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Sei incinta? L’esame del sangue per esserne sicura
Quando una donna sospetta di essere rimasta
incinta, di solito se ne accerta acquistando un
test di gravidanza in farmacia. Usare questi strumenti diagnostici è molto semplice: bastano poche gocce di
urina e qualche minuto di attesa per avere un primo responso alquanto attendibile. Infatti quello che viene misurato dal test è un
ormone: la
gonadotropina corionica umana-Beta HGC. Si tratta di una sostanza che viene prodotta immediatamente dopo il concepimento dalla placenta, allo scopo di favorire l’annidamento dell’ovulo fecondato (ovocita) nel tessuto uterino. I valori di beta-HCG aumentano regolarmente con il progredire della gestazione ma solo fino alla 13ma settimana circa, per poi decrescere via via. Dal momento che questo ormone è presente e misurabile nelle urine e nel
sangue in fase precocissima della gravidanza, rappresenta il miglior indicatore della stessa.
Un test di gravidanza si può quindi eseguire già
dopo 10 giorni di ritardo dall’ultima mestruazione, ma per avere
una conferma definitiva è meglio sottoporsi alle
analisi del sangue. Anche in questo caso si misura la concentrazione di Beta-HCG considerando che nelle donne non gravide tale ormone è assente.
Attenzione, questo valore è anche considerato un marker per alcune forme tumorali, quando rilevato in una donna non incinta.
Ma siccome stiamo parlando di gravidanza, vediamo quali sono
i valori ematici di Beta-HCG che ci rivelano non solo che il concepimento è andato a buon fine, ma anche il
periodo della gestazione in cui ci troviamo, dal momento che i livelli di questo ormone raddoppiano ogni due giorni.
Considerando che nelle donne non incinte questo ormone quando non assente, è presente in minime quantità pari e non superiori a 5 Mu/ml (unità biologiche per millilitro), qualunque concentrazione superiore a questa è segno di gravidanza. Il
picco massimo di Beta-HCG si raggiunge intorno alla decima settimana. Pertanto, ecco di seguito i valori di riferimento relativi a tutta la gravidanza fisiologica (40 settimane):
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Seconda-quarta settimana 40-4800 Mu/ml;
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Quinta-sesta settimana 870-88800 Mu/ml;
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Sesta-ottava settimana 8700-220000 Mu/ml;
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Ottava-decima settimana 18700-250000 Mu/ml;
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Decima-dodicesima settimana 23200-182000 Mu/ml;
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Tredicesima-ventisettesima settimana 6400-97200 Mu/ml;
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Ventottesima-quarantesima settimana 4400-7500 Mu/ml.
In caso di gravidanza ectopica (extrauterina) i valori di gonadotropina corionica umana aumentano molto più lentamente, un segnale che quindi può già rappresentare un campanello d’allarme.
Esami del sangue in gravidanza: il calendario
Anche la più felice delle gravidanze va costantemente monitorata al fine di garantirne l’esito migliore per mamma e nascituro/a. Il nostro SSN prevede una serie di esami obbligatori e gratuiti da eseguire regolarmente durante tutta la gestazione, tra i quali sono ovviamente presenti anche controlli ematici importanti. Oltre ai test di routine – emocromo, glicemia, esami per la funzionalità epatica ecc. – sono necessari specifici test che vedremo nel dettaglio nei paragrafi successivi. Per il momento, però, limitiamoci al calendario delle analisi ematiche da effettuare durante l’arco delle 40 settimane (se la gravidanza è a termine) o comunque fino al momento del parto.
Esami del sangue da eseguire entro la tredicesima settimana
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Emocromo;
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Gruppo sanguigno (se non precedentemente eseguito);
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Esami per la funzionalità epatica: AST/GOT/S e ALT/GPT/S/U;
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Ricerca anticorpi della
rosolia (RUBEO TEST). In caso di negatività, si ripete entro la 17ma settimana;
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Ricerca anticorpi Toxoplasma (TOXO TEST). In caso di negatività ripetere ogni mese fino al parto;
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Ricerca anticorpi Treponema Pallidum (TEST per la SIFILIDE);
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TEST di COOMBS indiretto. Ricerca di anticorpi anti eritrociti.
Esami del sangue da eseguire tra la 24° e la 27° settimana
Esami del sangue da eseguire tra la 28a e la 32a settimana
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Emocromo;
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Ferritina (in caso di riduzione del volume globulare medio degli eritrociti) e quindi di sospetto di
anemia.
Esami del sangue da eseguire tra la 33° e la 37a settimana
Approfondiamo ora alcuni di questi test per capire a cosa servono e come leggere i risultati.
Il torch test: quanto farlo e perché
Il TORCH test è un acronimo che accorpa una combinazione di diversi test ematici anti virali e anti parassitari che vengono eseguiti di norma nelle prime settimane di gestazione, ma che in realtà sarebbe più utile eseguire in fase preconcezionale, ovvero quando si sta programmando una gravidanza. Gli esami inclusi nel TORCH test sono quattro, precisamente:
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Il RUBEO test anti rosolia (Rubeola);
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Il TOXO test anti toxoplasma;
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Il CMV test anti Citomegalovirus;
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Il test anti HERPES VIRUS.
Ciascuno di questi quattro test va a ricercare nel sangue della futura mamma gli
anticorpi specifici contro questi
agenti infettivi, i quali hanno come caratteristica quella di risultare innocui per la gestante, ma molto
pericolosi per il feto. Essi possono attraversare la barriera placentare e danneggiare il nuovo organismo in formazione, come meglio vedremo negli approfondimenti dei successivi paragrafi.
Dal momento che prevenire è meglio che curare, il consiglio che i medici danno alle donne che non sono ancora incinte, ma che desiderano una gravidanza, è quella di
sottoporsi a questi test prima del concepimento, al fine di vaccinarsi in caso di negatività. Questo è il sistema migliore per evitare problemi in futuro. In qualche caso, come vedremo, i test dovranno essere ripetuti anche durante la gestazione. Tutti gli esami del TORCH test
vanno eseguiti a digiuno, ovvero con astensione dal cibo (ma non dall’acqua) di otto ore.
Prima di entrare nel merito di ciascun test, vediamo in generale come
interpretare i risultati in vista di una gravidanza. Dal momento che si rileva nel sangue la presenza di anticorpi, è chiaro che se essi sono assenti, significa che l’aspirante mamma non ha ancora contratto nessuna di queste quattro infezioni, e che è a rischio di contrarla durante la gravidanza. In tal caso può sottoporsi alle
vaccinazioni previste, oppure stare molto attenta a seguire le necessarie regole di prudenza per evitare il contagio (a breve le vedremo nello specifico).
Qualora gli anticorpi fossero invece presenti nel sangue, via libera alla gravidanza, perché significa che la donna ha già contratto le infezioni in questione nel passato e pertanto risulta immunizzata. C’è una terza possibilità: che
una delle infezioni sia in atto al momento del test. Se la gravidanza non è iniziata, è opportuno attendere la completa guarigione. Diversamente, purtroppo, possono verificarsi conseguenze serie per il feto.

Il toxo test: quando farlo e perché
Iniziamo con il primo dei TORCH test, relativo ad una infezione tanto comune e innocua per un adulto (madre in attesa inclusa) quanto pericoloso per la salute e l’incolumità stessa del feto: la
toxoplasmosi. Sicuramente ne avete sentito parlare in relazione ai
gatti. È infatti comune tenere lontani questi nostri amici felini dalle donne in gravidanza, e non è un caso. Infatti questa malattia infettiva in realtà è una
parassitosi, provocata dal
Toxoplasma gondii, un parassita della carne che spesso, ma non sempre, arriva all’uomo dagli animali domestici e in particolare dai gatti (e dalle loro feci).
Altra via di trasmissione sono alcuni
cibi, come le verdure non lavate ma soprattutto
le carni crude o poco cotte. La malattia in sé, come anticipato, è del tutto trascurabile, e infatti difficilmente ci si accorge di averla contratta. Purtroppo il parassita, se presente nel sangue materno, può arrivare al feto provocando un
aborto o determinando nel nascituro danni seri che sfociano in malformazioni e disabilità permanenti.
Come abbiamo visto, questo test si effettua entro la 13a settimana di gestazione (quando non in fase preconcezionale) e permette di rilevare la presenza di:
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Anticorpi specifici IgM, ovvero di immunoglobuline di classe M, che sono prodotte dal sistema immunitario come prima reazione all’ attacco di un agente infettivo “nuovo”, ovvero sconosciuto all’organismo;
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Anticorpi specifici IgG, ovvero immunoglobuline di classe G, che subentrano alle IgM nello stadio successivo di una prima infezione e che rimangono in circolo indicando che l’organismo in passato è entrato in contatto con quello stesso agente infettivo.
Come leggere i risultati del TOXO test? Ecco tutti i possibili esiti:
- IgM e IgG assenti. Significa che la gestante non è mai entrata in contatto con il Toxoplasma gondii e che quindi è a rischio di infezione. Dal momento che stiamo parlando di un parassita, non possiamo inattivarlo con un vaccino, l’unica misura possibile è quella della prevenzione attraverso norme alimentari e igieniche. Per tutta la gravidanza la futura mamma dovrà evitare il contatto diretto con la lettiera dei gatti (e ne ha uno o più in casa), non dare mai carne cruda al proprio felino, ed evitare di mangiarne a sua volta. Vanno eliminati per precauzione anche salumi e insaccati, e attenzione massima a verdure e ortaggi. Vanno lavati e disinfettati accuratamente prima del consumo se li si mangia crudi;
- IgG presenti, ma IgM assenti. Buon segno, significa che in passato si è entrati in contatto con il parassita, che ormai la fase acuta è stata superata e che non ci sono rischi di contagio per il feto;
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IgG assenti e IgM presenti. In questo caso, invece, siamo davanti ad un principio di infezione, da stroncare subito tramite l’assunzione di antibiotici;
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IgG e IgM presenti. Infezione in fase avanzata e acuta. Anche in questo caso di devono assumere antibiotici nella speranza che il parassita non sia già arrivato al feto.
Una specifica importante riguarda la tipologia delle immunoglobuline di classe G. Esse possono essere a “bassa avidità” o ad “alta avidità” con riferimento al legame, più o meno forte, con l’antigene “nemico”. Quando questi anticorpi sono a “bassa avidità” significa che il legame è ancora debole perché recente, quindi parliamo di una prima infezione in fase iniziale. Se le IgG sono, invece, ad alta avidità è perché si stanno riattivando in vista di un contatto nuovo con un antigene già conosciuto in passato (legame forte). In entrambi i casi avremo una toxoplasmosi in atto da curare con gli antibiotici.
Il rubeo test: quando farlo e perché
La
rosolia è una
malattia esantematica che si contrae normalmente nella prima infanzia, per la quale attualmente esiste un
vaccino consigliato soprattutto alle bambine.
Infatti sebbene questa infezione provocata da un virus della famiglia dei
Rubivirus, sia benigna e provochi pochi sintomi, qualora venga contratta in
gravidanza può rappresentare un serio pericolo per il feto.
Sordità, cecità, deficit mentali, difetti cardiaci o altro tipo di disabilità sono infatti le possibili conseguenze sul bambino o bambina che siano stati contagiati dal virus della rosolia in fase uterina. Ecco perché è così importante che la futura mamma si sottoponga al
RUBEO test entro le prime settimane di gestazione al fine di scoprire se risulti, o meno, immunizzata contro questo agente patogeno.
Questo discorso vale ovviamente per le donne non precedentemente vaccinate e che non sappiano con certezza se in passato abbiano avuto la rosolia e in che forma.
Una caratteristica di questa malattia esantematica è che se contratta in forma molto leggera, cosa che accade di frequente, non lascia un’immunità permanente. Se siete in cerca di una gravidanza (ma non ancora incinte) e volete stare tranquille, potete ugualmente sottoporvi al RUBEO test ed eventualmente vaccinarvi contro il virus per essere sicure di non contrarre l’infezione dopo il concepimento.
Se, invece, incinte lo siete già, dovrete eseguire il test per la rosolia, così come gli altri TORCH test, entro la 13a settimana di gestazione. Vediamo come leggere tutti i possibili risultati.
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IgG assenti e IgM assenti. Nessuna traccia nel sangue di anticorpi specifici antivirali, pertanto la futura mamma non ha mai avuto la rosolia. In gravidanza il vaccino non può essere somministrato perciò l’unica cosa da fare è cercare di evitare il contagio;
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IgG presenti e IgM assenti. In questo caso la donna risulta immunizzata per aver contratto l’infezione in passato, e quindi il feto non corre rischi di sorta;
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IgG assenti e IgM presenti. Siamo di fronte ad una rosolia in fase iniziale, pertanto se la donna è incinta la sua condizione di salute va attentamente monitorata;
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IgG presenti e IgM presenti. Attenzione massima, con questi valori la rosolia è in fase acuta, pertanto può danneggiare il feto. La situazione va controllata e gestita a livello medico.
In generale il rischio maggiore si corre quando la rosolia viene contratta dalla gestante nelle prime 20 settimane di gravidanza, e in ogni caso il bambino/a nascerà con una forma congenita dell’infezione. Se il contagio tra madre e feto avviene entro le 12 settimane il pericolo che il bambino/a nasca con gravi disabilità è elevato, per ridursi progressivamente. Se il contagio avviene dopo la 20a settimana è molto più difficile che il bambino/a ne venga danneggiato/a.
Il test del citomegalovirus (cmv): quando farlo e perché
Il Citomegalovirus (sigla CMV) è un virus erpetico che risulta innocuo per gli adulti, ma che se contratto in gravidanza può arrivare al feto e causare danni all’encefalo o provocare epatiti congenite. Per tale ragione è obbligatorio effettuare il controllo ematico della gestante al fine di individuare la presenza o l’assenza degli anticorpi specifici, proprio come accade nel caso della rosolia e della toxoplasmosi. Anche il test per il Citomegalovirus si effettua entro la 13a settimana di gravidanza e può dare esiti diversi.
Vediamo come interpretarli.
Ricerca delle IgG (immunoglobuline di classe G, anticorpi che permangono nel sangue a vita):
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Concentrazione inferiore a 12: assenza di anticorpi;
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Concentrazione tra 12 e 13,9: presenza di anticorpi dubbia, da verificare;
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Concentrazione uguale o superiore a 14: anticorpi presenti.
Ricerca delle IgM (anticorpi temporanei che si formano solo durante l’infezione acuta):
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Concentrazione inferiore a 18: anticorpi assenti;
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Concentrazione tra 18 e 21,9: presenza di anticorpi dubbia, da verificare;
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Concentrazione uguale o superiore a 22: anticorpi presenti.
Cerchiamo di capire cosa significhino questi valori combinati insieme:
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IgG e IgM assenti: non c’è traccia del virus nel corpo della gestante, la quale non ha mai contratto l’infezione. Pertanto è necessario che la donna si protegga da eventuale contagio durante tutta la gravidanza;
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IgG presenti e IgM assenti: nessun rischio per mamma e nascituro/a. I valori ci dicono che la gestante ha contratto in passato l’infezione e risulta pertanto immunizzata;
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IgG assenti e IgM presenti: in questo caso ci troviamo di fronte ad una infezione da CMV appena iniziata, pertanto una donna incinta dovrà essere monitorata e così il suo bambino/a;
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IgG presenti e IgM presenti: l’infezione da CMV è in atto e in fase avanzata, e anche in questo caso madre e nascituro/a vanno monitorati attentamente.
Come già abbiamo spiegato a proposito del TOXO TEST, le immunoglobuline IgG vengono classificate in base al legame – più o meno forte e quindi più o meno recente – con l’antigene “nemico”. IgG a bassa avidità indicato una infezione presente o contratta da poco tempo, viceversa IgG ad “alta avidità” indicano una infezione pregressa. Le IgG sono anticorpi che permangono a vita una volta attivati e che mantengono “memoria” del microrganismo patogeno che hanno combattuto.
Il test dell’herpes genitalis (hsv 2): quando farlo e perché
Altro importante esame del sangue da programmare durante le prime settimane di gravidanza: il test per la ricerca dell’Herpes virus di tipo 2, definito “genitalis” perché si trova in genere nelle mucose intime di donne e uomini. In una donna incinta questo microrganismo può arrivare al feto attraverso il sangue e provocare danni gravi di tipo encefalico proprio come il Citomegalovirus.
Come si effettua il test? Al solito tramite prelievo di sangue per rilevare la presenza o meno degli anticorpi specifici, e i risultati si leggono in questo modo:
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IgM presenti: segnalano un’infezione erpetica attiva o passata di recente. Mamma e feto devono essere attentamente monitorati;
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IgG presenti: questi anticorpi, quando presenti, ci dicono che in passato la futura mamma ha contratto il virus e l’infezione, anche se non attiva al momento. Tuttavia, questo non esclude il rischio che il virus torni a proliferare proprio in gravidanza, quando le difese immunitarie materne tendono ad abbassarsi fisiologicamente. Per questo occorre ugualmente monitorare le condizioni di gestante e feto;
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IgG e IgM assenti. Nessuna traccia del virus, né di infezioni recenti. Anche in questo caso, però, guardia alta perché non è da escludere la possibilità di una incubazione ancora non rilevabile.
In generale: dal momento che l’Herpes virus di tipo 2 si trasmette per via sessuale, è necessario che anche il partner della futura mamma si sottoponga al test al fine di evitare un possibile contagio. Infine, può accadere che questo virus, anche qualora rimanesse latente per tutta la durata della gestazione, si riattivi durante il parto naturale. Se ciò dovesse accadere, è necessario procedere ad un taglio cesareo onde evitare il rischio che il virus contagi il bambino/a.
Test della sifilide (vdrl): quando farlo e perché
Se pensavate che la
sifilide, la pericolosa malattia venerea provocata dal contagio con il batterio
Treponema pallidum, sia un ricordo di tempi andati, un po’ come la tubercolosi, vi sbagliate di grosso. Non solo questa infezione è ancora presente, ma spesso proprio per essere sottovalutata, può creare seri danni alla salute, in modo particolare se ci riferiamo a donne incinte.
Infatti il bacillo della sifilide è in grado di superare la barriera placentare e, attraverso il sangue materno, arrivare al feto causando malformazioni gravissime.
Ecco perché il
VDRL TEST è indicato tra quelli obbligatori da effettuare in gravidanza. Serve per rilevare la presenza o meno degli anticorpi anti
Treponema pallidum.
Vediamo cosa possiamo trovare tra gli esiti del test:
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IgG assenti e IgM assenti: nessuna traccia del batterio patogeno. Attenzione massima ad evitare il contagio sia per la futura mamma che per il suo partner (stiamo sempre parlando di una malattia a trasmissione sessuale, infatti);
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IgG presenti e IgM assenti: la gestante ha contratto in passato l’infezione e ora risulta immunizzata, il che esclude qualsiasi rischio per il feto;
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IgG assenti e IgM presenti: infezione in stadio iniziale, è necessario sottoporre la gestante a cura antibiotica;
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IgG presenti e IgM presenti: infezione in fase acuta, e anche in questo caso profilassi antibiotica. Le penicilline sono il farmaco d’elezione per questa malattia.
Il test dell’aids: quando farlo e perché
Quando si decide di programmare una gravidanza il
test dell’AIDS dovrebbe essere obbligatorio per uomini e donne. Lo è, però, una volta che la gravidanza sia già cominciata. Questo test prevede la ricerca, nel sangue materno, degli
anticorpi anti HIV 1 e HIV2, ovvero le due tipologie di virus della
sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) che conosciamo e che sono diffusi.
Se il test è positivo, però, non significa che la futura mamma sia ammalata di AIDS, ma solo che risulta
sieropositiva, ovvero che ha contratto il virus.
La fase di latenza dello stesso, infatti, è estremamente lunga.
Vediamo quindi
come leggere gli esiti del test:
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Assenza di anticorpi (test negativo): nessun rischio, la gestante non ha contratto il virus;
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Presenza di anticorpi (test positivo): esiste un contagio, quindi la futura mamma risulta sieropositiva.
In caso di positività è necessario limitare al massimo il rischio che il virus possa trasmettersi al feto, per questo la gestante dovrà essere monitorata costantemente e sottoporsi alle terapie antiretrovirali di profilassi.
Il test dell’epatite B (hbv): quando farlo e perché
Molte donne attualmente in cerca di una gravidanza sono già protette dal
virus dell’epatite B grazie alla ormai trentennale campagna di
vaccinazione obbligatoria per bambini e adolescenti.
Questo è un bene, perché il virus di questa grave forma di
infezione epatica è pressoché silente finché non abbia prodotto
danni seri al nostro fegato, predisponendo peraltro a malattie potenzialmente letali quali il cancro e la cirrosi. Se la futura madre, però, non fosse vaccinata e contraesse il virus dell’epatite B (HBV), potrebbe facilmente
trasmettere l’infezione al feto attraverso il sangue o durante il parto.
In questo sfortunato caso il nuovo nato/a nascerebbe con una
epatite congenita cronica.
Per tale ragione l’ideale sarebbe quello di effettuare il test HBV prima di una gravidanza e in vista della stessa, ad ogni modo risulta obbligatorio a gestazione iniziata.
Questo esame del sangue si basa sulla ricerca – nel plasma – sia dell’antigene di superficie “nemico”
(proteine HBsAg e HBeAg) che degli
anticorpi relativi (HBsAb e HBeAb), più altri anticorpi. Può essere anche associata alla ricerca del DNA del virus.
La lettura del risultato è un po’ complessa e i valori devono essere
interpretati dal medico perché molto variabili tra di loro. Possono infatti emergere quadri diversi: infezione in atto, infezione cronica, infezione pregressa non risolta, immunità acquisita da infezione guarita nel passato, e persino presenza di virus inattivo (portatori sani di HBsAg). Quando tutti i valori sono negativi significa che la futura mamma non è mai entrata in contatto con il virus.
Test di coombs indiretto: quando farlo e perché
Il
test di Coombs indiretto è un particolare esame del sangue che si effettua obbligatoriamente in gravidanza quando la futura madre abbia un gruppo sanguigno con
fattore RH negativo.
Cosa comporta questa condizione?
Il fattore RH del sangue indica infatti
l’assenza, sulla superficie dei
globuli rossi (eritrociti) di un
antigene in grado di stimolare la risposta immunitaria.
Questo fattore, che nell’85% della popolazione mondiale è positivo, si eredita per via materna o paterna, proprio come il gruppo sanguigno.
Se la futura mamma ha un fattore RH negativo, e il feto eredita da parte paterna il fattore RH positivo in una prima gravidanza, il sangue del nascituro/a e quello materno, mescolandosi (cosa che può accadere sia durante la gravidanza che, più facilmente, durante il parto), possono innescare nella madre una sorta di
reazione immunitaria di “attacco” nei confronti del sangue con eventuale fattore RH positivo del figlio.
Il rischio diventa molto più elevato in caso di
seconda gravidanza, qualora anche il secondogenito/a avesse ereditato un fattore RH positivo da parte paterna.
Gli
anticorpi materni, attaccando il feto, ne potrebbero provocare la
morte in utero o comunque indurre un
aborto spontaneo.
Il test di Coombs indiretto tramite prelievo del sangue materno ci informa se siano presenti specifici
anticorpi anti eritrociti, o meglio, anti antigeni eritrocitari del nascituro/a.
Se questo fosse accaduto, nessun problema, si può risolvere la questione somministrando alla neo mamma, entro 72 ore dal parto del primo figlio/a, una infusione di
immunoglobuline anti D allo scopo di arrestare la produzione degli anticorpi anti eritrocitari. Nel corso di una seconda gravidanza si ripeterà il test di Coombs indiretto e qualora di nuovo positivo si procederà ad una somministrazione di immunoglobuline anti D nel corso della gestazione.
Test del dna fetale
Non è un test di screening obbligatorio, ma il
test del DNA fetale (Non Invasive Prenatal Testing-NIPT), che riesce ad isolare frammenti del materiale genetico del feto circolanti nel sangue materno, è in grado di rilevare eventuali
anomalie cromosomiche o genetiche tra cui la trisomia 21 (
sindrome di Down), e altre alterazioni nei cromosomi sessuali X e Y.
Il
rischio che il feto sia portatore di malattie ereditarie come la
sindrome di Edwards, la sindrome di Patau o la sindrome di Turner potrebbe, quindi, essere segnalato in fase molto precoce della gravidanza perché il prelievo del sangue per questo test si può effettuare già dopo la
decima settimana di gestazione.
Attenzione, però, gli esiti eventualmente positivi di questo test prenatale non invasivo, per quanto
attendibili al 99%, per quanto riguarda le
trisomie 18, 21 e 13, vanno comunque confermati da esami strumentali quali la translucenza nucale, il prelievo dei villi coriali (
villocentesi) o la
amniocentesi, laddove possibile. Gli esiti del test vanno interpretati dal medico che suggerirà il da farsi in caso di positività.
Domande e risposte
Quanto risulta attendibile il test del sangue per scoprire una gravidanza?
L’attendibilità è molto alta, pari al 99%. Rispetto al test di gravidanza classico che si basa sulla concentrazione di beta- HCG presente nelle urine, l’esame del sangue risulta molto più sensibile, pensate che si potrebbe teoricamente diagnosticare una gravidanza, ovvero un avvenuto concepimento, prelevando e misurando i livelli di beta HCG già una settimana dopo l’ovulazione, quindi prima ancora che sia arrivata la fase mestruale. Tuttavia non è opportuno sottoporsi ad un test di gravidanza così precocemente, meglio aspettare almeno una settimana di ritardo rispetto alla presunta mestruazione.
Il test del sangue in gravidanza può rivelare il sesso del nascituro/a?
Sì, ad esempio il test del DNA fetale che rileva le anomalie genetiche e cromosomiche e che si effettua alla decima settimana di gestazione può dirci se avremo un bambino o una bambina con un’attendibilità del 99%. In generale il sesso del feto si può già scoprire attraverso il sangue materno alla settima settimana di gravidanza.
Che cos’è il test del dna fetale (non invasive prenatal testing-nipt)
Si tratta di un esame dl sangue non invasivo e non obbligatorio che viene usato per lo screening della sindrome di Down (trisomia 21) e altre alterazioni genetiche e cromosomiche, isolando e analizzando frammenti del DNA fetale presenti nel campione di sangue materno. Il prelievo si effettua dalla decima settimana di gravidanza e ha un’attendibilità elevata, tra il 95 e il 98%. Ma attenzione, il risultato positivo o negativo non ci dice che il feto abbia effettivamente le sindromi o le malattie genetiche rilevate, ma solo la percentuale di rischio. Più accurate sono indagini strumentali invasive come l’amniocentesi o la villocentesi. I risultati del test del DNA fetale in genere arrivano dopo due settimane dal prelievo.
I valori di beta-hcg nel sangue possono rivelare fin da subito una gravidanza gemellare?
L’ormone Beta-HCG che viene prodotto non appena inizia il concepimento, è rilevabile nel sangue materno già 10 giorno dopo l’ovulazione. Normalmente i suoi valori si accrescono molto rapidamente raddoppiando ogni 2-3 giorni, per raggiungere il picco massimo tra la 10a e l’11a settimana di gestazione. Pertanto questo indicatore non può essere considerato attendibile, da solo, per rivelare una gravidanza gemellare in fase precoce. Occorre attendere l’ecografia.