Indice
Domande e risposte
Carotidi: cosa sono e dove si trovano
Le carotidi sono
due arterie che scorrono ai
lati del
collo (carotide destra e carotide sinistra) e portano il
sangue ossigenato dal
cuore al
cervello.
Nascono tutte e due dal cuore come ramo unico (arteria carotide comune) per poi
biforcarsi alla base del collo in arteria carotide interna (destra e sinistra) e arteria carotide esterna (destra e sinistra). Successivamente, una volta entrate nella scatola cranica, i
vasi si
suddividono ulteriormente, dando origine alle arterie temporali, alle arterie mascellari e alle arterie cerebrali.
Nel loro
decorso, complessivamente le carotidi portano sangue al
cervello, all’
occhio, agli
organi del
collo e alla
faccia. Fra tutti questi tessuti, quello più sensibile ad un eventuale stop dell’irrorazione è il
cervello.
Il
mantenimento del diametro fisiologico di questi vasi è
essenziale per assicurare ai
neuroni il corretto apporto di
ossigeno ed
elementi nutritivi. Viceversa, una riduzione del flusso di sangue può causare fenomeni di ischemia più o meno gravi (ictus ischemico), che portano le cellule nervose
in sofferenza e possono determinare
danni cerebrali irreversibili.
Stenosi carotidea: cause, diagnosi e cura
La
stenosi carotidea è un restringimento del diametro di una carotide provocato prevalentemente dalla presenza di una placca ateromatosa e che ha come conseguenza la riduzione dell’afflusso di sangue al cervello. In determinate condizioni, questo restringimento può essere tale da determinare l’insorgenza di un ictus ischemico o di un Attacco Ischemico Transitorio (TIA).
Le persone più colpite dalla stenosi carotidea sono quelle di
età superiore ai 65 anni.
Il grado di stenosi identifica il grado di riduzione del lume ed è espresso in percentuale rispetto al diametro del vaso.
La
diagnosi e il
trattamento della patologia carotidea sono di competenza sia del
chirurgo vascolare che del
cardiochirurgo.
Stenosi carotidea: le cause
La
causa principale della
riduzione del lume di questa arteria è rappresentata dall’
aterosclerosi, una condizione dovuta all’alterazione della parete arteriosa che comporta la deposizione locale di placche di colesterolo e altro materiale (placche ateromatose). La presenza della placca restringe il lume del vaso e ostacola il passaggio del sangue. Nel tempo, è associata a due importanti rischi: quello che l’apporto di sangue al cervello scenda al di sotto di una certa soglia scatenando l’ictus (o il TIA) e quello che porzioni della placca si distacchino, scorrendo nella circolazione fino ad ostruire vasi di piccolo calibro (trombosi).
Le placche tendono a depositarsi prevalentemente in corrispondenza del punto in cui le carotidi si biforcano in arteria carotide interna ed arteria carotide esterna.
Stenosi carotidea: come si diagnostica
Nella diagnosi delle patologie della carotide, il
chirurgo vascolare assume un
ruolo centrale.
In sede di visita, il professionista valuta le condizioni del paziente per patologie eventualmente copresenti, aspettativa di vita, analisi dei fattori di rischio. Prescrive poi l’esecuzione di esami quali
EcoColorDoppler carotideo (esame di scelta per lo screening e la diagnosi),
angio-TC dei
vasi del
collo,
angioRM.
In base alle informazioni emerse, stabilisce l’opzione terapeutica ottimale (medica o chirurgica).
Spesso, le
persone affette da stenosi carotidea ne vengono a
conoscenza solo
dopo un evento
cerebrovascolare. Per evitare la diagnosi tardiva, ai soggetti con fattori di rischio evidenti per questa condizione (fumo, ipertensione, pregressi eventi cerebrovascolari o cardiovascolari, diabete, obesità…) è raccomandato di sottoporsi a controlli cardiologici regolari.
Stenosi carotidea: come si cura
L’approccio terapeutico è
principalmente medico, almeno se non compaiono sintomi e il restringimento si mantiene al di sotto di un certo livello (il 70%, secondo le linee guida). La
terapia farmacologica, infatti, consente di ottenere un
rapporto beneficio/rischio più alto rispetto a quello garantito dalla chirurgia, al di sotto di questa soglia.
La
stenosi carotidea viene definita sintomatica se l’ultimo episodio ischemico cerebrale o retinico congruo si è verificato nel paziente nei 6 mesi precedenti (secondo alcune linee guida, nei 3 mesi precedenti).
Se la stenosi supera questo parametro oppure sono presenti
fattori di
rischio importanti (come un ictus pregresso), anche in
assenza di sintomi, in genere viene disposta la
chirurgia.
Rivascolarizzazione carotidea
La rivascolarizzazione carotidea è definita come il
ripristino della
perfusione sanguigna. Essa è tipicamente
realizzata con
mezzi chirurgici convenzionali o
percutanei.
La rivascolarizzazione carotidea è fra i presidi più
importanti per la prevenzione primaria e secondaria dell’ictus cerebrale ischemico nel paziente considerato a rischio, cioè nel quale la carotide è caratterizzata dalla presenza di placche ateromatose (aterosclerosi carotidea extracranica) e da un diametro inferiore rispetto a quello fisiologico (stenosi carotidea). In queste persone, considerate pazienti complessi, il flusso di sangue diretto al cervello è ostacolato e possono verificarsi cali dell’afflusso tanto significativi da essere responsabili di episodi ischemici.
Poiché la terapia medica
permette oggi di ottenere
ottimi risultati in termini di
prevenzione dell’ictus nel paziente asintomatico, tale procedura è indicata nei casi in cui sono presenti altri fattori di rischio: sintomi, malattie concomitanti (broncopneumopatia cronica ostruttiva, scompenso cardiaco), particolari conformazioni anatomiche del vaso (dovute ad esempio a precedenti trattamenti di radioterapia, altre lesioni dell’arteria).
In questi casi, il paziente viene sottoposto ad esami diagnostici specifici per inquadrare precisamente la situazione e, a valle delle informazioni emerse, viene scelta la procedura più adatta allo scopo di limitare i rischi.
L’ictus cerebrale è fra le principali
cause di
mortalità e
disabilità nel mondo e nel nostro Paese: si stima che ogni anno si verifichino circa 1.400.000 nuovi casi in Europa. La patologia ostruttiva carotidea è responsabile di un 15-20% degli
ictus.
La rivascolarizzazione carotidea viene eseguita secondo due metodiche alternative: una
tradizionale (chirurgia a cielo aperto) e una
più innovativa (percutanea). Essendo stata questa seconda modalità introdotta in tempi relativamente recenti, rimangono ancora delle questioni aperte in merito alla scelta dell’opzione chirurgica più adeguata per il singolo caso. In particolare, i punti ancora in discussione riguardano l’efficacia a lungo termine, i criteri di selezione dei pazienti e il tipo di trattamento farmacologico da associare a entrambe le metodiche.
Rivascolarizzazione carotidea con endoarteriectomia (CEA)
Si tratta di un intervento di chirurgia a cielo aperto, anche detto
tromboendoarteriectomia (TEA), finalizzato alla
rimozione delle
placche che occludono il passaggio del
sangue nelle carotidi.
Preparazione
Prima dell’intervento, dovrai rispettare un
certo numero di
ore di
digiuno prima della procedura: su questo punto, il cardiochirurgo ti informerà in merito durante la visita preoperatoria.
Se assumi
terapie, parlane in quella sede, elencando tutti i prodotti che prendi (farmaci e integratori alimentari), di qualunque tipo, anche se non per le patologie in esame. Il chirurgo saprà consigliarti sui trattamenti da interrompere.
Come si svolge
L’intervento prevede la
somministrazione di
anestesia locale,
locoregionale o
generale. Si tende a preferire l’anestesia locale perché consente la rilevazione di eventuali sintomi percepiti dal paziente che possono rappresentare indicazioni per il chirurgo. Nel caso in cui si debba somministrare una anestesia generale, non essendo possibile monitorare il grado di perfusione del cervello, per assicurarsi che sia sempre ottimale viene impiantato uno shunt, cioè un bypass temporaneo del tratto di carotide chiuso.
La procedura viene eseguita mediante incisione (arteriotomia) longitudinale dell’arteria carotide comune prolungata sulla interna, il sito a livello del collo nel quale si depositano preferenzialmente le placche. Le estremità vengono chiuse (clampate) isolando la biforcazione dalla circolazione e la placca viene sgusciata, asportata e rimossa, controllando che non ne rimangano frammenti residui adesi alla superficie della carotide.
L’arteria viene poi ricostruita direttamente o con l’impiego di un patch di allargamento (impiegato quando è necessario allargare il vaso). Successivamente, viene riaperto il flusso al sangue.
Nel corso della procedura la funzione cerebrale viene costantemente
monitorata tramite
elettroencefalogramma.
L’intervento
dura circa 45-60 minuti.
Cosa succede dopo
Se devi sottoporti a rivascolarizzazione carotidea con endoarteriectomia, è importante che tu sappia che dopo la
procedura dovrai rimanere a
riposo a letto
per 12-24 ore. Rimarrai in ospedale per qualche giorno, secondo
indicazione del
chirurgo. Al momento della dimissione ti verranno comunicate tutte le informazioni utili alla gestione della ferita e della terapia farmacologica.
Non metterti alla guida della macchina e non praticare attività fisiche pesanti nelle settimane successive all’intervento.
Nei mesi successivi, ti sottoporrai (come da indicazioni del chirurgo) ad una serie di controlli finalizzati a valutare il successo della procedura.
L’intervento è correlato a rischio di:
ictus,
TIA,
infarto miocardico,
lesione dei
nervi cranici (transitorie o permanenti),
emorragia,
infezione.
Per alcuni giorni potrai sentire nell’area interessata dalla ferita chirurgica una
riduzione della
sensibilità o
formicolio.
Controindicazioni
L’intervento è
controindicato in caso di:
- Occlusione dell’arteria carotide interna;
- Ictus in atto;
- Decadimento cognitivo grave.
L’
età non rappresenta una
controindicazione assoluta.
Rivascolarizzazione carotidea con stenting e angioplastica (CAS)
Si tratta di una procedura non invasiva di interventistica radiologica, che viene
eseguita per
rimuovere ostruzioni presenti nelle
arterie carotidi e
ripristinare il corretto
flusso di
sangue al
cervello. Oltre alla rimozione degli ostacoli al flusso ematico, nel corso della procedura viene posizionato uno stent, un dispositivo medico a rete metallica di forma cilindrica che ha la funzione di mantenere l’arteria aperta anche dopo la chirurgia.
L’
endoarterectomia carotidea (CEA) è stata praticata come terapia di prima scelta per oltre 50 anni. Oggi l’approccio percutaneo (CAS) viene considerato un’alternativa mininvasiva alla chirurgia a cielo aperto, indicata nei pazienti che, per diverse ragioni, non possono sottoporsi alla chirurgia.
Malgrado si tratti di un intervento di recente introduzione, la sua esecuzione diffusa lo rende ormai consolidato nella pratica clinica. Come tutte le procedure chirurgiche, è però associato ad un rischio, che deve essere valutato in rapporto ai vantaggi ottenibili: il rischio è essenzialmente rappresentato dalla possibilità di distacco di frammenti della placca ateromatosa, che possono fluire con il sangue andando ad occludere vasi cerebrali (trombosi), provocando TIA o ictus ischemico. Per limitare questo rischio, durante la chirurgia vengono utilizzati speciali filtri che consentono di prelevare e portare all’esterno i detriti accumulati con la frantumazione della placca. Altri rischi sono rappresentati da nausea, difficoltà respiratoria, aritmia, perdita di coscienza.
L’
angioplastica richiede l’iniezione di un
liquido di contrasto, che permette la visualizzazione dall’esterno del sito in cui intervenire. La sostanza iniettata può comportare rischi di aggravamento dell’insufficienza renale nei soggetti che ne soffrono. Per prevenire questa possibilità, prima dell’intervento vengono prescritti esami del sangue finalizzati alla valutazione della funzione renale.
La procedura è
indolore e
dura complessivamente 1-2 ore, a seconda della complessità del quadro.
Angioplastica carotidea: la preparazione
Se devi sottoporti ad angioplastica carotidea, il cardiochirurgo che si occuperà di eseguire la procedura ti comunicherà tutte le informazioni utili sulle diverse fasi dell’intervento. Nell’occasione, ti informerà anche sulla necessità di rispettare un tempo di digiuno prima.
Se assumi
farmaci o
integratori alimentari (di qualunque tipo, anche per disturbi diversi da quelli in questione), parlane con lui: ti consiglierà quali interrompere e quali continuare a prendere.
Sarai sottoposto ad un
prelievo di sangue, con il quale verrà valutata la tua funzionalità renale, per prevenire tossicità legate al mezzo di contrasto.
Angioplastica carotidea: come si svolge
È prevista la somministrazione di un’anestesia locale: in questo modo, rimanendo sveglio, il paziente ha la possibilità di comunicare con l’operatore, per riferirgli eventuali
informazioni utili.
Nella sua arteria femorale, in corrispondenza dell’inguine, viene inserito un catetere sotto guida radiografica, che viene fatto scorrere fino al sito in cui è presente l’ostruzione.
La cannula iniettata possiede nella sua parte terminale una sorta di palloncino, che viene aperto e chiuso più volte, per dilatare l’arteria. Successivamente, viene posizionato uno stent, per mantenere il vaso pervio e prevenire una riocclusione.
Angioplastica carotidea: cosa succede dopo
Dopo la
procedura, rimarrai a riposo
a letto per 12-24 ore. Il tuo quadro clinico sarà costantemente monitorato. In assenza di complicazioni, potrai rientrare a casa il giorno successivo.
Il medico che ti segue stabilirà la frequenza dei controlli successivi nel tempo, mirati a valutare il successo del trattamento e a verificare l’eventualità di una nuova stenosi.
Una procedura sicura, che richiede la presenza di un operatore esperto.
La scelta dello stent carotideo adatto rappresenta uno step fondamentale ai fini della riduzione del rischio associato alla procedura e del suo successo. Oggi vengono usati dispositivi a doppio strato in grado di intrappolare ed escludere detriti di trombi e placca e prevenire, quindi, eventi embolici che possono verificarsi nell’immediato o in tempi successivi.
Ma la tutela dell’efficacia e della sicurezza della procedura è in gran parte affidata alla capacità di un operatore dotato della competenza e dell’esperienza necessaria, sotto molti profili: scelta del paziente, del tipo di procedura e dello stent, gestione della procedura e delle fasi che la seguono.
Controindicazioni
L’intervento è controindicato in caso di:
- Anomalie dell’arco aortico o dei vasi che decorrono intorno all’aorta;
- Patologia concomitante dell’arco aortico o della carotide comune;
- Tortuosità della carotide;
- Calcificazioni concentriche presenti sulla parete arteriosa;
- Trombo endoluminale.
Viene, inoltre, valutata l’indicazione a questo tipo di procedura in base all’età del paziente e alla composizione della placca.
Cosa succede dopo la rivascolarizzazione carotidea
La rivascolarizzazione, comunque venga realizzata, riduce il rischio di ictus nei pazienti a rischio.
In alcuni casi, sarà necessario proseguire nell’assunzione di una terapia farmacologica.
È sempre fondamentale adottare stili di vita protettivi per la salute dei vasi sanguigni e del cervello:
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Domande e risposte
Quanti giorni di degenza per un intervento alla carotide?
Il numero di giorni di degenza dipende essenzialmente dalla metodica con cui viene eseguito l’intervento. Nel caso della endoarteriectomia (EAC), la chirurgia viene effettuata a cielo aperto: pertanto, la degenza prevista è pari a 4-5 giorni, in assenza di complicanze. Nel caso, invece, della angioplastica con posizionamento di stent, se non si presentano complicazioni il paziente può tornare a casa il giorno successivo.
Come si opera la carotide ostruita al 70%?
L’indicazione all’esecuzione dell’intervento chirurgico è rappresentata, in assenza di sintomi e di altri fattori di rischio importanti per eventi cerebrovascolari, dall’ostruzione al 70% del lume carotideo. La tipologia di intervento viene stabilita di caso in caso, in base a variabili quali età, quadro clinico e presenza di altre patologie.
Come viene eseguito l’intervento chirurgico alla carotide?
L’intervento chirurgico può essere eseguito con una tecnica tradizionale a cielo aperto oppure con una metodica mininvasiva percutanea. Nel primo caso, viene eseguita un’incisione in senso longitudinale dell’arteria e messa in evidenza la placca, che viene rimossa; la ferita chirurgica viene poi suturata. Nel secondo caso, viene iniettato un catetere a livello dell’arteria femorale; la cannula viene fatta scorrere fino in prossimità dell’occlusione, dove un dispositivo a forma di palloncino montato sul catetere viene aperto e richiuso diverse volte, per frantumare la placca. I detriti vengono raccolti e portati all’esterno del vaso, per evitare il distacco di trombi.
Come far regredire le placche carotidee?
Le placche carotidee vengono oggi trattate molto efficacemente con la terapia farmacologica. Lo sviluppo di farmaci nuovi e l’ottimizzazione dello schema di trattamento secondo modalità personalizzate hanno permesso di ridurre significativamente il ricorso alla chirurgia, che viene comunque praticata nei casi di ostruzione superiore al 70% e nei casi sintomatici o in presenza di altri importanti fattori di rischio (come pregressi eventi cerebrovascolari).