Trapianto di midollo osseo: intervista all'Istituto di Candiolo

Trapianto di midollo osseo: intervista all'Istituto di Candiolo

Trapianto di midollo osseo: in che direzione sta andando la ricerca?

Intervista al Dott. Fabrizio Carnevale Schianca, Oncologia Medica FPO-IRCCS di Candiolo


Il trapianto di midollo osseo (CSE), a differenza di tutte le altre procedure trapiantologiche impiegate in medicina, non è una procedura chirurgica ma consiste nell’infusione nel sangue del paziente di cellule staminali emopoietiche. In base alla sorgente delle cellule staminali, se provengono da un donatore o dal paziente stesso, si distinguono due tipologie di trapianto di CSE:
  1. Allogenico;
  2. Autologo.
Il trapianto allogenico trova indicazione principalmente nella cura delle leucemie acute, delle sindromi mielodisplastiche (o mielodisplasie) e di alcune forme di malattie onco-ematologiche di tipo cronico, ma vi si ricorre anche per la cura di alcune forme di cattivo funzionamento del midollo osseo (aplasia midollare) e,  in età pediatrica, di alcune tipologie di immunodeficienza congenita. Viene utilizzato, inoltre, in caso di ricaduta in alcuni tipi di Linfomi.

Il trapianto autologo, invece, rappresenta una terapia insostituibile in caso di diagnosi di Mieloma Multiplo e in caso di ricaduta in alcuni tipi di Linfoma. Ha un ruolo, inoltre, in alcune forme di tumore solido in età pediatrica. 

Grazie alle conoscenze acquisite sui meccanismi immunologici negli anni si è riusciti a ridurre molti effetti collaterali legati a questa procedura. Il Dott. Fabrizio Carnevale Schianca, Divisione di Oncologia Medica dell'Istituto a carattere scientifico di Ricerca e Cura sul Cancro di Candiolo, spiega quali passi avanti sono stati fatti in questa direzione e quali sono le prospettive future della procedura.

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Immagine che rappresenta il dottor Fabrizio Carnevale Schianca


In cosa consiste il trapianto di CSE?

Il trapianto di midollo osseo (CSE) consiste nell’infusione nel sangue del paziente di cellule staminali emopoietiche. Questa procedura è stata introdotta in medicina alla fine degli anni ’60 del 1900 per curare alcune malattie oncologiche – come le leucemie acute - che originano dal midollo osseo.

Le CSE sono delle cellule contenute all’interno del midollo osseo che hanno la capacità di generare le cellule mature del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). Questa capacità non solo non si esaurisce mai nel corso della vita in condizioni fisiologiche, ma, rispondendo a tutta una serie di messaggi biologici, in alcune situazioni può aumentare. Grazie a questa plasticità, le CSE possono essere donate a fini di trapianto.

Quando è stato introdotto, il trapianto di CSE si basava sul presupposto che dosi molto alte di chemio o radioterapia potevano eradicare completamente alcune malattie ematologiche. Per poter utilizzare alti dosaggi (che comportavano una tossicità molto elevata nei confronti delle cellule staminali sane) bisognava, però, contare su una riserva di cellule da infondere ai pazienti dopo il trattamento chemioterapico affinché il midollo osseo potesse tornare a svolgere la sua funzione.

Da allora in medicina sono stati compiuti molti passi avanti che hanno permesso di migliorare le indicazioni al trapianto e di controllare la tossicità. È importante sottolineare che, oltre a un’azione di riparazione del danno, le CSE hanno mostrato una straordinaria azione immunologica contro il tumore.

Immagine che rappresenta il midollo osseo nelle ossa


Quali sono i possibili effetti collaterali di questa procedura?

Sebbene nel corso degli anni si sia lavorato per contenere sempre più la tossicità del trapianto di CSE, alcune complicanze possono ancora inevitabilmente insorgere. Una fase delicata è quella in cui il midollo non funziona ancora in modo ottimale e il paziente ha poche difese.

Il rischio maggiore è rappresentato dall’attivazione del sistema immunitario del donatore contro il paziente (una reazione denominata “graft versus host disease” o “malattia del trapianto contro l'ospite”). A seconda che tale complicanza si sviluppi entro 100 giorni dal trapianto o successivamente, si distinguono una forma acuta e una forma cronica di malattia. Sono tanti gli organi presi di mira in questo frangente, ma i più colpiti sono la cute, il sistema gastrointestinale e il fegato. Per limitare questa complicanza, tutti i pazienti che devono sottoporsi a trapianto sono invitati ad assumere per un certo periodo (fino al raggiungimento di una reciproca tolleranza) una terapia farmacologica che permette di controllare il sistema immunitario.

Questa è stata a lungo la complicanza più temuta in caso di trapianto allogenico, in quanto di difficile gestione specialmente nelle forme più gravi. Negli ultimi anni la capacità di controllo della patologia è però cresciuta notevolmente e il suo impatto negativo si è molto ridotto limitando di conseguenza l’impatto complessivo della tossicità della procedura.


Quali sono gli obiettivi per il futuro?

Stiamo vivendo anni di grandi innovazioni: si lavora per aumentare l'efficacia di tutte le terapie oncologiche, per renderle più precise nell'azione e sempre meno tossiche. Questo vale anche per il trapianto di midollo osseo. Grazie alle conoscenze acquisite sui meccanismi immunologici si è riusciti a ridurre molti effetti collaterali legati a questa procedura, ma l'auspicio è di riuscire a migliorare ulteriormente la capacità di controllare le possibili tossicità

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