Aggiornato il 16.12.2024
Intervista a Lucia Garetto, Oncologa presso l’IRCSS Istituto Candiolo
Gli entusiasmanti successi ottenuti dalla scienza e dalla tecnologia negli ultimi anni consentono la cura, e a volte la guarigione, di malattie che fino a qualche tempo fa erano considerate senza speranza.
Ma una sfida altrettanto ambiziosa sta mettendo alla prova i sistemi sanitari: quella imposta da un quadro demografico nel quale il numero delle persone anziane è in continuo aumento e, con esso, anche l’incidenza delle malattie tipiche di questa fascia di età, primi fra tutti i tumori.
Con Lucia Garetto, Oncologa presso l’IRCCS Istituto Candiolo, abbiamo parlato della disciplina medica che si occupa del trattamento del cancro in questo specifico sottogruppo di pazienti e di come è possibile gestire l’assistenza al paziente quando non può più essere prevista una terapia oncologica.
Per rispondere alla sua domanda, partirò da una considerazione sui dati demografici. Se noi potessimo avere una rappresentazione grafica della popolazione stratificata per età e riferita al 1950, ci immagineremmo un grafico costituito da una piramide con la base allargata (la popolazione giovane) e il vertice stretto (la popolazione anziana). Invece, com'è la situazione oggi? Nel 2024, questo grafico ha la forma di un fuso, perché è la popolazione di età intermedia ad essere più abbondante. E nel 2050 ci aspettiamo che questo grafico sia una piramide rovesciata.
La popolazione anziana sta aumentando in tutto il mondo. Questo è dovuto principalmente a un miglioramento delle condizioni di salute ed economiche, ma dall'altro lato dobbiamo fare i conti con la maggiore esposizione al rischio di malattie. Pensiamo ad esempio anche solo al Piemonte, dove oggi (questi sono i dati del sistema di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità “Passi d'Argento”) una persona su 5 ha più di 65 anni. Questo significa che in Piemonte un milione di persone ha più di 65 anni. È chiaro che bisogna pensare a una medicina dedicata alle persone anziane, soprattutto dal punto di vista oncologico.
Attualmente, se noi consideriamo la popolazione oncologica globale, osserviamo che le persone con più di 65 anni rappresentano circa il 70% dei pazienti. Rispetto a 30-40 anni fa, abbiamo una popolazione che prima pensavamo di non curare perché era anziana, ma a cui oggi è invece possibile proporre trattamenti oncologici. Su questa base è nata l’oncologia geriatrica, una disciplina in cui, accanto allo studio del problema oncologico, ci si occupa di tutto l'organismo nel suo complesso. Il paziente anziano ha infatti potenzialmente molte comorbidità e, a volte a causa di uno stile di vita sedentario, del fumo e di altri fattori, è più vulnerabile rispetto a un paziente giovane nei confronti di determinati rischi.
Quello che tengo molto a sottolineare è che le attuali cure oncologiche sono totalmente diverse da quelli di 20 anni fa e che alla tradizionale chemioterapia, che era improponibile ad alcuni anziani, si sono aggiunti altri trattamenti (terapie endocrine, terapie di precisione) proponibili anche a questa categoria di pazienti perché meno tossici. Oggi, quindi, abbiamo tutto un campo di cura per questi pazienti che in passato non ci sognavamo di avere.
I dati della Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) mostrano che negli uomini anziani il più diffuso è il tumore della prostata. Le statistiche indicano che un paziente di 95 anni ha un rischio pari al 90% di avere un tumore della prostata, la cui diffusione è maggiore nella popolazione anziana. Al secondo posto troviamo il tumore del polmone: un tempo, erano soprattutto gli uomini a fumare e questo spiega la maggiore incidenza di questa malattia nella popolazione maschile. Al terzo posto, il tumore del colon retto e, a seguire, quello della vescica. Con un’incidenza minore, troviamo il tumore dello stomaco e il melanoma.
Nelle donne, il più diffuso rimane il tumore della mammella, seguito dal tumore del colon retto, da quello del polmone (perché negli ultimi anni l’abitudine al fumo si sta diffondendo anche nella popolazione femminile) e del pancreas.
Per alcuni tumori che erano più frequenti in età giovanile, quali ad esempio il tumore della tiroide, noi ci aspettiamo che progressivamente questi tumori si riducano per effetto dell’aumento della popolazione anziana.
Il termine fragilità riguarda una condizione caratterizzata da una ridotta riserva funzionale globale, cioè di tutti i sistemi dell'organismo, da quello neurologico a quello muscolo-scheletrico, cardiovascolare, respiratorio, gastroenterologico e urologico. Sappiamo che nell’anziano tutti questi organi e apparati a poco a poco si deteriorano. Dobbiamo interpretare questa sindrome clinica come un processo che evolve nel tempo: esordisce a 60-65 anni nella migliore delle ipotesi e, con il progredire dell’età, peggiora. In genere, interessa meno del 10% dei pazienti di età pari a 65 anni, ma col tempo la sua frequenza aumenta.
Vi sono interessanti differenze a livello internazionale, da questo punto di vista: in Italia, così come in Spagna, abbiamo uno dei più alti indici di fragilità. È anche opportuno sottolineare un'associazione tra fragilità e caratteristiche socio-economiche sfavorevoli, quali ad esempio la bassa scolarità e la povertà, aspetti correlati a stili di vita non sani e ad un'alimentazione non bilanciata.
Noi siamo molto attenti alla fragilità nei pazienti anziani. Già nel 2014, la Rete Oncologica Piemontese ha istituito il gruppo di Oncogeriatria, in cui viene valutata in primis la fragilità attraverso test di screening semplici che considerano l'individuo in base alle sue caratteristiche (se è capace di vestirsi, di nutrirsi, se prende tanti farmaci, …). Misurare questi indici ci aiuta a stabilire se il paziente è fragile, e se lo è dobbiamo impegnarci a risolvere i suoi problemi di fragilità prima di proporgli un trattamento oncologico. Per questo si parla di valutazione oncogeriatrica multidimensionale, che viene eseguita dall'Oncologo o, attraverso i Centri di Accoglienza Servizi, dall'Infermiere oncologico. Successivamente, se viene rilevata una condizione di fragilità, viene programmata un'ulteriore visita in concerto con il Geriatra. In questo modo, riusciamo a stabilire quale sarà il percorso più idoneo per il paziente oncogeriatrico.
Prima delle vaccinazioni e delle misure comportamentali, è essenziale che il paziente anziano abbia un caregiver, una persona accanto che lo aiuta, in genere un familiare. Chi ha un caregiver vive di più: se c'è qualcuno che segue il paziente nel suo percorso oncologico, l’intervento di noi oncologi è molto molto facilitato. I pazienti anziani fragili hanno bisogno di assistenza: questo è un aspetto fondamentale. Assistenza non vuol dire solo misure comportamentali, ma anche ad esempio necessità di supporto da parte, oltre che dell'Oncologo, del Medico curante, con cui oggi, nella maggior parte dei casi, abbiamo uno scambio di informazioni cliniche continuo. Il paziente viene da noi in visita, ma poi torna a casa ed è quindi fondamentale la presenza anche del Medico di Medicina Generale per la gestione delle emergenze cliniche non preventivate.
Il paziente anziano in cura per un tumore riceve una terapia che spesso gli riduce le difese immunitarie. È quindi opportuno che si adottino misure comportamentali adeguate: che non riceva visite di persone potenzialmente infette, che non mangi cibi non conservati secondo le comuni norme igieniche, che si protegga. Tutto ciò permette di diminuire l’incidenza delle infezioni e il numero di ricoveri ospedalieri, condizioni che in un anziano sono potenzialmente letali.
Sicuramente le vaccinazioni vanno fatte. Noi, in questo periodo (ottobre-novembre) proponiamo a tutti gli anziani la vaccinazione antinfluenzale e il richiamo della vaccinazione anti covid. Fra le altre vaccinazioni, raccomandiamo quella per l'Herpes zoster, cioè il cosiddetto fuoco di Sant'Antonio, una malattia curabile ma che lascia delle sequele in termini di dolore per lunghi mesi. Istruiamo sempre i pazienti a tutte queste misure comportamentali, ma se abbiamo dietro un caregiver è molto meglio.
Il discorso del fine vita è oggetto da anni di discussione a livello parlamentare, ma le decisioni prese fino ad oggi sono state poche. Meno di un mese fa, il nostro Istituto di Candiolo, in collaborazione con il Dipartimento di Management dell'Università di Torino, ha organizzato un Convegno sul fine vita che ha messo a confronto esperti di diversa formazione (giuristi, avvocati, economisti e medici) provenienti sia da realtà italiane che da realtà europee. In particolare, abbiamo invitato un Oncologo Palliativista svizzero, che ci ha raccontato cosa avviene in Svizzera, Paese dove com’è noto il suicidio assistito è legale.
Da Oncologo, vorrei sottolineare il fatto che il paziente va seguito fino alla fine. Se il paziente si sente protetto, non arriva a queste soluzioni estreme. Il servizio sanitario nazionale garantisce un appoggio durante tutto il percorso diagnostico terapeutico oncologico, che in una prima fase si realizza all'interno degli ospedali (tramite ricoveri, Day Hospital, visite ambulatoriali), ma nel momento in cui al paziente non può più essere prevista una terapia oncologica mette a disposizione un servizio di cure palliative sul territorio o ospedalizzazione in reparti dedicati (Hospice). Il ricovero in Hospice fa parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero le prestazioni che il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) prevede come diritto per il cittadino in tutto il Paese.
Si tratta di un sistema che, in questo momento, in Piemonte mi sento di dire che sta funzionando. Portiamo il Medico Palliativista a casa e, ove ciò non è possibile, ricorriamo agli Hospice. Anche l’Istituto di Candiolo da alcuni anni ha realizzato un Centro Residenziale di Cure Palliative – Hospice grazie al quale garantisce, attraverso un contesto logistico idoneo e programmi assistenziali personalizzati, la presa in carico e la gestione dei pazienti non più rispondenti a trattamenti terapeutici specifici. L’Hospice Monviso è in grado di garantire il ricovero per pazienti per i quali le cure a domicilio non siano possibili o appropriate e conseguentemente ottenere un miglior controllo dei sintomi legati al proprio stato, fornendo allo stesso tempo sollievo alle famiglie nel difficile compito della gestione dei malati terminali.
Da un punto di vista parlamentare, la legge italiana ha messo a punto soltanto le DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento), ma poche iniziative sono previste per la famiglia del paziente. Esiste un APE sociale, esiste la Legge 104, ma bisognerebbe puntare molto di più sul caregiver, la figura che si assume un ruolo fondamentale per il malato e che a sua volta può andare incontro a dei problemi psicologici di depressione. Ritengo che, per garantire il buon funzionamento della Sanità e anche un risparmio economico, si debba investire sul caregiver, per poter accogliere la maggior parte dei pazienti terminali al proprio domicilio. La casa è il posto dove ciascuno di noi vorrebbe morire: nessuno vorrebbe morire in una barella di pronto soccorso o in un letto di un reparto ospedaliero non dedicato ai malati terminali.
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