Tumore del colon-retto: i progressi in chirurgia
Intervista a Felice Borghi, Direttore Area Chirurgica e Chirurgia Oncologica dell'Istituto di Candiolo FPO-IRCCS e Vice Presidente ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani)

Il
cancro del colon-retto è tra i più frequenti, specialmente nei paesi occidentali. In
Italia si contano
oltre 50mila nuovi casi ogni
anno.
Nella donna questo tumore è secondo per incidenza dopo quello della
mammella, mentre nell'uomo è terzo, dopo i carcinomi del
polmone e della
prostata. Se localizzato, la prima arma per combatterlo è la
chirurgia colorettale, campo in cui la ricerca scientifica ha fatto notevoli progressi, contribuendo al miglioramento dei tassi di sopravvivenza. La tecnica di prima scelta è quella
mininvasiva laparoscopica, che limita in maniera significativa il trauma per il paziente.
“Visto il suo impatto sociale sul Sistema Sanitario Nazionale, il tumore del colon-retto rappresenta uno dei principali temi di interesse dal punto di vista clinico e scientifico per l'Istituto di Candiolo”, dice
Felice Borghi, Direttore Area Chirurgica e Chirurgia Oncologica dell'Istituto di Candiolo FPO-IRCCS e Vice Presidente ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani), che ci spiega quali sono i fattori di rischio per l'insorgenza di questa neoplasia, come arrivare precocemente alla
diagnosi e quali sono i
trattamenti d'avanguardia oggi disponibili.
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Quali sono i fattori di rischio per l'insorgenza di questa neoplasia?
Tra i fattori di rischio vanno citati:
- L'età avanzata (anche se non bisogna trascurare sintomi sospetti in soggetti giovani);
- Lo stile di vita (in particolare un'alimentazione eccessivamente ricca di carne e carboidrati);
- Il sovrappeso;
- L'abitudine al fumo;
- L'abuso di alcool;
- La presenza di polipi intestinali e di malattie infiammatorie croniche;
- Altro fattore di rischio è la familiarità per questo tumore (la presenza cioè di altri casi in famiglia) che, al di là di sindromi genetiche ben codificate, deve allertare il paziente e il medico anche in caso di sintomi aspecifici con l’indicazione ad anticipare gli esami diagnostici e di screening.
In cosa consiste lo screening e chi deve sottoporsi?
Quando parliamo di
screening ci riferiamo ad esami la cui efficacia diagnostica deve essere accompagnata da bassi rischi e limitati disagi per il paziente oltre che da costi ridotti per il Sistema Sanitario Nazionale.
Per questa ragione la
colonscopia (esame ideale sia per riconoscere i polipi sia eventualmente per rimuoverli) viene
riservata ai pazienti che risultano
positivi all'esame per la
ricerca del sangue occulto nelle feci o alla rilevazione di lesioni alla
rettosigmoidoscopia, test che esamina il tratto terminale del colon dove sono presenti il 70% dei tumori. Entrambi questi esami sono validi.
Il
test per la ricerca del
sangue occulto nelle feci viene offerto con
cadenza biennale a tutti gli individui
tra i 50 e i 70 anni, mentre la
rettosigmoidoscopia viene proposta
una volta nella vita intorno ai
60 anni, ma esiste variabilità in base ai programmi delle differenti Regioni d’Italia: tutti validi se l’adesione dei cittadini è alta (obiettivo a cui bisogna puntare attraverso campagne di informazione).
In caso di sintomi di tipo intestinale dopo screening negativo, il suggerimento è di consultare uno specialista in quanto gli esami non sono infallibili.
Il
servizio di endoscopia dell'Istituto di Candiolo partecipa attivamente allo screening dei tumori del colon-retto eseguendo la colonscopia su pazienti che presentino il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci positivo eseguito presso le ASL circostanti: in molti casi, i
polipi rilevati vengono
asportati nella stessa seduta e fatti esaminare dal punto di vista istologico presso la nostra
Anatomia Patologica per decidere il successivo iter, che viene discusso e portato a termine dai vari specialisti dell’Istituto.
Chirurgia Generale Istituto di Candiolo
Quanto è importante la diagnosi precoce di questo carcinoma?
È fondamentale. Molto spesso i polipi rilevati e asportati in corso di screening sono ancora benigni o si sono appena trasformati in maligni e
non necessitano quindi di ulteriore trattamento chirurgico. Sono intuibili i
vantaggi per il paziente, che in questi casi dovrà soltanto
sottoporsi a controlli periodici nel tempo.
Nell'eventualità venga individuato un tumore maligno, è in genere comunque in uno stadio più precoce rispetto a quelli che danno sintomi. Necessiterà quindi di un intervento chirurgico poco invasivo, che spesso
non richiede di essere seguito da altri trattamenti come la
chemioterapia. Tutto ciò ha delle implicazioni positive anche sulla prognosi a distanza della malattia.
Come riconoscere i primi segnali della neoplasia?
I
sintomi del tumore del colon-retto sono spesso
aspecifici e
variano in base alla sede e allo stadio della malattia.
I pazienti devono segnalare al medico curante cambiamenti persistenti nelle
abitudini intestinali:
- Una stipsi ingravescente con una riduzione del calibro delle feci;
- Una defecazione in più tempi con emissione di muco e sangue (da non sottovalutare e attribuire sempre alla presenza di emorroidi come fanno in molti perdendo mesi preziosi prima della diagnosi di tumore).
Anche la
comparsa di
dolori addominali persistenti in soggetti che non hanno mai sofferto di colon irritabile deve allertare così come una stanchezza senza apparenti cause che risulta poi essere legata ad un'anemia cronica da mancanza di ferro (causata dalla perdita di sangue occulto dovuta al tumore).
Il
calo significativo di peso e i sintomi da
occlusione intestinale sono, invece, di solito segni di malattia avanzata.
La mortalità è in calo per il tumore del colon-retto: a cosa è attribuibile questo traguardo?
Sicuramente la
diffusione dello screening e la
diagnosi precoce giocano un
ruolo fondamentale nel raggiungimento di questo obiettivo, così come la
prevenzione (la modifica cioè degli stili di vita, mediante un'adeguata alimentazione e un incremento dell’attività fisica).
A ciò va aggiunto che gli interventi chirurgici sono sempre più mirati e associati a minori complicanze. Le terapie oncologiche permettono di raggiungere risultati sempre migliori grazie alla scoperta delle modalità di comportamento delle cellule tumorali e della risposta dell’organismo.
Al riguardo, presso il nostro istituto sono in corso
numerosi studi volti a trasferire nel più breve tempo possibile i risultati delle ricerche di base nella pratica clinica di tutti i giorni.
Oggi la
sopravvivenza globale dei pazienti affetti da tumore colon-rettale di qualunque stadio è intorno al 60%. La maggior parte dei pazienti il cui tumore è ancora circoscritto all’organo, grazie ai trattamenti oggi disponibili, può guarire mantenendo una
buona qualità di
vita.
È la chirurgia la prima arma contro questo tumore?
Per i
tumori localizzati la
chirurgia è la
prima opzione quando non sono più presenti le indicazioni per un’asportazione endoscopica. L’intervento consiste nella resezione del tratto interessato dalla neoplasia (con margini adeguati) e dei linfonodi (che drenano la linfa di quel segmento), perché potenzialmente invasi dalle cellule tumorali. Nella maggior parte dei casi è possibile ripristinare subito la continuità intestinale eccetto che per tumori molto vicini all’ano o nei casi di interventi urgenti per occlusione o perforazione.
La tecnica di prima scelta è ormai quella
mininvasiva mediante
laparoscopia, che consiste nell’inserzione nell’addome di cannule attraverso cui vengono introdotti gli strumenti necessari e una videocamera che proietta le immagini in un monitor: i chirurghi possono così operare osservando i dettagli ingranditi di organi e tessuti.
Tale metodica
riduce il trauma chirurgico, alcune complicanze e il dolore del paziente, permette una ripresa più rapida delle funzioni e una dimissione precoce, con la possibilità di ritornare a una vita normale in tempi brevi e di affrontare presto le eventuali terapie oncologiche necessarie.
Presso l'
Istituto di Candiolo siamo dotati delle tecnologie di laparoscopia più avanzate
con visione 3D e 4K. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo applicato la tecnica mininvasiva in oltre l’80% dei casi rispetto a una media nazionale del 45%. I pazienti vengono seguiti nelle fasi pre, intra e postoperatoria applicando un protocollo di riabilitazione precoce che minimizza lo stress indotto dall’intervento (si ottimizzano le condizioni dei pazienti riducendo al minimo l’invasività delle procedure come la preparazione intestinale, l’applicazione di sondini e drenaggi, ecc...).
Per il
tumore del retto si ricorre al Robot Da Vinci, che permette di guidare il movimento di sofisticati strumenti articolati, che vengono introdotti - come in laparoscopia - utilizzando una console dotata della migliore visione ingrandita e tridimensionale attraverso dei joystick.
Così facendo è possibile
ridurre ulteriormente le
perdite di
sangue, rispettare meglio i nervi della funzione genito urinaria e conservare la funzione sfinterica (anche in caso di tumori molto bassi). I costi sicuramente maggiori sono, a mio parere, compensati dalla migliore qualità di vita offerta ai pazienti, sempre nel rispetto dei criteri oncologici di radicalità.
Quali altri trattamenti locali o sistemici sono disponibili?
Ormai l’approccio al trattamento dei tumori è
multidisciplinare: non appena lo stadio della malattia sconfina dalle indicazioni strettamente chirurgiche, il caso viene discusso da
oncologo,
chirurgo,
radioterapista,
radiologo,
anatomopatologo,
gastroenterologo,
medico nucleare ed eventuali
altri specialisti che vengono coinvolti al fine di disegnare il percorso più adatto per quel determinato paziente.
Per il tumore del colon sono previsti trattamenti chemioterapici
pre-operatori, in particolare se il paziente presenta metastasi a distanza, che coinvolgono ad esempio fegato e polmone. L'obiettivo è cercare di rendere operabili anche queste localizzazioni nel corso dello stesso intervento o in più tempi, con la stretta collaborazione - per quanto riguarda il polmone – del
chirurgo toracico (che presso l'Istituto di Candiolo è inserito nella mia Struttura).
Altri casi necessitano di trattamenti chemioterapici “
adiuvanti” (che riducono la probabilità di sviluppare metastasi, visto lo stadio avanzato della malattia).
Di più recente introduzione è l’
immunoterapia, che sfrutta la risposta delle cellule immunitarie verso il tumore. Questo trattamento è purtroppo utilizzabile - a differenza di quanto avviene per altre neoplasie - in una piccola percentuale di tumori colo-rettali che esprimono alcune caratteristiche molecolari che vengono testate dai nostri anatomopatologi dotati delle tecnologie necessarie. Nei casi che risultano sensibili otteniamo delle risposte a volte eccezionali: grosse masse inoperabili si riducono e diventano resecabili (cioè eliminabili chirurgicamente) senza dover sacrificare gli organi attigui precedentemente coinvolti.
Un caso a parte è rappresentato dal
tumore del
retto, che per la sede e le implicazioni funzionali degli interventi necessita sempre di una
discussione multidiscipinare. Con grande frequenza entra in gioco la radioterapia insieme alla chemioterapia per circoscrivere la massa tumorale all’interno della pelvi e permettere un intervento conservativo della funzione sfinterica riducendo inoltre di molto la possibilità di una recidiva locale.
In circa un quarto dei casi trattati preoperatoriamente otteniamo una risposta completa del tumore che possiamo inserire in un protocollo di sorveglianza molto stretta con
TAC,
RM e
visite periodiche senza neppure operare il paziente a meno che la malattia non si ripresenti.
Nei casi di risposta quasi completa possiamo anche proporre, sempre all’interno del nostro protocollo, di
asportare localmente il
residuo tumorale con un intervento
transanale, molto meno invasivo (una tecnica endoluminale microchirurgica), specie in soggetti anziani cui va garantita una buona qualità di vita residua ottenendo un compromesso con la radicalità oncologica.
Tutto ciò nell’ottica di individuare un
trattamento personalizzato per il
singolo paziente, possibile nel nostro istituto grazie alla presenza di tutti i professionisti necessari a seguire l’intero percorso oncologico, compreso l’infermiere case manager (indispensabile per dare continuità al malato) e l’enterostomista (per la gestione delle stomie spesso solo temporanee ma indispensabili per favorire la guarigione di suture vicine al margine anale).
Quali requisiti dovrebbero avere gli ospedali che trattano questo tipo di tumore?
È necessario che all’interno dell’ospedale siano presenti le professionalità precedentemente citate per garantire un percorso oncologico completo e ottimale per il paziente affetto da tumore del colon-retto.
Sono inoltre indispensabili le
tecnologie endoscopiche e
radiologiche per la diagnosi e la terapia e quelle di sala operatoria aggiornate per una chirurgia mininvasiva e sicura che ancora in Italia ha degli spazi di diffusione e implementazione.
I
dati del Programma Nazionale Esiti di AGENAS dimostrano che molte strutture operano un volume di casi insufficiente per maturare l’esperienza e le capacità tecniche adeguate per ottenere i migliori risultati in termini di complicanze postoperatorie, lunghezza della degenza e tassi di recidiva di malattia e sopravvivenza a distanza. Questo vale in particolare per il tumore del retto che presenta difficoltà di scelte terapeutiche e tecniche superiori a quelle del colon.
È auspicabile quindi che
continui il
processo di
organizzazione di centri con le caratteristiche tecniche e di expertise, promosso dalle reti oncologiche e dalle società scientifiche, che garantisca i corretti volumi per ospedale e per chirurgo al fine di ottenere risultati omogenei e ottimali a breve e lungo termine.
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