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Che cos’è la prevenzione
I latini dicevano Praestat cautela quam medela, meglio usare cautela che far fatica a curare. Ed è così: la letteratura medica mostra chiaramente che costa meno in termini di morti premature ma anche di spesa sanitaria, investire in misure di prevenzione, che in sistemi di cura.
Che cosa significa prevenire? Possiamo individuare cinque pilastri della prevenzione:
-
Consapevolezza e formazione verso i media e la cittadinanza;
-
Ricerca scientifica;
-
Monitoraggio a tutti i livelli (locale, regionale, nazionale, internazionale) per individuare nuovi problemi emergenti per la salute pubblica;
- Capacità di valutazione del rischio reale per segmenti di popolazione (per esempio con l’aggiornamento dei piani di prevenzione);
- E infine creare ambienti che agevolano i comportamenti “sani” da parte della popolazione (agevolando l’accesso agli screening per una diagnosi precoce, alle vaccinazioni, a stili di vita salubri).
Gli screening: quando e quanto servono
Sempre. Lo
screening ti può salvare concretamente la vita. Gli screening in Italia sono di tre tipi: per l’
individuazione di tumori mammari, per quelli alla cervice uterina (tramite
PAP test o
Hpv test) e per i
tumori del colon-retto.
Perché non si propongono
screening per tutti i tipi di cancro? Perché gli screening di massa hanno un
costo per il Sistema Sanitario e in termini di costo/efficacia deve esserci una ratio. Si tiene conto della frequenza di un tipo di tumore fra la popolazione, nelle stesse fasce di età, e pertanto si propone uno screening per i tumori più diffusi, ma soprattutto si propone lo screening per tumori che siamo in grado di
guarire, o per lo meno di
curare. Infine, si propongono screening che abbiano un’
attendibilità elevata.
Purtroppo una grossa fetta di italiani e italiane continua a non presentarsi agli appuntamenti gratuiti. Secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Nazionale Screening, nel 2018 solo il 54% delle donne invitate si è sottoposta a screening mammografico. Eppure, si calcola che una donna su 40 si ammalerà di
cancro alla mammella prima dei 40 anni, una su 20 fra i 50 e i 69 anni e una su 25 dopo i 70 anni.
Lo screening serve tantissimo: se il
tumore viene identificato allo
stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98 per cento. Su 100 donne esaminate, circa 6 vengono chiamate a effettuare un’ulteriore indagine, per un totale di 8.257 carcinomi individuati in fase iniziale. Nella fascia pre-screening il 64% delle donne con 40-49 anni ha riferito di aver effettuato una mammografia preventiva almeno una volta nella vita.
Solo il 39,6% delle italiane invitate a sottoporsi a
screening cervicale ha aderito all’invito (45% al nord e 27% al sud) e il 3% è stata invitata per una colposcopia come accertamento diagnostico. In questo modo nel 2018 sono state individuare 3.157 lesioni precancerose. Nel 2013 le regioni hanno iniziato il passaggio dal Pap test al test Hpv. Nel 2018 a livello italiano il 38% delle donne viene invitata ad effettuare un Hpv test come test primario di screening, grazie al quale vengono individuate 5 lesioni precancerose ogni 1000 donne screenate.
Infine c’è lo
screening colorettale, che ha visto l’adesione del 42,7% degli invitati e delle invitate con percentuali di positività del 4,6%. Eppure, più del 20% delle persone positive al test per la
ricerca del sangue occulto fecale non ha aderito alla successiva colonscopia di approfondimento. Un test positivo indica un rischio di
carcinoma o
adenoma avanzato molto alto, dal 30% al 40%. Il tasso di identificazione di carcinoma iniziale al colon-retto è di 4,3 casi per 1.000 persone screenate, mentre il tasso di individuazione di adenomi avanzati è di 12,2 tumori per 1.000 persone esaminate.
Le analisi del sangue “di routine” servono?
Dipende. Le
analisi del sangue “di routine” non sono la cartina tornasole del nostro stato di salute: rispondono alle nostre domande che il medico si pone alla luce di una certa sintomatologia.
Difficilmente sono la spia di qualcosa che non aveva dato alcun sintomo. Alti livelli di
globuli bianchi per esempio, possono indicare un’infezione in corso, o una
neoplasia, ma difficilmente queste condizioni non hanno già dato dei sintomi per cui ci siamo recati dal medico. Più utili sono la misurazione della creatinina per la
funzionalità renale e i valori della
glicemia, per capire se il nostro
metabolismo del glucosio funziona correttamente e individuare una persona a rischio di sviluppare il
diabete.
I fattori di rischio cardiovascolare
Le malattie cardiovascolari sono sul podio come cause di morte o di perdita di anni vissuti in buona salute. I fattori di rischio cardiovascolare sono principalmente il
colesterolo e l’
ipertensione (pressione alta), a loro volta correlati l’essere o meno fumatori, la presenza di
diabete, di
malattie renali e
malattie renali.
Un aiuto sono le carte di rischio cardiovascolare, realizzate dalle società scientifiche a livello mondiale e aggiornate periodicamente sulla base degli
studi che vengono pubblicati, che descrivono il rischio in percentuale di morte per un evento cardiovascolare nei successivi 10 anni, a seconda di età, sesso,
essere fumatori oppure no, pressione arteriosa (asse verticale) e infine colesterolo (asse orizzontale). Si osserva che l’
ipercolesterolemia (avere il colesterolo alto) incide di meno rispetto all’
ipertensione o all’essere o meno fumatori, specie se il paziente non soffre di ipertensione e non fuma.
Alimentazione sana e attività fisica cambiano davvero le cose in termini di
rischio di malattie cardiovascolari, specie in giovane età. Secondo recenti stime, la mortalità per malattie cardiovascolari potrebbe essere dimezzata solo attraverso modeste riduzione dei rischi connessi all’
alimentazione e alla
sedentarietà, per esempio camminando a passo sostenuto 30 minuti al giorno. L’obesità è un fattore di rischio per molte patologie, comprese le
malattie neurodegenerative (approfondimento in calce). Un ampio studio pubblicato nel 2018 sulla prestigiosa rivista
The Lancet Public Health su un campione complessivo di 120 mila europei ha stabilito che l’obesità lieve è associata alla perdita di un anno su dieci in salute mentre l’
obesità grave a uno su quattro potenziali anni liberi da malattia.
I vaccini
La
vaccinazione è un passo fondamentale per il nostro stato di salute, come popolazione, prima ancora che come individui. Prima di procedere, è bene precisare che non è vero che i dati sugli effetti collaterali dei vaccini sono “nascosti”: ogni anno
AIFA pubblica il Rapporto Vaccini (linkato in calce), che sintetizza le attività di
sorveglianza post-marketing sui vaccini condotte in Italia nell‘anno precedente, a partire dalle segnalazione dei Medici di Famiglia, dei farmacisti, degli ospedali e dei cittadini stessi. Risultato: oggi non ci sono problemi di sicurezza per i vaccini.
Nel 2018 su 178 milioni di dosi somministrate sono state inserite nel sistema 7.267 segnalazioni di effetti avversi che hanno riguardato 5.536 persone vaccinate. Significano 31 segnalazioni ogni 100 mila persone, ma solo 3 segnalazioni gravi ogni 100.000 dosi sono risultate davvero correlabili a una vaccinazione. Quali sono queste reazioni gravi?
Febbre,
agitazione,
reazioni cutanee, e
ipersensibilità. Insomma: tutte le sospette reazioni avverse osservate nel 2018 non hanno evidenziato eventi che possano modificare la valutazione del rapporto fra benefici e rischi dei vaccini utilizzati.
Per la maggior parte dei vaccini, queste reazioni avverse sono descritte nei riassunti delle caratteristiche del prodotto come molto comuni e comuni. Più raramente (sotto i 400 eventi complessivi) sono state osservate altre reazioni avverse note come
diarrea,
reazioni vagali,
astenia,
dolore,
pianto,
cefalea e inappetenza. “Nello 0,9% delle segnalazioni l'esito riportato è stato il decesso ma nessuna di queste segnalazioni è risultata correlabile causalmente con la vaccinazione.”
Fatta questa premessa, poniamo mente ai dati dell’ultimo rapporto UNICEF: grazie al vaccino, il
vaiolo è stato debellato nel 1980, la
poliomielite è oggi endemica solo in tre Stati al mondo:
Pakistan, Nigeria e Afghanistan. Tra il 2000 e il 2018, la mortalità da morbillo è calata globalmente di oltre il 70%, anche se continua a essere un problema gravissimo in
Africa Centrale (basta guardare i bollettini settimanali dell’Ufficio Africano dell’OMS, in calce). Infine, tra il 2000 e il 2013, il tetano neonatale è stato eliminato in 29 Paesi in via di sviluppo. Per ora. La
pandemia in corso ci sta insegnando come sarebbe un mondo senza vaccini, e quanto è facile perdere il vantaggio guadagnato.
“Ma il
morbillo, per esempio, lo abbiamo fatto tutti”. Sì, ma solo i vivi possono raccontarlo. Il morbillo è responsabile di un numero variabile tra 30 e 100 morti ogni 100.000 ammalati e in un caso su 1000 contagiati, può verificarsi un’encefalite. L’encefalite da morbillo ha una mortalità molto alta, circa il 15%, e un terzo di chi guarisce ha un alto rischio di portarsi dietro problemi neurologici molto gravi. Inoltre, se è vero che il
sistema immunitario va “educato” per riconoscere la malattia e non ammalarsi più, perché scegliere di sottoporre il nostro bambino a
dosi elevate di carica virale portate dalla malattia, quando c’è la possibilità con il vaccino di inoculare un dose minima che non porta danno ma che è in grado di “educare” il nostro sistema immunitario come farebbe la malattia vera e propria? È importante chiedersi, a fronte di una piccola reazione come la
febbre, dopo il vaccino, che cosa sarebbe successo al medesimo bambino se avesse contratto la malattia vera e propria.
No, gli
eccipienti ne vaccini
non sono
dannosi. Un tempo lo sono stati in alcuni casi, ma i vaccini di oggi sono sicuri.
La prevenzione nei bambini e il Life course Approach
La salute te la porti in spalla sin da bambino. In salute pubblica si parla di Life course Approach, che significa che ogni politica sanitaria deve essere pensata per mirare ad aumentare l'efficacia degli interventi durante tutta la vita di una persona, a partire dall’infanzia. Un libro che tutti dovrebbero poter leggere è La salute disuguale (Il Pensiero Scientifico Editore), scritto da Sir Michael Marmot, epidemiologo punto di riferimento mondiale nello studio dell’impatto delle disuguaglianze sociali sulla disuguaglianza in termini di buona salute. Dove nasci, chi sono i tuoi genitori, come avviene la tua istruzione, influenzeranno il tuo essere cittadino. La prevenzione lungo il corso della vita non si misura solo da che azioni strettamente sanitarie abbiamo messo in campo durante l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. Quella è solo la punta dell’iceberg.
Oggi sappiamo dai nostri studi che il problema è a monte, nella struttura stessa della società, dove le risorse e le opportunità sono mal distribuite. Alcune ricerche hanno dimostrato che ai figli di genitori “professionisti” vengono insegnate in media 300 milioni di parole in più rispetto ai figli di famiglie supportate dai servizi sociali, che significa una media di 20 mila parole al giorno.
L’igiene fa la differenza
Non siamo più abituati a valutare nella nostra quotidianità l’impatto di una
corretta igiene personale. Non ci siamo resi conto fino allo scontro violento con la pandemia di COVID-19, quanto l’igiene delle mani, per esempio, potesse fare la differenza.
Eppure in grossa parte del mondo il diffondersi di gravi malattie infettive dipende essenzialmente dalla mancanza di quelle che si chiamano in medicina “
health facilities”: servizi igienici intesi sia come gabinetti, che come strutture, che come disponibilità di
acqua corrente e di
sapone. Eppure, uno studio condotto dall’OMS nel 2012 ha calcolato che ogni dollaro investito in servizi igienico-sanitari, porta un ritorno di 5,50 dollari in termini di risparmio sui costi sanitari, di maggiore produttività e di meno morti premature da gestire.
Nel 2017 solo il 45% della popolazione mondiale ha utilizzato
servizi igienici gestiti in sicurezza e due miliardi di persone non dispongono ancora di servizi igienici di base come servizi igienici o latrine. Di questi, 673 milioni defecano ancora all'aperto, ad esempio nei canali di scolo, dietro i cespugli o in specchi d'acqua aperti. Si ritiene infine che almeno il 10% della popolazione mondiale consumi cibo irrigato dalle acque reflue.
La scarsa igiene ha due effetti: è collegata alla trasmissione di malattie come il
colera, la
diarrea, la
dissenteria, l'
epatite A, il
tifo e la
poliomielite e aggrava l'arresto della crescita; e riduce il benessere umano, lo sviluppo sociale ed economico a causa di impatti come ansia, rischio di violenza sessuale e perdita di opportunità educative.
Ogni anno (dato OMS, progetto WASH) circa 827.000 persone nei paesi a basso e medio reddito muoiono a causa di
acqua, servizi igienici e igiene inadeguati. Si tratta del 60% del totale dei decessi per diarrea. La diarrea rimane infatti una delle principali cause di morte nei paesi poveri, ma è
ampiamente prevenibile. Acqua, servizi igienici e igiene migliori potrebbero prevenire la morte di 297 mila bambini di età inferiore ai 5 anni ogni anno.
Noi che possiamo,
laviamocele le mani, spesso e bene.
Prevenzione e pandemia
Questo periodo ci sta insegnando un aspetto cruciale della prevenzione: in molti casi seguire una buona pratica non ci dà la certezza assoluta di essere esenti da incappare nel problema che vogliamo evitare.
Non fumare non ci dà la certezza di non sviluppare un
tumore ai polmoni, così come essere in forma e seguire una
dieta sana non è detto che ci farà vivere senza malattie croniche più a lungo di una persona che mangia peggio di noi o che è in sovrappeso.
La prevenzione riduce il rischio, in media, e nel caso delle
malattie infettive, dove siamo fortemente interconnessi con gli altri, significa pensare che stiamo contribuendo in qualche modo a proteggere la comunità,
salvaguardando l’infrastruttura sanitaria in modo che sia in grado di curare tutti.
Il
Ministero della Salute prega tutta la popolazione di
usare le mascherine nel modo corretto (lavando spesso quelle lavabili e cambiando quelle usa e getta), lavarsi spesso le mani, rispettare la distanza con i non conviventi,
scaricare l'App Immuni. Non sappiamo quanto di preciso queste misure singolarmente facciano la differenza, ma la prevenzione è l’unico strumento che abbiamo al momento per tentare.
Proprio perché non abbiamo dati definitivi, nemmeno sull’effettiva modalità con cui ci si contagia, è meglio
abbondare con le misure preventive, anche se un giorno scopriremo che non erano necessarie. Potremmo scoprire invece che grazie a esse abbiamo salvato tante vite. E comunque, non ci sono soluzioni migliori al momento per evitare di portare noi stessi o gli altri all’ospedale. Teniamo presente che gli scienziati non hanno ancora stabilità quali siano le dimensioni delle particelle più importanti nella
trasmissione di COVID-19.
Una nota sulle
mascherine per lasciare da parte le dicerie: la ricerca scientifica sta sempre più confermandone l’efficacia. Un lungo lavoro di sintesi pubblicato su
Le Scienze è chiaro: “gli studi confermano che l'uso delle mascherine salva molte vite umane,
limitando la diffusione del coronavirus e le opportunità di contagio, e alcune ricerche suggeriscono addirittura che possa
ridurre la gravità della malattia nel caso se ne venga colpiti.” Il problema è che “la mascherina” non esiste. Esistono
LE mascherine: di tipo diverso e usate in modi e ambienti diversi. Bisogna fare attenzione in particolare a quelle fai da te. A quanto pare avere più strati di materiali diversi protegge molto meglio rispetto alle mascherine di un unico materiale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI