Aggiornato il 02.10.2021
I casi di tumore associati ad un’infezione virale non sono rari e isolati: si stima che in Italia l’8,5% di tutte le neoplasie sia dovuta a questa causa.
HPV è l’acronimo di Human Papilloma Virus, una famiglia che comprende più di 200 sierotipi (detti anche ceppi) di virus umani a DNA, la maggior parte dei quali responsabile di lesioni benigne e definiti per questo a basso rischio.
Alcuni elementi di questa famiglia, tuttavia, se non correttamente trattati, sono correlati allo sviluppo di tumori (sono, cioè, virus oncogeni) e per questa ragione vengono classificati come ad alto rischio.
Questi virus sono complessivamente molto comuni, tanto che si calcola che 8 persone su 10 siano venute in contatto con essi almeno una volta nella vita.
Non esiste un trattamento unico per tutte le infezioni da Human Papilloma Virus, ma, a seconda del sierotipo con il quale si è venuti a contatto e del tipo di infezione sviluppata si procede con un trattamento specifico.
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Alcuni elementi della famiglia HPV si replicano nelle cellule della pelle e delle mucose e ne promuovono una proliferazione eccessiva. Si tratta di un fenomeno definito iperplasia che porta alla formazione di lesioni quali le verruche (sulla cute) e dei condilomi (a livello delle mucose).
Rientrano in questo gruppo i sierotipi HPV6 e HPV11.
Condilomi e verruche vengono diagnosticati su base clinica, con l’osservazione delle lesioni da parte del medico nel corso della visita dermatologica.
Solo raramente, in caso di dubbio, viene eseguita una biopsia.
Poiché la trasmissione del virus responsabile di queste lesioni si verifica principalmente in luoghi quali palestre, piscine, caserme e bagni pubblici, è bene prestare attenzione alle misure igieniche adottate in questi ambienti.
Per prevenire il contagio, i piedi non devono mai venire in contatto con i pavimenti, ma sempre essere protetti da ciabatte o scarpe. Devono essere asciugati accuratamente dopo il nuoto o la ginnastica e la doccia e vestire calzini di cotone che ne permettano la corretta traspirazione: l’ambiente caldo-umido che si crea all’interno della calzatura favorisce la proliferazione virale.
In caso di verruche, evitando di mangiarsi le unghie si riduce il rischio di diffusione delle lesioni alle dita attigue.
Per prevenire il contagio di condilomi genitali occorre evitare rapporti a rischio, utilizzare il profilattico e curare l’igiene personale.
La presenza di una manifestazione legata al virus espone al contagio il partner, un’evenienza che è possibile evitare con una comunicazione tempestiva e un’adeguata protezione dei rapporti.
Si tratta di formazioni cutanee caratterizzate da accumuli di cellule rivestiti da uno strato di epidermide indurita ricca di cheratina (ipercheratosi). Alcune crescono singolarmente, mentre altre in gruppi, nei quali sono parzialmente sovrapposte fra loro (sono, cioè, disposte a mosaico).
Alcune di esse sono rilevate, mentre altre sono piatte. Queste ultime compaiono spesso in volto e possono essere disseminate accidentalmente con la rasatura. Le verruche piatte sono fra le più difficili da trattare.
Possono comparire a qualunque età, ma che sono più frequenti nei bambini e meno diffuse nelle persone anziane.
Essendo causate da un virus, sono contagiose, sia a livello interpersonale (da persona a persona) che intrapersonale (possono, cioè, diffondersi sulla pelle di uno stesso soggetto, coinvolgendo altre dita o la mano o il piede controlaterali).
Possono, in determinati casi, guarire spontaneamente, ma spesso la risoluzione delle lesioni è solo apparente: il virus rimane nelle cellule della cute, pronto a riattivarsi per dare vita ad una nuova verruca. Nella maggior parte dei casi, la rimozione con agenti chimici o con altre metodiche rappresenta l’unica cura definitiva.
Possono svilupparsi a livello della pianta dei piedi (verruche plantari), sul palmo delle mani (verruche palmari) o lungo i bordi delle unghie (verruche periungueali).
Sono di solito asintomatiche, ma possono occasionalmente produrre prurito, bruciore e fastidio locali.
Solo raramente sono dolorose, ma possono diventarlo se sfregate. Capita di frequente che lo diventino le verruche localizzate a livello della pianta dei piedi, che vengono strofinate contro la superficie interna della scarpa.
Le verruche cutanee possono essere trattate con un approccio conservativo o rimosse chirurgicamente.
Nel primo caso vengono impiegate soluzioni topiche a base di sostanze cheratolitiche (in grado, cioè, di sciogliere il tessuto cutaneo in eccesso), come l’acido salicilico o l’acido tricloroacetico. Possono anche essere applicate pomate ad azione antivirale, ad esempio a base di 5-fluorouracile.
Le verruche piane sono spesso trattate con agenti di peeling come la tretinoina o l’acido lattico.
In alcuni casi i prodotti per uso topico possono essere applicati dal paziente stesso, mentre in altri casi necessitano dell’intervento del dermatologo, a causa soprattutto del rischio di ustione della pelle sana. Nel caso di terapia autonoma del paziente, la durata è sempre piuttosto lunga: da settimane a mesi.
L’asportazione della superficie di tessuto necrotico e la successiva immersione della parte su cui è presente la verruca in acqua calda prima dell’esecuzione del trattamento favoriscono la penetrazione delle sostanze chimiche.
Quando il trattamento topico non funziona, si può provare con altre metodiche. Una di queste è la crioterapia, attraverso la quale l’area di cute interessata viene congelata mediante l’applicazione a spruzzo di azoto liquido.
La crioterapia può essere preceduta da una lieve anestesia locale, utile soprattutto se si deve intervenire sui bambini. Le verruche possono essere congelate con diverse sonde per crioterapia disponibili in commercio.
La rimozione può essere eseguita con tecniche quali la diatermocoagulazione e la laser terapia, che sono però più dolorose e lasciano una cicatrice residua e vengono prescritte quando le lesioni sono relativamente estese.
Sono anche definiti verruche genitali (o creste di gallo) e possono svilupparsi a livello dei genitali e nell’area del perineo.
Appaiono come piccole escrescenze, disposte per lo più a grappolo, dalla forma simile a quella di un cavolfiore. Possono, in alternativa, avere forma piatta.
Sono estremamente contagiosi e possono essere trasmessi attraverso rapporti non protetti. Possono comparire anche a distanza di settimane o mesi dal contatto infetto.
Pur non causando sintomi particolarmente intensi e non rappresentando un pericolo imminente per la salute, devono essere rimossi rapidamente, per evitare la loro infiltrazione nelle aree circostanti. Il trattamento dipende dal loro numero e dalla loro localizzazione.
Le forme esterne possono essere rimosse mediante crioterapia, ossia congelamente tramite l’applicazione di azoto liquido a spruzzo, oppure vaporizzazione con la laser terapia, bruciatura con la diatermocoagulazione o asportazione chirurgica.
Talvolta viene seguito un approccio conservativo mediante l’applicazione locale di farmaci immunomodulanti (imiquimod, interferone) o citotossici (podofillina).
I condilomi interni possono essere rimossi solo con tecniche di chirurgia locale sotto guida strumentale.
I tipi di HPV più pericolosi per la salute sono quelli che, accelerando la replicazione cellulare di alcuni tessuti, portano allo sviluppo di tumori maligni. Queste neoplasie possono formarsi a livello delle alte vie respiratorie (laringe, faringe, lingua, tonsille, palato, naso) o dei genitali.
In questo gruppo di virus rientrano i sierotipi HPV16 e HPV18.
Questo tipo di infezione ha una frequenza relativamente elevata nella popolazione e si trasmette essenzialmente attraverso i rapporti sessuali, ma anche, in rari casi, mediante un contatto fisico in presenza di lacerazioni, tagli o abrasioni nella pelle o nelle mucose.
Rari, ma presenti in letteratura scientifica, sono casi di contagio in ambienti di comunità (piscine, caserme) attraverso il contatto con superfici in precedenza venute a contatto con persone infette.
Le infezioni delle vie respiratorie o del cavo orale si trasmettono mediante rapporti orali.
Le persone immunocompromesse sono più esposte al rischio di contagio.
Il più diffuso tumore associato al virus HPV è quello, che riguarda la donna, della cervice uterina.
Anche la salute maschile può essere messa a rischio da questo patogeno: nell’uomo HPV può dare luogo a lesioni che evolvono verso neoplasie dei genitali, del perineo e dell’ano. Spesso i sintomi sono assenti o lievi e difficilmente riconducibili all’infezione, potendo essere rilevati solo attraverso indagini quali la peniscopia.
Molti uomini sono portatori sani del virus e questo li rende un pericoloso veicolo di contagio inconsapevole.
L’infezione da HPV è stata anche messa in relazione con l’infertilità e la subfertilità maschile.
Non essendo disponibile un test specifico per l’uomo, alla popolazione maschile è raccomandata l’esecuzione di un tampone uretrale, anale o orofaringeo in caso di dubbio.
La diagnosi delle alterazioni delle cellule (citologiche) e dei tessuti (istologiche) provocate da questi ceppi di HPV può essere raggiunta con l'esecuzione del Pap Test (nella popolazione femminile) e test per la rilevazione del DNA virale.
Le donne possono avvalersi di un test semplice ed economico come il Pap Test (ancora più efficace se abbinato alla ricerca del DNA virale, nel cosiddetto co-testing) per diagnosticare precocemente le lesioni precancerose ed evitare l’evoluzione tumorale. Si stima che le donne che si sottopongono al Pap Test regolarmente (ogni 3-5 anni) hanno un rischio ridotto di almeno il 70% di sviluppare un carcinoma del collo dell’utero.
Nel nostro Paese è raccomandata l’esecuzione del Pap Test ogni 3 anni per le donne tra 25 e 64 anni.
Il Pap Test consiste nel prelievo di un campione delle cellule di rivestimento del collo dell’utero tramite una spatola o un bastoncino cotonato. Si tratta di un esame veloce e indolore, che può essere eseguito durante una visita ginecologica di routine.
Nella maggior parte dei casi di Pap Test positivo non si tratta di un tumore, ma di una lesione precancerosa che può essere rimossa con un piccolo intervento chirurgico ambulatoriale. Occorre anche ricordare che esiste la possibilità che si tratti di un falso positivo. La probabilità che sia un falso allarme è maggiore se l’esito segnala alterazioni molto lievi, come ad esempio alterazioni cellulari squamose di significato indeterminato (ASCUS) o lesione intraepiteliale squamosa (SIL) di basso grado.
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Dove effettuare un Pap Test?
Perché farlo? La ricerca ha messo in evidenza il fatto che questo tipo di screening primario è più efficace di quello basato solo sul Pap Test nella prevenzione dei tumori invasivi del collo dell’utero. In aggiunta alla procedura tradizionale permette di rilevare la presenza del virus e di tipizzarne i diversi genotipi, mettendo in evidenza quelli a maggiore rischio di malignità.
Il test HPV non viene raccomandato ad ogni Pap Test, ma solo ogni 5 anni e solo nelle pazienti di età superiore ai 30 anni. Per sottoporsi all’esame non serve una preparazione particolare, ma occorre evitare di eseguirlo durante il flusso mestruale e, nei due giorni precedenti, di astenersi dai rapporti sessuali ed evitare l’uso di qualsiasi prodotto ad applicazione locale.
È importante ricordare che la positività al test HPV non indica necessariamente che è presente un tumore: il risultato deve essere letto e interpretato dal medico nell’ambito di un’analisi complessiva della situazione della donna.
Numerosi studi hanno dimostrato che la ricerca del virus in un campione di urine potrebbe sostituire in futuro il Pap Test ed il test HPV. Ma si tratta ancora di dati sperimentali, che hanno necessità di ulteriori conferme per essere validati.
Viene effettuata solo quando necessaria, prelevando campioni di cellule delle mucose genitali, avvalendosi della guida del colposcopio.
Le lesioni precancerose della cervice uterina vengono rimosse con un intervento di asportazione parziale del collo dell'utero, che mantiene inalterate le capacità riproduttive.
Dopo che il virus HPV ha fatto il suo ingresso nelle cellule, esistono 3 possibilità di evoluzione dell’infezione:
Nella maggior parte dei casi, l’infezione è transitoria: il virus viene eliminato dal sistema immunitario prima che possa dispiegare i suoi effetti patogeni. L’infezione va, cioè, incontro a regressione. Il 60-90% degli episodi di infezione si risolve spontaneamente entro 1-2 anni dal contagio.
Se, invece, l’infezione va incontro a persistenza, si creano le condizioni per l’evoluzione verso il carcinoma. Il primo passaggio di questa progressione è verso la comparsa di lesioni precancerose che di solito si manifestano dopo circa 5 anni e che possono modificarsi ulteriormente per dare origine al tumore della cervice uterina.
Dopo quanto si manifesta il tumore? L’intervallo di tempo necessario per lo sviluppo del cancro è variabile e in ogni caso lungo, da 20 a 40 anni.
Malgrado ciò, il carcinoma del collo dell’utero rappresenta il quarto tumore più frequente nel sesso femminile.
Il collo dell’utero (o cervice uterina) è la porzione dell’organo che si raccorda con il canale vaginale.
Il carcinoma della cervice uterina è causato nella quasi totalità dei casi dall’infezione da HPV, che si realizza a livello della cosiddetta giunzione squamo-colonnare, la zona di transizione tra la porzione intravaginale del collo dell’utero e quella più interna. Colpisce circa 2.300 donne in Italia ogni anno, prevalentemente giovani, perché più soggette all’infezione.
L’infezione provoca la proliferazione incontrollata delle cellule del rivestimento della mucosa locale, un fenomeno che rende più probabile l’insorgenza del cancro.
Occorre sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi il sistema immunitario è in grado di reagire prontamente alla presenza del virus, rendendolo inoffensivo. Il problema sorge quando le difese sono compromesse o nei periodi di grande stress fisico, psichico ed emotivo o in condizioni di rischio particolare.
Questo tipo di cancro non si sviluppa in maniera silente e subdola, come molti altri tumori, ma viene preceduto dalla comparsa di lesioni facilmente diagnosticabili e curabili. Solo negli anni, se non trattato correttamente, queste formazioni possono evolvere malignamente.
HISL è l’acronimo di Lesione Intraepiteliale Squamosa di Alto Grado, una formazione ad alta possibilità di evoluzione tumorale, che deve essere rimossa tempestivamente. Analogamente LISL indica la presenza di una Lesione Intraepiteliale Squamosa di Basso Grado, per la quale non sempre viene raccomandata la chirurgia.
La regressione spontanea delle lesioni precancerose è molto rara: se non vengono trattate chirurgicamente, queste formazioni possono invadere i tessuti circostanti.
Il tumore vero e proprio viene asportato con la chirurgia o con la radioterapia risolutiva. La chemioterapia viene impiegata per trattare le forme metastatiche e recidivanti.
Il tumore della cervice uterina può essere asintomatico. Quando i sintomi sono presenti, sono rappresentati da sanguinamenti vaginali irregolari, spesso post-coitali o sporadico fra una mestruazione e la successiva; si possono verificare perdite vaginali e dolore pelvico. Quando la neoplasia è diventata invasiva può provocare uropatia ostruttiva (dovuta all’ostruzione delle vie urinarie), dolore alla schiena ed edemi agli arti inferiori dovuti all'ostruzione linfatica del sistema venoso.
Le condizioni che favoriscono la formazione delle lesioni tumorali da HPV sono:
L’incidenza di tumori della cavità orale (lingua, bocca, tonsille) e della gola (orofaringe) da HPV è in continuo aumento, anche forse a causa dell’ignoranza che ruota attorno alle modalità di contagio dell’infezione. Una delle credenze diffuse, infatti, è quella che l’infezione da HPV genitale non abbia legami con quella da HPV orale.
Secondo i dati del Registro Nazionale Tumori (AIRTUM), circa il 10% dei 4.600 tumori che ogni anno colpiscono il cavo orale è associato all'HPV, il 2,4% di quelli della laringe e il 31% di quelli della faringe.
Tra i fattori di rischio più importanti per questi tumori, i rapporti orali con un numero elevato di partner e il fumo, che agisce presumibilmente dando vita ad un fenomeno infiammatorio locale oppure inibendo l’azione di oncosoppressione del sistema immunitario.
Con lo sfioramento delle labbra non si può realizzare il contagio. Il problema, caso mai, sorge con il cosiddetto bacio francese: malgrado il virus sia stato rilevato anche nella saliva dei pazienti infetti, è molto improbabile che l’infezione si trasmetta con questa modalità.
Non è disponibile una cura farmacologica per HPV orale: l’unico trattamento è quello chirurgico.
Da alcuni anni è disponibile un vaccino che protegge dall’infezione genitale da parte dei ceppi di HPV correlati allo sviluppo di tumori. Uno studio pubblicato nel 2017 sulla rivista Journal of Infectious Diseases ha mostrato che in 8 anni il vaccino quadrivalente ha ridotto la prevalenza delle infezioni dell'89% nella popolazione delle ragazze di età compresa tra i 14 e i 24 anni.
La comunità scientifica ha prodotto studi che confermano l’efficacia della sua somministrazione alla popolazione adolescente di entrambi i sessi, per ridurre il rischio di contagio. In Italia l’offerta del vaccino contro l’HPV a spese del servizio sanitario nazionale è stata introdotta nel 2008 a beneficio di tutte le ragazze nel dodicesimo anno di età. Successivamente, con il Piano Vaccinale 2017-2019 l’offerta è stata estesa anche ai maschi.
Oggi la copertura vaccinale è intorno al 77%, ma l’obiettivo delle istituzioni è quello di portarla almeno al 95%.
In base a ricerche recenti, sembrerebbe utile l'impiego del vaccino anche nella popolazione adulta o già infettata dal virus, anche se con benefici economici molto più limitati per i servizi sanitari.
Nel nostro Paese sono disponibili il vaccino bivalente (contro HPV16 e HPV18), quadrivalente (anti HPV6, 11, 16 e 18) e nonavalente (HPV 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, 58).
Per quanto riguarda il tema della fertilità, la comunità scientifica non è concorde nel definire se questa sia realmente compromessa dalla presenza di un’infezione da HPV, conclusione che potrà arrivare solo dopo altri studi.
Anche sul fronte della trasmissione verticale fra madre e feto non c’è ancora accordo definitivo fra le diverse voci. Il fatto che sia stata dimostrata la trasmissione del virus sia attraverso il canale del parto (in donne con condilomatosi) che per via transplacentare implica la possibilità di una contaminazione fetale, anche in caso di taglio cesareo. Tuttavia, anche in questi casi, generalmente l’infezione del neonato si risolve spontaneamente nel giro di pochi mesi.
Per questa ragione, le linee guida internazionali ribadiscono la non necessità di eseguire il taglio cesareo se non per singoli e molto selezionati casi.
L’infezione da HPV può anche determinare la comparsa di infiammazioni dei tratti urinari (cistiti, uretriti), spesso resistenti alla terapia antibiotica.
La persistenza dell’infezione può portare alla formazione di lesioni papillari (piccoli polipi) all’interno della vescica.
La diagnosi delle alterazioni delle cellule (citologiche) e dei tessuti (istologiche) provocate dai ceppi oncogeni di HPV può essere raggiunta con l'esecuzione del Pap Test abbinata al test per la rilevazione del DNA virale. Il Pap Test consiste nel prelievo di un campione delle cellule di rivestimento del collo dell’utero tramite una spatola o un bastoncino cotonato. Si tratta di un esame veloce e indolore, che può essere eseguito durante una visita ginecologica di routine. Il test HPV consiste nella ricerca del DNA degli HPV ad alto rischio oncogeno e viene eseguito nel corso del Pap Test. Questo screening primario è più efficace di quello basato solo sul Pap Test nella prevenzione dei tumori invasivi del collo dell’utero. In aggiunta alla procedura tradizionale permette di rilevare la presenza del virus e di tipizzarne i diversi genotipi, mettendo in evidenza quelli a maggiore rischio di malignità. Il test HPV viene raccomandato ogni 5 anni nelle pazienti di età superiore ai 30 anni.
Numerosi studi hanno dimostrato che la ricerca del virus in un campione di urine potrebbe sostituire in futuro il Pap Test ed il test HPV. Ma si tratta ancora di dati sperimentali, che hanno necessità di ulteriori conferme per essere validati.
Significa essere entrata in contatto con il virus e avere sviluppato un’infezione. Non significa avere un tumore o essere a rischio per la sua insorgenza. I tumori da HPV si sviluppano solo in alcuni pazienti e, comunque, necessitano di intervalli di tempo lunghi per produrre lesioni neoplastiche.
Contattare un medico per farsi consigliare su eventuali approfondimenti diagnostici e trattamenti. Nel contempo mettere a conoscenza il partner della positività e proteggere eventuali rapporti.
HPV è l’acronimo di Human Papilloma Virus, una famiglia che comprende più di 200 sierotipi (detti anche ceppi o genotipi) di virus umani a DNA, la maggior parte dei quali responsabile di lesioni benigne e definiti per questo considerata “a basso rischio”. Alcuni elementi della famiglia, tuttavia, se non correttamente trattati, sono correlati allo sviluppo di tumori e per questa ragione vengono classificati come “ad alto rischio”. Questi virus sono complessivamente molto diffusi: si stima che 8 persone su 10 siano venute in contatto con essi almeno una volta nella vita.
I sierotipi a basso rischio sono coinvolti nella formazione di lesioni cutanee (verruche) e mucosali (condilomi). Quelli ad alto rischio, invece, sono implicati nell’insorgenza di alcune forme tumorali, primo fra tutte il tumore del collo dell’utero. Altre neoplasie correlate ad HPV sono alcuni tumori di testa e collo (bocca e gola).
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