Intervento di protesi d'anca: durata, materiali e riabilitazione. Dove è meglio curarsi? Dati PNE

Intervento di protesi d'anca: durata, materiali e riabilitazione. Dove è meglio curarsi? Dati PNE

Indice

Domande e Risposte
 

Micuro ti aiuta a trovare le strutture migliori per Protesi d’Anca

Di seguito i dati sulle migliori strutture per protesi d’anca. La valutazione di queste strutture si basa sui dati del Programma Nazionale Esiti (dati del 2024, riferiti al 2023), resi pubblici per conto del Ministero della Salute. Micuro analizza e sintetizza questi dati per stilare classifiche che ti aiuteranno a individuare la struttura più adatta alle tue esigenze.

Come ha spiegato la Prof.ssa Elena Azzolini, medico specialista in Sanità Pubblica e responsabile del Comitato Scientifico di Micuro: “È stato dimostrato in letteratura che all’aumentare del numero di interventi di protesi d’anca eseguiti da una struttura sanitaria aumenta l’efficacia delle cure, ad esempio aumentando la sopravvivenza a 30 giorni e riducendo le riammissioni dopo l’intervento chirurgico e revisioni successive di intervento. Perciò, è importante scegliere le strutture che raggiungono le soglie minime fissate dal Programma Nazionale Esiti (n. 80 interventi/anno) al di sotto delle quali il rischio di esiti negativi aumenta notevolmente. Oltre al numero totale di interventi eseguiti in un anno è fondamentale considerare anche la percentuale di riammissioni a 30 giorni dall’intervento chirurgico che dovrebbe essere inferiore al 3%”.


Classifica nazionale: le 5 strutture che nel 2023 in Italia hanno effettuato un maggior numero di interventi chirurgici di protesi d’anca con una % di riammissioni a 30 giorni dall’intervento < 3%

  1. IRCCS Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio di Milano - Gruppo San Donato (n° interventi: 2.573, % riammissioni a 30 giorni: 2,63%)
  2. Humanitas Research Hospital di Rozzano (MI) (n° interventi: 2.526, % riammissioni a 30 giorni: 2,07%)
  3. Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma (n° interventi: 938, % riammissioni a 30 giorni: 2,85%)
  4. Istituto Clinico San Siro di Milano - Gruppo San Donato (n° interventi: 925, % riammissioni a 30 giorni: 1,33%)
  5. Istituto Clinico Città di Brescia - Istituti Ospedalieri Bresciani - Gruppo San Donato (n° interventi: 907, % riammissioni a 30 giorni: 2,9%)

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L'intervento di protesi all'anca: una breve spiegazione

L’intervento di protesi d’anca costituisce una soluzione sempre più diffusa per molte patologie invalidanti, quali l’artrosi, l’artrite reumatoide e le fratture del collo del femore, condizioni che interessano soprattutto le persone anziane. L’operazione chirurgica dev’essere seguita da una riabilitazione accurata, comporta generalmente grandi benefici. L’intervento risolve la sintomatologia dolorosa e, restituendo autonomia di movimento all’anca, determina un sensibile miglioramento della qualità di vita. Gli eventuali dolori muscolari post-operatori, percepiti talvolta al gluteo, alla coscia e al ginocchio, sono abbastanza normali e sono destinati a scomparire col tempo; chiaramente la loro persistenza varia da paziente a paziente.

L’anca è una delle più grandi articolazioni del corpo. Si tratta di un giunto a sfera: la coppa è formata dall’acetabolo, che è una parte del grande osso del bacino; la sfera è la testa del femore, estremità superiore dell’osso della coscia. La sfera si muove all’interno della coppa dando origine al movimento dell’anca (articolazione coxo-femorale).
 
Le superfici ossee della testa del femore e dell’acetabolo sono ricoperte di cartilagine articolare, un tessuto levigato che consente alle estremità delle ossa di muoversi con facilità.
 Un sottile tessuto chiamato membrana sinoviale ricopre l’articolazione dell’anca. In un’anca sana, questa membrana produce una piccola quantità di liquido che lubrifica la cartilagine ed elimina quasi completamente l’attrito durante il movimento.

Fasci di tessuto chiamati legamenti collegano la testa del femore all’acetabolo e forniscono stabilità all’articolazione. Questi legamenti tengono insieme il femore e la tibia e garantiscono la stabilità. Normalmente, tutti questi componenti lavorano in armonia, ma una malattia o un infortunio possono interromperla provocando debolezza muscolare e riduzione della funzione.

L’intervento di protesi totale di anca viene effettuato nei casi di artrosi avanzata, in particolari tipi di frattura del femore ed in malattie che abbiano portato alla degenerazione dell’articolazione coxo-femorale (come l’artrite reumatoide, la necrosi della testa del femore, esiti di trauma etc.).

immagine che mostra l'anca di una persona

Epidemiologia

In base ai dati della Società italiana di ortopedia e traumatologia (SIOT, 2015) l'Italia si attesta tra i primi Paesi in Europa per il numero di protesi impiantate: 200mila l'anno, di cui oltre 100.000 d’anca (con un amento del 141% in 15 anni).

Artroprotesi d'anca, interventi primari totali e revisioni interessano soprattutto le donne. L'età media dei pazienti, invece, varia da 66 a 72,4 anni. 

Cause del danno all'articolazione dell'anca

Le principali cause che determinano un danno all’articolazione dell’anca, sono tre:
  • Osteoartrosi: sono le artrosi più comuni, caratterizzate dal consumo (dovuto a sfregamento continuo) della 
cartilagine articolare. Per tale ragione sono dette anche “artrosi da usura”;
  • Artrite reumatoide: si tratta di una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario, piuttosto che difendere 
l’organismo dalle infezioni, lo attacca. Ciò va a discapito delle articolazioni che diventano rigide, dolorose e gonfie;
  • Frattura ossea: si tratta di una delle fratture ossee più comuni tra le persone anziane. La guarigione spontanea 
non è sempre sufficiente a ristabilire la piena mobilità articolare.

Altre cause molto comuni che necessitano dell’intervento anche nei pazienti più giovani, sono:

Sintomi della lesione del femore

I sintomi principali della lesione del femore sono il dolore e l’impossibilità di stare in piedi sulla gamba rotta. Dopo pochi giorni dal trauma, compare il gonfiore e l’ematoma o ecchimosi. La persona caduta non riesce a rialzarsi da terra senza aiuto. Il dolore è avvertito durante il movimento passivo dell’anca. Anche il test di percussione del tallone produce sofferenza.


Inoltre, il soggetto non è in grado di camminare, ma zoppica. I movimenti sono limitati e provocano dolore all’anca, in particolare la rotazione interna, così come la palpazione profonda nell’area inguinale provoca dolore. Se l’osso è completamente rotto la gamba può apparire più corta rispetto alla gamba sana. 


Diagnosi di frattura del femore e danno all'anca

La diagnosi di una frattura del femore è, generalmente, fatta con una radiografia dell’anca e del femore. 
In alcuni casi, se il paziente cade e si lamenta di dolore all’anca, una frattura incompleta potrebbe non vedersi con una normale radiografia. In tal caso, è indicata la risonanza magnetica, che consente di rilevare la presenza di una frattura nascosta.
 Se questa non è possibile a causa di particolari condizioni mediche associate, la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) può essere una valida alternativa.

Consulta le Strutture Sanitarie che effettuano Radiografia del bacino e delle articolazioni sacroiliache:
Dove effettuare una Radiografia del bacino e delle articolazioni sacroiliache?

Trattamento per il danno all'anca

Quando l’anca subisce dei danni, la prima misura terapeutica consiste in un trattamento conservativo (riabilitazione, fisioterapia e antidolorifici).

Tuttavia, se l’entità del danno è notevole o ha natura cronica va presa in seria considerazione la possibilità di sottoporsi all’intervento chirurgico di protesi d’anca. In questi casi, sono il dolore persistente e l’incapacità di svolgere le più facili attività quotidiane (stare in piedi, camminare, guidare etc.) a convincere il paziente a operarsi.

La protesi d’anca rimpiazza la naturale articolazione, ormai non più funzionale. Esistono tre tipologie di protesi:

La protesi d’anca rimpiazza la naturale articolazione, ormai non più funzionale. Esistono tre tipologie di protesi, selezionate in base ad una valutazione radiografica preoperatoria:
  1. Endoprotesi, se sostituisce soltanto la testa del femore; cioè la protesi del femore senza rivestimento dell'acetabolo, riservata alle fratture del collo del femore nell'anziano;
  2. Protesi di rivestimento, ovvero una sfera di metallo che riveste la superficie della testa del femore e prevede la conservazione del collo del femore; utilizzata in soggetti particolari come giovani e sportivi;
  3. Protesi totale o artroprotesi se ripristina la funzionalità articolare andando a sostituire l’intera articolazione (incluso il cotile, ovvero la cavità semisferica che ospita la testa del femore), che viene adoperata soprattutto nella coxartrosi
In questo terzo caso di sostituzione completa dell'articolazione, si applica una protesi che viene accolta nel canale femorale. Quando anche cartilagine e osso sono danneggiati vengono rimossi  e sostituiti con una protesi particolarmente resistente. L’intervento prevede la sostituzione di acetabolo e testa del femore con delle componenti in metallo, generalmente in lega di titanio, o altri materiali tecnologicamente avanzati ed un inserto in polietilene. Le superfici ossee vengono così rivestite con protesi speciali mininvasive. Ove possibile, anziché procedere alla sostituzione totale, si può effettuare il rivestimento della testa del femore con la protesi, senza asportarla. Alternativa che si tende a preferire nei giovani, soprattutto se di sesso maschile, non affetti da allergie e in assenza di necrosi della testa del femore o deformità articolari (epifisiolisi, esiti traumatici dell'anca, conflitto femoro-acetabolare, displasia dell'anca, difetti di antiversione dell'acetabolo o di torsione del collo femorale).


La tecnica chirurgica tradizionale 

L’intervento di protesi d’anca si esegue, di solito, in anestesia generale. Tuttavia, è possibile anche optare per una anestesia epidurale, in cui solo la parte inferiore del corpo è insensibile al dolore. Chi sceglie questa seconda opzione non è, comunque, cosciente poiché deve assumere dei forti sedativi. 

In genere la durata dell’intervento varia tra i 60-90 minuti.

La prima fase prevede la rimozione dell’articolazione danneggiata. Si tolgono la parte superiore del femore (testa, collo e un pezzo del corpo) e la porzione di acetabolo, entro cui alloggia il femore stesso.

La seconda: la sostituzione dell’anca con la protesi in lega metallica. Il chirurgo comincia col fissare, al bacino, una cavità artificiale che funge da acetabolo. Questa cavità è chiamata coppa (o cotile) protesica. Successivamente, applica il cosiddetto stelo protesico, un’estremità del quale si salda al femore rimasto; l’altra, creata appositamente, presenta una testa molto simile a quella del femore da alloggiare all’interno della coppa protesica.

Per fissare saldamente la coppa e la testa dello stelo, le soluzioni sono due: o si applica del cemento acrilico (una specie di colla) oppure si ricorre a un meccanismo a pressione.

Il tema della cementificazione è stato oggetto di discussioni, tuttavia gli studi dimostrano simili tassi di successo. E se nei casi di grave osteoporosi si opta per una protesi che prevede la fissazione cementata; in generale si tratta di una scelta da valutare caso per caso. Ma cosa si intende per protesi cementata o non cementata? Nel primo caso si usa del cemento acrilico per fissare saldamente la coppa e la testa dello stelo, creando una saldatura molto forte, tanto che, in caso di necessità dovuta ad esempio a usura, la rimozione della protesi potrebbe risultare problematica e difficoltosa. La protesi non cementata, invece, si avvale di un meccanismo a pressione. In questo caso la porzione chiamata stelo presenta dei piccolissimi fori che permettono all’osso di crescervi all’interno, ancorandola maggiormente; e consentendo tuttavia, in caso di necessità, una facile rimozione.


La tecnica chirurgica mininvasiva

Innanzitutto precisando che per mini invasività si intende una tecnica chirurgica il più possibile rispettosa dei tessuti muscolari, nervosi e ossei, ovvero volta a mantenerli quanto più possibile integri.

Per quanto riguarda l’intervento di protesi all’anca, che in questo caso si esegue con anestesia peridurale, ci sono diverse modalità di approccio mininvasivo che cambiano a seconda della via di accesso adoperata. Ovviamente si tratta di una scelta da compiere caso per caso, in relazione alle condizioni del paziente. Tenendo presente che, in generale, per procedere con la tecnica mininvasiva di trattamento è necessario che il paziente risponda a tre condizioni:
  • Sia normopeso, quindi non in sovrappeso; 
  • Sia dotato di una massa muscolare mediamente sviluppata;
  • Non abbia avuto recenti episodi di trombosi venosa profonda, né scompensi cardiocircolatori.
Rispetto alla via postero laterale, oggi la tecnica mini invasiva tende a preferire la via anteriore, dal momento che non comporta il distacco di tendini o muscoli e prevede il passaggio tra piani inter-nervosi. In sostanza, si tratta di una tecnica chirurgica che rispetta realmente lo stato globale dei tessuti.

Rispetto alla chirurgia protesica tradizionale la tecnica mini invasiva presenta numerosi vantaggi dovuti all’utilizzo di una protesi tecnologicamente avanzata, di dimensioni ridotte, più resistente, e ad ancoraggio biologico. Realizzata con materiali biocompatibili, evoluti e sicuri. La buona riuscita dell’operazione, indubbiamente, dipende dall’abilità manuale del chirurgo e da una progettazione precisa della protesi.

In particolare, i vantaggi della protesi anca mini invasiva sono:
  • Tempi di intervento, degenza, riabilitazione e recupero più rapidi;
  • Incisione ridotta, di circa 10 cm, cui consegue minor perdita ematica, nessun bisogno di trasfusioni di sangue, cicatrice meno evidente. Date le dimensioni ridotte dell’incisione, l’invisibilità della cicatrice è possibile grazie all’uso di un sistema innovativo che al posto dei punti usa una colla biologica per suturare la ferita. Nello specifico, dopo l’intervento la ferita chirurgica verrà semplicemente coperta da una retina di protezione sigillata con una colla biologica che si potrà rimuovere dopo 20 giorni. Inoltre, questa pellicola riduce la possibilità ai batteri più comuni (responsabili delle infezioni) di penetrare nella cute e, quindi, il rischio di infezioni;
  • Trauma (dolore e gonfiore) ridotto;
  • Risparmio-rispetto di muscoli, cartilagine e parti ossee, mantenimento di una buona parte del collo femorale, di strutture periarticolari, di nervi e vasi;
  • Riduzione dell’attrito tra le componenti della testa femorale e l’acetabolo;
  • Riduzione delle complicanze e di eventi avversi come il rischio di lussazione.
Inoltre, si tratta di un intervento di sicuro successo nel 90-95% dei casi, con una durata della protesi di circa 20-25 anni.


La chirurgia mininvasiva per la protesi anca con coxartrosi bilaterale

Tale tipologia di intervento consente anche di trattare la condizione più impegnativa, quella dalla coxartrosi bilaterale. Infatti la chirurgia mini invasiva è l’unica che consente di impiantare una protesi anca bilaterale simultanea con un solo intervento. Operazione che comporta notevoli vantaggi dimezzando i tempi di recupero, eventuali complicanze e stress e dando la possibilità di pianificare con maggiore precisione la lunghezza dei due arti, essenziale per evitare al paziente eventuali scompensi posturali.


La pianificazione pre-operatoria

Ovviamente, per garantire la massima efficienza e precisione in fase di intervento, lo specialista di chirurgia protesica mini invasiva esegue una pianificazione preoperatoria digitale attraverso due metodi principali:
  • Il metodo bidimensionale (2D) eseguito utilizzando immagini radiologiche tradizionali che, elaborate da un software, simulano l’inserimento della protesi (stelo), all’interno del femore e della coppa nell’acetabolo, prevedendo anche il compenso finale della lunghezza degli arti;
  • Il metodo tridimensionale (3D) che avvalendosi di immagini ricavate da una tomografia computerizzata del bacino, permette di ricostruire tridimensionalmente il bacino e il femore, offrendo al chirurgo una maggiore accuratezza nella previsione e progettazione dell’impianto.


La chirurgia protesica robotica

Un altro metodo ancora più avanzato tecnologicamente che, affiancandolo, può potenziare l’intervento mininvasivo è la chirurgia protesica robotica. Si tratta di un metodo di assistenza al chirurgo che garantisce una maggior precisione nel posizionamento delle componenti con la massima adesione alla pianificazione pre-operatoria; la personalizzazione nel posizionamento della protesi avviene attraverso un concetto “anatomico-funzionale” e di risparmio osseo.

Tale metodo si usa per posizionare una protesi che consenta un grado di movimento ottimale con una sensazione di arto “naturale”, essenziale per migliorare la qualità di vita del paziente e assicurare una maggior durata dell’impianto.

Degenza e riabilitazione post operatoria

Dopo un intervento mininvasivo /enciclopedia/prestazioni/chirurgia-mininvasiva. Il dolore della ferita chirurgica tende a regredire dopo i primi giorni.

Mentre per gli interventi tradizionali la permanenza in ospedale è di almeno 15 giorni, con maggiori dolori e più lento recupero.

Dopo due giorni di riposo a letto in posizione supina con cuscino divaricatore tra le gambe, vengono eseguiti precocemente esercizi di mobilizzazione passiva e attiva per il recupero articolare e muscolare che dovranno essere continuati anche a casa, dopo la dimissione.

Inizialmente il paziente eseguirà solo esercizi di potenziamento muscolare. Per poi passare, in una seconda fase, alle attività più impegnative (passeggiate, nuoto, bicicletta stazionaria). Chiaramente sotto la guida del fisioterapista che indicherà al paziente i movimenti da eseguire.

Un percorso riabilitativo, permette ai pazienti di riprendere le normali attività quotidiane dopo 2-4 settimane dall’intervento; di guidare dopo 4-6 settimane e riprendere a fare attività sportiva dopo 3-4 mesi circa. Evitando naturalmente quelle ad alto impatto.

Dopo l'intervento è necessario eseguire la profilassi antitrombotica con eparina per 30-40 giorni ed indossare calze elastiche. Il follow up prevede una radiografia e una visita ortopedica di controllo, da ripetere ogni 1-2 anni per valutare la funzionalità dell'articolazione e l'integrità della protesi.


Tempi di recupero ridotti con il protocollo Fast Track

Tutti i vantaggi della chirurgia protesica mini invasiva sono amplificati nel protocollo Fast Track (“percorso rapido”) che praticamente dimezza i tempi di degenza in ospedale (3-5 giorni). Il fast Track abolisce la pratica del digiuno pre-operatorio in favore uno stato metabolico/nutrizionale ottimale.

Il percorso inizia con la fase pre-operatoria, in cui gli operatori illustrano nei dettagli tutte le fasi dell’intervento al fine di ridurre la classica condizione di ansia pre-operatoria.

Dopo l’intervento, trascorsi i 3-5 giorni di degenza in ospedale, il paziente può decidere se continuare la riabilitazione a domicilio oppure se proseguire la riabilitazione in ospedale per altri 7-10 giorni

Il Fast Track si caratterizza per una ripresa funzionale precoce. Per cui il paziente, a distanza di poche ore dall’intervento (o il giorno seguente), viene fatto deambulare con le stampelle, assistito dal chirurgo e dal fisioterapista per prevenire complicanze cardiocircolatorie e respiratorie. Poi, per le 2-4 settimane successive può usare le stampelle, anche se solitamente vengono usate per una-due settimane.

Questo procedimento consente un maggior controllo del dolore dopo l’intervento, senza morfina e senza trasfusione; gestito solo con analgesici nei 7-10 giorni successivi. 

Protesi anca: ecco come è fatta

La protesi anca si compone di 4 elementi:

  • Stelo, in lega di titanio, da inserire all’interno del femore;
  • Testina in ceramica posta sullo stelo metallico che va a sostituire la testa del femore danneggiata;
  • Cotile (o coppa metallica) per rimpiazzare la cartilagine usurata; generalmente in una lega di titanio o tantalio;
  • Inserto in ceramica (o in polietilene), superficie di scorrimento da inserire tra testina e cotile.
Chiaramente si tratta di materiali evoluti, resistenti e biocompatibili, come: titanio, ceramica, polietilene con vitamina E, tantalio.
La durata della protesi dipende dai materiali utilizzati; dalla precisione con cui viene disegnata, progettata e personalizzata, oltre che dall’abilità del chirurgo specialista durante l’intervento.

La superficie artificiale portante deve essere il più possibile stabile, fissata saldamente all’osso e a basso attrito all’interno dell’articolazione.


La curiosità: Perché si usa il titanio?

Rispetto ad altri materiali, il titanio ha una grande compatibilità con l’organismo e presenta caratteristiche vantaggiose. Infatti si distingue per:

  • Biocompatibilità elevata, data la sua facilità di legare con l’osso;
  • Resistenza, grazie al suo alto rapporto tra resistenza e peso;
  • Sicurezza, in quanto materiale antiallergico, che non determina né rigetto né reazioni allergiche;
  • Leggerezza, rispetto all’acciaio, a parità di resistenza;
  • Radiopacità, ovvero visibilità in radiografia.


Scelta della protesi

Esistono più di 60 modelli diversi di protesi d’anca. Tuttavia, quelli realmente utilizzati sono meno di dieci. La scelta della protesi più appropriata spetta al chirurgo che, di volta in volta, fa diverse considerazioni relative a:
  • Età del paziente;
  • Peso corporeo e fragilità di alcuni materiali (ad esempio la ceramica);
  • Eventuali allergie del paziente ai materiali che compongono la protesi;
  • Genere;
  • Patologia di base.

Data la sua importanza, l’età del paziente merita un’attenzione particolare. Un paziente anziano non ha particolari esigenze: la protesi può anche non essere delle più longeve e nemmeno del tipo non cementato.
Questo perché, difficilmente, si sottoporrà a un secondo intervento per la sostituzione della protesi usurata.
 Al contrario, invece, un paziente giovane necessita di una protesi durevole e, possibilmente, non cementata. In tal modo, oltre a rimandare il più possibile l’intervento di sostituzione, lo si rende anche di più facile realizzazione. 


Possibili complicanze

Come ogni intervento anche quello della protesi all’anca comporta dei rischi, oltre quelli legati all’anestesia, gestibili con una valutazione pre-operatoria accurata. Le più comuni sono: la lussazione dell'anca (quando la testa della protesi fuoriesce dalla coppa), l'allentamento della protesi, un'usura precoce o un irrigidimento articolare (quando i tessuti molli si induriscono pregiudicando la mobilità delle articolazioni).
Nei casi di anca lussata o allentata è necessaria un'operazione chirurgica correttiva mentre nell’eventualità di un irrigidimento articolare si può contare su una terapia non chirurgica. 

Raramente (circa una volta su cento), possono insorgere complicanze più gravi, come trombosi o infezioni che possono colpire i tessuti circostanti la protesi. Le trombosi sono causate dalla semi-immobilità a cui il paziente è costretto, e sono alla base della formazioni di coaguli di sangue nelle vene che possono ostacolare il flusso sanguigno. Questa patologia è poco sintomatica (ma in alcuni casi sono presenti dolore, aumento di volume e arrossamento).

Una protesi d'anca infetta, invece, è, in genere, accompagnata da gonfiore, arrossamento e dolore in corrispondenza dell'articolazione. In presenza di questi sintomi, è importante contattare urgentemente il medico.

In generale, tuttavia si tratta di complicazioni che con le dovute misure preventive, come farmaci anticoagulanti, movimento precoce e controlli regolari, possono essere contenute e ridotte. Informarsi e seguire le indicazioni del team medico garantisce un recupero sicuro ed efficace.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Domande e risposte

Quanto dura la riabilitazione dopo protesi d’anca?

La riabilitazione viene iniziata in genere nella struttura in cui si esegue l’intervento ma poi va continuata in un’altra struttura per diverse settimane. Nel caso ad esempio di rottura del femore in una persona anziana, va svolta in un centro riabilitativo di lunga degenza ed è fondamentale per scongiurare la cosiddetta “sindrome d’allettamento”, cioè l’aggravarsi di patologie preesistenti precedentemente ben compensate. 

Quando la protesi d’anca?

L’età media dei pazienti che si sottopongono all’operazione varia da 66 a 72,4 anni (dati SIOT). L’intervento di protesi totale di anca viene effettuato in caso di artrosi avanzata, nell’eventualità di una frattura del femore o di degenerazione dell’articolazione coxo-femorale (dovuta a malattie come l’artrite reumatoide, la necrosi della testa del femore, esiti di trauma etc.).

Come comportarsi dopo l’intervento all’anca?

Se ci sono le condizioni, i pazienti possono riprendere a camminare subito dopo l’intervento con le dovute precauzioni e aiutandosi con le stampelle. Quanto ai tempi di recupero, se si eseguono regolarmente gli esercizi di riabilitazione, senza forzare la mano, la ripresa delle normali attività può avvenire in 2 o 3 mesi.

Quando è meglio fare un intervento di protesi d'anca?

Considerando che l'obiettivo di una protesi d' anca è di restituire al paziente ciò che la coxartrosi aveva tolto. La protesi d'anca si rende necessaria in presenza di forte dolore e grave difficoltà nella deambulazione, generalmente provocati da una coxartrosi in fase avanzata.

Come capire se l'anca è da operare?

Il primo criterio per capire la necessità di intervento è la valutazione dello stato di consumo dell’articolazione che si evince da una radiografia sotto carico (eseguita in piedi).

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