolaureate nelle professioni sanitarie a un anno dal conseguimento del titolo. Nel 2019 i neolaureati guadagnavano a un anno dalla laurea in media 1.313 euro (si parla qui di retribuzioni mensili nette), contro i 1.283 euro netti mensili delle ragazze. In altre parole i loro colleghi percepiscono l’8,1% di reddito mensile in più di loro, anche al netto del part-time. Tra i giovani che lavorano a tempo pieno, gli uomini percepiscono il 5,1% in più delle donne: 1.509 euro contro i 1.436 euro netti mensili. In ogni caso, anche gli uomini che lavorano part-time guadagnano più delle ragazze: 991 euro rispetto a 896 euro netti mensili: il 10% in più. Questi differenziali retributivi di genere si confermano a favore degli uomini in quasi tutti i corsi nelle professioni sanitarie.

Immagine che rappresenta le donne in sanità

 
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Domande e risposte

In quale lavoro le donne guadagnano meno degli uomini?

I dati mostrano che il divario retributivo di genere è diffuso trasversalmente in moltissimi settori, sia fra le professioni con redditi più bassi che in quelle con redditi più alti.

Qual è il divario retributivo tra uomini e donne?

A misurare il gender pay gap in Europa è Eurostat, che tenendo conto soltanto delle aziende con 10 o più dipendenti, ha stimato che in Europa le lavoratrici guadagnano il 12,7% in meno ai lavoratori. Le variazioni fra paesi sono ampie, con gap maggiori in Estonia (20,5%), in Austria (18,8%) e in Germania (17,6%). L’'Italia si colloca al quintultimo posto con un valore del 5%. Si tratta comunque di un valore sin troppo, generico che riassume sotto un unico ombrello situazioni molto diverse tra loro per settore, mansione, per condizione contrattuale. Tuttavia, questi numeri sono molto generici, non tengono conto delle enormi differenze per settore (pubblico/privato), per ambito, per età, titolo di studio e tipo di occupazione. 

Qual è lo stipendio medio di una donna in Italia?

La domanda è mal posta. Non esiste uno stipendio medio: il reddito dipende da vari fattori come il settore (pubblico/privato), l’ambito, l’età e il titolo di studio dell’occupato/a e il tipo di occupazione. Possiamo dire che Eurostat ha stimato che in Europa le lavoratrici guadagnano il 12,7% in meno ai lavoratori, in Italia il 5% in meno. Ma basta esaminare i dati sulle libere professioni con albo per notare che Fatto 100 il reddito degli uomini liberi professionisti, quello delle donne è stato di 45. Fra i giovani 20-30 enni le ragazze hanno dichiarato 13 mila euro annui, i ragazzi oltre 15 mila euro.

A cosa è dovuto il gender gap?

Bisogna distinguere due aspetti del gender pay gap: il divario in termini di reddito annuale – dovuto ad esempio al fatto che le donne, nonostante oggi studino di più degli uomini (le laureate hanno superato i laureati in moltissime discipline, e ottengano risultati migliori, come evidenziano i dati di Almalaurea) occupano meno le posizioni dirigenziali; e il divario di reddito medio mensile, dovuto o al fatto che le donne lavorano di meno (maggiore diffusione del part-time) o che hanno inquadramenti e quindi retribuzioni orarie, inferiori.

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