Tumore ovarico: intervista all'Istituto di Candiolo

Tumore ovarico: intervista all'Istituto di Candiolo

Tumore ovarico: nuove terapie all'avanguardia

Intervista a Elena Geuna, Oncologa presso l'Istituto di Candiolo

Immagine che rappresenta la dottoressa Elena Geuna dell'Istituto di Candiolo
Il cancro dell’ovaio è il settimo tumore maligno più comune al mondo nel sesso femminile. Colpisce prevalentemente donne in postmenopausa di età superiore a 50 anni. La chemioterapia, insieme alla chirurgia, è uno dei cardini nel trattamento di questo carcinoma. Negli ultimi anni - per lo più in associazione alla chemioterapia - si sono affermate nuove terapie antiangiogenetiche e a bersaglio molecolare. Lo scopo principale di queste cure, dette“di mantenimento”, è di ridurre il rischio di recidiva garantendo alle pazienti una buona qualità di vita.
Ne parliamo con Elena Geuna, Oncologa presso l'Istituto di Candiolo (tra le specialità della struttura: chirurgia pelvica laparoscopica; oncologia ginecologica).


Quali sono i fattori di rischio per l'insorgenza del tumore ovarico e quali i fattori protettivi?

La causa specifica del cancro dell’ovaio è sconosciuta, ma sono stati identificati diversi fattori di rischio per lo sviluppo della malattia. È importante ricordare che i fattori di rischio aumentano la probabilità di sviluppare un cancro, ma non causano necessariamente l’insorgenza della malattia. 
Tra i fattori che aumentano il rischio troviamo:
  • Una storia familiare di neoplasia ovarica;
  • L’obesità;
  • La comparsa precoce delle mestruazioni;
  • Una menopausa tardiva;
  • La policistosi ovarica;
  • L'endometriosi;
  • E soprattutto la presenza di mutazioni di BRCA1 o 2. Il 6%-25% circa delle neoplasie maligne dell’ovaio, infatti, presenta una mutazione di BRCA1 o BRCA2.
Al contrario la multiparità, l’allattamento al seno ed un prolungato impiego di contraccettivi orali riducono il rischio di tumore ovarico.


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Esistono screening per questo tumore?

Al momento, in assenza di efficaci strategie con adeguate sensibilità e specificità, nessuno screening è raccomandato per la prevenzione primaria del carcinoma ovarico. Sono in corso studi che prevedono il dosaggio di specifici biomarcatori. Tali procedure potranno, in futuro, consentire di formulare diagnosi in fasi più precoci di malattia con migliori risultati in termini terapeutici e prognostici.
 
Immagine infografica che rappresenta un tumore all'ovaio


Qual è la percentuale di sopravvivenza?

La sopravvivenza globale a 5 anni delle pazienti con tumori epiteliali maligni dell’ovaio si aggira intorno al 50%. Se il tumore è confinato all’ovaio la sopravvivenza raggiunge il 90% mentre scende al 15-20% negli stadi avanzati.


Che tipo di approcci vengono impiegati oggi nella cura del carcinoma ovarico?

Il trattamento somministrato dipende principalmente dallo stadio della malattia alla diagnosi.

La chirurgia rappresenta la principale opzione di trattamento per il cancro epiteliale dell’ovaio in stadio precoce. Lo scopo della chirurgia del cancro epiteliale dell’ovaio è quello di rimuovere il tumore il più radicalmente possibile e di determinare lo stadio della malattia fondamentale per impostare il successivo iter terapeutico.
L’asportazione macroscopicamente totale della malattia aumenta la sopravvivenza della paziente e va effettuata da un team di chirurghi oncologi ginecologi specializzato in questo tipo di tumore. Se la malattia viene asportata radicalmente, il guadagno in termini di sopravvivenza per la paziente arriva a 40 mesi rispetto a pazienti in cui l’intervento chirurgico non ha asportato completamente la malattia. A seconda dell'età della paziente e dello stadio a cui la malattia viene scoperta, il chirurgo può decidere per diversi tipi di interventi, più o meno invasivi.

La chemioterapia è, insieme alla chirurgia, uno dei cardini nel trattamento del carcinoma ovarico e si avvale, in prima istanza, di un trattamento farmacologico a base di paclitaxel e carboplatino. Altri farmaci come la doxorubicina liposomiale peghilata, la gemcitabina e la trabectedina sono più spesso utilizzati in seconda linea dopo il fallimento del trattamento standard. 

Negli ultimi anni, per lo più in associazione alla chemioterapia, si sono affermati nuovi trattamenti che annoverano terapie antiangiogenetiche (come il bevacizumab) e terapie a bersaglio molecolare (come gli inibitori dell’enzima PARP). Lo scopo principale di queste terapie, dette di mantenimento, è quello di ridurre il rischio di recidiva mantenendo una buona qualità della vita delle pazienti.


Immagine che rappresenta una donna con dolore ovaricoIn quali casi si ricorre alle diverse opzioni terapeutiche?

La chirurgia conservativa è possibile soltanto in alcuni casi ben selezionati. In particolare, è possibile negli stadi precoci e per le donne che intendono ancora avere figli. Può essere effettuata anche con tecniche mini-invasive come la chirurgia robotica e la laparoscopia. In questo caso, c'è un piccolo aumento del rischio di recidive rispetto alla chirurgia radicale e la necessità di sottoporsi ad un follow-up intensivo.

Nei casi in cui il carcinoma ovarico si presenta in stadio avanzato, il medico può decidere per un intervento di citoriduzione
La citoriduzione primaria si effettua nei casi in cui la malattia si è diffusa nella pelvi e nella cavità addominale e ha l'obiettivo di asportare tutta la malattia macroscopicamente visibile. Questo tipo di intervento viene eseguito attraverso un accesso invasivo laparotomico che permette maggiori visibilità e spazio di manovra chirurgico. La prognosi e la sopravvivenza di queste pazienti sono correlate al tumore residuo di questo primo intervento chirurgico. Per questa ragione è molto importante che la chirurgia citoriduttiva sia eseguita correttamente da una équipe di ginecologi oncologi specializzati nella cura di questi tumori.
La citoriduzione d’intervallo ha lo scopo di rimuovere tutta la malattia visibile, come nel caso della citoriduzione primaria, ma si effettua dopo il trattamento chemioterapico neoadiuvante. Questo approccio viene applicato quando il trattamento chirurgico in prima istanza viene considerato troppo aggressivo o impossibile.

Dopo la chirurgia, tutte le donne con cancro epiteliale dell’ovaio operabile classificato come stadio II, III o IV devono ricevere la chemioterapia. Il trattamento standard è rappresentato da un regime a due farmaci – paclitaxel e carboplatino – somministrati entrambi per via endovenosa una volta ogni tre settimane. Solitamente vengono somministrati sei cicli di trattamento.

La chemioterapia, che fino a una decina di anni fa era l’unica opzione di trattamento farmacologico per le donne con tumore ovarico, è oggi affiancata anche da terapie a bersaglio molecolare, utilizzate sia nella prima linea di trattamento sia in caso di recidiva.    
Tra questi farmaci mirati si possono ricordare l’anticorpo monoclonale bevacizumab, che interferisce con la formazione di nuovi vasi sanguigni del tumore (angiogenesi) e gli inibitori di PARP (olaparib, niraparib e rucaparib). Gli inibitori di PARP come terapia di mantenimento risultano particolarmente efficaci nei tumori con mutazione dei geni BRCA1 o BRCA2, ma sono efficaci anche in assenza di mutazione.


In che direzione sta andando la ricerca scientifica?

La terapia del carcinoma ovarico sta vivendo un periodo estremamente promettente partito dalla rivoluzione introdotta dall’arrivo nel setting della prima linea dei farmaci della classe dei PARP inibitori, rivoluzione che si ripercuote sulle linee successive, e nella quale stanno assumendo sempre più importanza nuovi target biomolecolari.
Molti studi clinici sono infatti in corso per identificare nuove strategie terapeutiche direzionate a colpire specifici target.


Che tipo di follow up è previsto dopo il trattamento?

Un follow-up regolare ed intensivo è fondamentale per il riscontro precoce di recidive di malattia. I controlli devono essere eseguiti semestralmente per almeno 5 anni dalla chirurgia, quindi annualmente e devono prevedere una combinazione di valutazione clinica, ecografia transvaginale e addominale e dosaggio di CA125.

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