Indice
Introduzione
Esordisce intorno ai 68 anni per gli uomini e 70 per le donne, ma può manifestarsi anche in forme precoci (parkinsonismo giovanile).
Non è attualmente disponibile una terapia risolutiva, ma sono stati approvati numerosi farmaci, con i quali è possibile tenere sotto controllo la sintomatologia per un lungo periodo.
Oltre ai medicinali, per migliorare la qualità di vita del paziente è possibile ricorrere a procedure di neurostimolazione e fisioterapia.
Chi era Parkinson
I sintomi del Parkinson sono noti da migliaia di anni. Anche se i primi racconti a riguardo risalgono ad un’epoca intorno al 5.000 a.C., il nome della malattia è legato a James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo, che per primo descrisse i sintomi della malattia, nel suo testo "Trattato sulla paralisi agitante".
Cos’è il morbo di Parkinson
Il Parkinson è una malattia degenerativa a progressione lenta, che comporta tremore a riposo, difficoltà nell’esecuzione dei movimenti e nel mantenimento dell’equilibrio.
Da cosa è causato il morbo di Parkinson?
Ad oggi, le cause che lo provocano non sono note, anche se sembra plausibile l’esistenza di una componente genetica nelle forme giovanili, che hanno un decorso generalmente più benigno.
Sembra che fra le possibili cause siano coinvolti sia fattori genetici che ambientali, questi ultimi sono fondamentali nel determinare il tasso di incidenza della malattia.
Cosa significa Parkinson atipico
Il Parkinson atipico o, più correttamente, il parkinsonismo atipico, rappresenta un gruppo di malattie che comprende:
- L’atrofia multisistemica;
- La paralisi sopranucleare progressiva;
- La degenerazione cortico-basale;
- La demenza a corpi di Lewy;
- Il parkinsonismo vascolare.
La loro
frequenza nella popolazione è molto
bassa, se si eccettua la demenza a corpi di Lewy, che rappresenta il 15-20% di tutti i casi di
demenza.
Gli approfondimenti condotti dagli anni ’60 in poi hanno permesso una maggiore capacità diagnostica su queste patologie, soprattutto nella differenziazione rispetto agli altri disturbi del
sistema extrapiramidale e in particolare nei centri specializzati. Ma la
diagnosi è spesso ancora oggi
complessa e necessita di
professionisti esperti di questo ambito.
Purtroppo, i
parkinsonismi atipici non rispondono alla terapia dopaminergica come la malattia di Parkinson idiopatica, ma possono trarre giovamento da procedure come il
trattamento con la tossina botulinica o la
fisioterapia, che è in grado di
ridurre la disabilità e il
dolore posturale del paziente.
Parkinson: come prevenirlo
L’assenza di informazioni precise sulle cause del morbo di Parkinson rende impossibile stabilire schemi di prevenzione.
Sinucleina e corpi di Lewy
La
caratteristica del tessuto colpito dalla malattia è la deposizione di una proteina (la
sinucleina) nei gangli della base. In quest’area profonda del
cervello sono localizzati i neuroni dopaminergici (ossia che producono un neurotrasmettitore chiamato dopamina), cellule nervose coinvolte nel movimento.
A causa della formazione di
aggregati di sinucleina (chiamati corpi di Lewy), che si verifica per ragioni ancora non chiare, i neuroni dopaminergici
muoiono e il paziente è colpito da
crescenti difficoltà motorie.
La sintomatologia si manifesta quando viene perso
oltre il 60% delle cellule produttrici di dopamina.
Parkinson: perché si muore
L’andamento della malattia varia da paziente a paziente; sebbene non sia in sé letale, provoca una serie di complicazioni che aumentano il rischio di morire. Va inoltre ricordato che la progressione della malattia è lenta e i trattamenti farmacologici permettono di gestirla in maniera efficace per periodi di tempo significativi.
Negli stadi avanzati, le condizioni del paziente sono molto fragili, ne riducono drammaticamente l’autonomia e lo espongono al rischio di sviluppare altre patologie. Questo quadro può deteriorarne le condizioni tanto da portarlo a morte.
Il parkinsonismo secondario
L’espressione parkinsonismo secondario rappresenta un gruppo di malattie neurodegenerative diverse dal morbo di Parkinson ma che con esso presentano tratti in comune.
Può essere causato da farmaci, da malattie (diverse dal Parkinson) o dall’esposizione a tossine. Ma la via ultima comune con cui questi fattori agiscono è la stessa: il blocco dell’azione della dopamina a livello dei gangli della base.
I sintomi sono sovrapponibili a quelli del morbo di Parkinson:
- Tremore a riposo;
- Rigidità;
- Difficoltà a iniziare i movimenti;
- Instabilità posturale.
Parkinsonismo secondario: la cura
Nel caso in cui il disturbo sia legato all’assunzione di farmaci, la terapia deve essere immediatamente sospesa.
Se, invece, la ragione della comparsa dei sintomi è in una malattia, questa deve essere trattata specificamente.
Nel caso del parkinsonimo secondario i farmaci utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson sono spesso inefficaci o efficaci solo per periodi molto brevi.
Parkinsonismo iatrogeno: cos’è
Il parkinsonismo iatrogeno è una tipologia particolare di parkinsonimo secondario, causato dall’uso di farmaci. In particolare, si tratta di medicinali che riducono l’attività dopaminergica, come alcuni antipsicotici di vecchia generazione (oggi non più in uso o utilizzati solo per curare forme psichiatriche molto gravi) e antiemetici (metoclopramide).
Parkinsonismo iatrogeno: l’evoluzione.
Generalmente,
una volta comparsi i sintomi, il disturbo non è più reversibile, neppure sospendendo la terapia responsabile, né con la somministrazione di trattamenti specifici.
Se il parkinsonismo iatrogeno è correlato all’assunzione di
antipsicotici, è possibile talvolta ottenere risultati soddisfacenti con la amantadina o gli anticolinergici.
Anche in questo caso sono consigliate le
terapie fisiche, che prolungano la mobilità e migliorano l’equilibrio posturale.
Come si manifesta il morbo di Parkinson
La malattia di Parkinson produce i primi sintomi intorno ai 70 anni, anche se esistono forme precoci che possono fare la loro comparsa dai 20 ai 40 anni.
Parkinson: cosa provoca e come riconoscerlo

I
sintomi motori costituiscono la
manifestazione iniziale della malattia:
- Rigidità muscolare, che si sviluppa in maniera indipendente dal tremore;
- Tremore a riposo: spesso il primo sintomo in assoluto è il tremore di una mano a riposo; il tremore scompare nel sonno;
- Rallentamento dei movimenti (bradicinesia) e difficoltà ad iniziarli (acinesia); la rigidità rende il viso inespressivo (ipomimica) e blocca la bocca in posizione aperta, causando perdita di saliva (scialorrea), che contribuisce ad aumentare l’invalidità del paziente; l’eloquio diventa difficile per la difficoltà nell’articolazione dei suoni (disartria);
- Difficoltà a mantenere l’equilibrio e conseguente instabilità nel camminare e aumento della frequenza delle cadute.
Questi sintomi di solito compaiono in maniera asimmetrica, coinvolgono cioè una sola metà del corpo, per poi estendersi all’intero organismo nel giro di alcuni anni.
Nella maggior parte dei casi i sintomi possono essere trattati in maniera efficace per un periodo di tempo variabile da individuo a individuo.
Quando si perde l’autonomia nei movimenti
Nel lungo periodo, l’intensità della sintomatologia si aggrava e i farmaci non sono più in grado di controllarla: in questa fase per il paziente è sempre più difficile coordinare i movimenti e mantenere l’equilibrio. Nello stadio avanzato, il morbo di Parkinson si associa ad altre comorbidità, che acuiscono la fragilità del paziente.
Può essere Parkinson anche senza tremore?
Il tremore non è presente in tutti i pazienti e comunque all’esordio della malattia può non essere riconosciuto.
Spesso, infatti, i sintomi del morbo di Parkinson si manifestano in modo subdolo e discontinuo.
I sintomi psichiatrici
Nel tempo la malattia di Parkinson intacca anche i neuroni dopaminergici coinvolti nel controllo delle emozioni e in altre funzioni psichiatriche, producendo manifestazioni emotive.
Parkinson: le componenti di ansia, depressione, demenza
Soprattutto nelle fasi avanzate della malattia, i pazienti possono soffrire anche di:
La demenza si sviluppa in circa un terzo dei pazienti.
Altri sintomi frequenti del Parkinson riguardano:
- Il sonno: il paziente viene svegliato di notte dallo stimolo della minzione (nicturia) e dall’impossibilità di girarsi nel letto, e poi colpito da attacchi di sonnolenza diurna;
- Il sistema nervoso vegetativo: compaiono stitichezza, sudorazione eccessiva, disfunzioni sessuali);
- La percezione del dolore, che può essere avvertito come generalizzato o confinato in alcune parti del corpo;
- La cute: frequente è la dermatite seborroica.
Alcuni sintomi possono essere provocati o acuiti dai farmaci impiegati per il trattamento della patologia principale.
Come si diagnostica il morbo di Parkinson
Quale medico consultare? La
diagnosi del Parkinson viene effettuata principalmente a livello
clinico, con la valutazione della storia clinica, dei segni e dei sintomi del paziente da parte di un team multidisciplinare.
Durante la visita neurologica, il paziente non è in grado di eseguire movimenti rapidi alternati o in successione, ma conserva sensibilità e forza. I riflessi sono normali ma difficili da evidenziare a causa delle rigidità e del tremore.
È anche possibile osservare la perdita di espressività del viso, la difficoltà nell’ammiccamento e le caratteristiche alterazioni dell'andatura (festinazione).
Quali esami per la diagnosi?
Non esistono esami specifici di conferma per questa malattia, anche se alcune procedure strumentali come la risonanza magnetica, la PET cerebrale e la scintigrafia del miocardio possono essere di supporto alla diagnosi.
La diagnosi differenziale del morbo di Parkinson
- Il tremore essenziale;
- I parkinsonismi primari, indotti da farmaci o dovuti a disturbi vascolari;
- La malattia di Huntington;
- La malattia di Wilson;
- I tumori cerebrali.
Tremore essenziale o Parkinson
Il tremore essenziale è una patologia caratterizzata da un tremore ritmico che compare durante i movimenti volontari o quando si cerca di mantenere una posizione contro la forza di gravità ed è il risultato di una comunicazione anomala tra determinate aree del cervello.
A differenza della malattia di Parkinson, nella quale il sintomo si manifesta perlopiù a riposo, il tremore essenziale si riduce a riposo e si accentua quando la persona compie movimenti volontari di precisione, che necessitano un coordinamento motorio fine.
Sindrome delle gambe senza riposo e Parkinson
Il paziente con la sindrome delle gambe senza riposo avverte un fastidio alle gambe che si attenua solo con il movimento. Il fatto che il disturbo migliori con la terapia dopaminergica lascia supporre che condivide alcuni elementi patogenetici con la malattia di Parkinson.
Chi colpisce il morbo di Parkinson
Dopo la
malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson è il
disordine neurodegenerativo più diffuso. L’età media di comparsa dei sintomi è a 60 anni, ma il 5% dei pazienti può presentare una forma ad esordio
precoce, con comparsa prima dei 40. Per quanto riguarda le differenze di genere, diversi studi epidemiologici europei e americani riportano
un tasso d’incidenza della malattia di Parkinson da 1,5 a 2 volte maggiore negli uomini rispetto alle donne.
In Italia sono presenti circa 230.000 malati di Parkinson.
Le
cause che provocano la malattia
non sono ancora
conosciute: quel che è certo è che
sono coinvolti sia fattori
genetici che ambientali questi ultimi fondamentali nel determinare il tasso di incidenza della malattia. Alcuni studi mostrano che, fra i casi in cui la malattia di Parkinson è attribuibile a fattori di esposizione ambientale, il
10% è associabile all’uso di erbicidi in ambito professionale.
Solo nel 5% dei casi circa si accerta un’ereditarietà della malattia.
Da una ricerca svolta dall’ Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS) dell’Università Cattolica, presentata nel 2013 al congresso delle Confederazione Associazioni Regionali di Distretto (CARD), è emerso che la spesa totale annuale per ogni malato varia fra 3.500 e 4.800€ per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), fra 1.500 e 2.700€ per i malati o le loro famiglie e fra 10.000 e 17.000€ per la società.
Moltiplicando questi numeri per il totale dei pazienti parkinsoniani in Italia ne deriva che il carico totale per il SSN è compreso fra 1,1 e 1,3 miliardi di euro e quello per la società fra 2,2 e 2,9 miliardi di euro.
Nonostante queste
ingenti spese, appare necessario
migliorare ulteriormente i
servizi e
l’assistenza fornita in Italia al fine di
migliorare la
qualità di vita dei
pazienti e delle
loro famiglie.
Come si cura il morbo di Parkinson
Il miglior trattamento del paziente con Parkinson si ottiene ha combinando il monitoraggio stretto delle sue condizioni, i trattamenti farmacologici, gli interventi educativi l’esercizio fisico e un’adeguata nutrizione.
Quali farmaci per il Parkinson

I farmaci somministrati al paziente parkinsoniano possono contribuire a
controllare o nel
migliorare i sintomi anche per lunghi periodi di tempo, ma ad oggi
non esistono
cure per arrestare la progressione della malattia.
Quando iniziare la terapia
La terapia deve essere istituita al momento della diagnosi e possedere elevati standard di personalizzazione, in funzione della dose che della tipologia dei farmaci impiegati. Occorre quindi che il paziente individui insieme al neurologo lo schema più funzionale per le sue esigenze di cura.
Nella costruzione del piano terapeutico è anche necessario gestire gli effetti collaterali causati dai medicinali, che includono:
- Nausea;
- Vomito;
- Vertigini;
- Psicosi;
- Crampi muscolari;
- Discinesia.
Talvolta, si rende necessario sostituire un farmaco che ha dato prova di efficacia nel paziente a causa delle reazioni avverse che provoca.
Gli antiparkinsoniani
I farmaci principali per il trattamento dei pazienti con Parkinson, quasi tutti assumibili per via orale, sono gli antiparkinsoniani, ovvero gli agonisti della dopamina (bromocriptina, pergolide, pramipexolo, ropirinolo, rotigotina) e la levodopa (una sorta di surrogato della dopamina) che aumentano i livelli di dopamina presenti nel cervello.
- Gli agonisti della dopamina vengono prescritti nei pazienti al di sotto dei 65 anni, allo scopo di ritardare l’uso della levodopa e la comparsa degli effetti collaterali ad essa associati.
L’approvazione della rotigotina, che può essere somministrata attraverso l’applicazione di un cerotto transdermico, ha permesso di bypassare alcuni degli effetti collaterali caratteristici di questa categoria di medicinali.
Quando con questi agonisti della dopamina non è più possibile controllare la malattia, viene impiegato un farmaco iniettabile, l’apomorfina. Per contrastare la nausea, il vomito e le fluttuazioni della pressione arteriosa causate dall’apomorfina, il paziente può assumere antiemetici (domperidone).
Prolungare e migliorare gli effetti della levodopa
La levodopa è il farmaco più efficace per trattare i sintomi della malattia di Parkinson, anche se, nel lungo periodo, è responsabile di numerose reazioni avverse, dovute alla sua azione pulsante, non continua, fra cui:
- Nausea;
- Vomito;
- Fluttuazioni della pressione arteriosa;
- Sudorazione profusa.
Inoltre, ha una durata di azione molto limitata nel tempo, perché, essendo analoga alla dopamina, è facilmente riconoscibile e attaccabile dagli enzimi che nell’organismo hanno il compito di metabolizzare questa sostanza.
Queste criticità possono essere limitate grazie all’associazione con molecole quali la carbidopa, una molecola che blocca gli enzimi incaricati del degrado della levodopa prolungandone l’effetto e che viene impiegata nella fase iniziale, e la benserazide.
- Gli inibitori delle catecol-o-metiltransferasi (I-COMT) sono i farmaci più recenti approvati per il controllo della sintomatologia del morbo di Parkinson. Associati alla levodopa ne prolungano l’effetto e ne rendono l’azione più stabile, riducendo le reazioni avverse.
Gli inibitori delle MAO
Altre categorie di farmaci utilizzati nel trattamento del Parkinson e che possono essere somministrate insieme a levodopa/agonisti della dopamina sono gli inibitori delle monoamino ossidasi B (MAO-B) che impediscono alla dopamina residua rimanente di essere degradata e pertanto non più riutilizzata.
A questo scopo viene usata la selegilina, che ha espresso un ruolo anche neuroprotettivo se somministrata nelle fasi iniziali della malattia.
Come ridurre il tremore
Per controllare il tremore nei pazienti con morbo di Parkinson vengono utilizzati i farmaci anticolinergici (biperidene, orfenadrina, triesifenidile). Tuttavia, queste molecole causano pesanti effetti collaterali, ragion per cui negli anni il loro impiego è stato ridimensionato.
La loro assunzione è controindicata nei pazienti al di sopra dei 70 anni, nelle persone con glaucoma ad angolo acuto o ipertrofia prostatica.
Cosa fare quando i farmaci non funzionano più
Per i pazienti che si trovano in fasi avanzate della malattia e che non rispondono più al trattamento farmacologico, gli specialisti possono ricorrere ad altre opzioni terapeutiche.
La stimolazione cerebrale profonda consiste nell’applicazione con procedura chirurgica di elettrodi nelle zone profonde del cervello (nucleo subtalamico e globo pallido), con lo scopo di controllare i tremori e le alterazioni del movimento. Dietro l’orecchio del paziente vengono posizionate estensioni collegate ad un neurostimolatore impiantato sottocute.
- A questa tecnica, tuttavia, come confermato da uno studio italiano, è candidabile solo un numero limitato di pazienti (fra l’1,6 e il 4,5% del totale).
Parkinson: la terapia genica
Una delle possibili soluzioni definitive per il morbo di Parkinson potrebbe essere rappresentata dalla terapia genica.
Utilizzando un virus reso innocuo come vettore, la terapia genica permette di inserire geni mancanti o sostituire geni errati nelle cellule. Nei casi in cui è possibile applicarla, non sono molte le malattie per le quali sono disponibili terapie geniche approvate, si tratta di un rimedio risolutivo, che guarisce definitivamente la malattia.
- La somministrazione del gene che codifica per l’enzima responsabile della trasformazione della levodopa in dopamina direttamente nel cervello potrebbe eliminare la sintomatologia.
Ad oggi sono stati ottenuti buoni risultati sperimentali con questa tecnica, che necessita tuttavia di ulteriori conferme. Lo studio su questo tipo di terapia genica per il trattamento del Parkinson risale al 2018 ed è stato pubblicato l’anno seguente.
Ancora più recentemente, una ricerca condotta presso la San Diego University ha messo in luce un sistema per sostituire i neuroni dopaminergici perduti con altre cellule presenti nel cervello, gli astrociti. Numerosi e capaci di suddividersi, potrebbero, se adeguatamente manipolati, ripopolare i neuroni persi.
La riabilitazione e l’educazione del paziente
Affiancato alla terapia farmacologica, l’esercizio fisico permette di ottenere avere un beneficio fisico (migliorare equilibrio, flessibilità e forza) ma anche mentale (miglioramento qualità della vita e socializzazione).
La riabilitazione motoria, effettuata anche con l’ausilio della robotica, è considerata un vero e proprio trattamento terapeutico.
La gestione della malattia può migliorare se il paziente e il caregiver ricevono una formazione sulla malattia, che aumenti la consapevolezza sui limiti ad essa connessi ma anche su tutte le possibilità di trattamento.
Può trattarsi di informazioni pratiche, come le indicazioni sulla necessità di illuminare bene gli ambienti e rimuovere gli ostacoli per prevenire le cadute. Ma anche di supporti al benessere mentale del paziente, che possono essere forniti nell’ambito dei numerosi gruppi di sostegno.
Parkinson: cosa mangiare
Quanto alla
corretta nutrizione, il caregiver deve bisogna assicurarsi che il paziente assuma un adeguato numero di
calorie e nutrienti al fine di mantenere la forza, la struttura ossea e la massa muscolare. Poiché alcune proteine potrebbero interferire con l’effetto della levodopa, se si nota una riduzione dell’efficacia del farmaco è questo effetto sarebbe necessario contattare il proprio medico per apportare i dovuti cambiamenti allo stile di vita e alla terapia.
Un’
adeguata alimentazione, inoltre, permette una
migliore gestione di uno dei problemi più diffusi fra i pazienti con Parkinson: la
stitichezza.
Parkinson: perché si dimagrisce?
La rigidità dei muscoli facciali, l’impossibilità di chiudere la bocca, la progressiva perdita dell’autonomia e gli effetti collaterali dei farmaci impiegati per il trattamento del Parkinson (i più frequenti sono la nausea e il vomito) riducono le possibilità di alimentarsi correttamente. Questo è alla base del deperimento fisico che spesso si osserva nei pazienti.
Parkinson e tai chi
Numerosi studi, fra cui anche una recente ricerca brasiliana, dimostrano come l’esecuzione dei movimenti della disciplina orientale tai chi siano di supporto alle persone affette da Parkinson, sia permettendo, in alcuni casi, uno spostamento nel tempo della somministrazione della levodopa, sia una riduzione del suo dosaggio.
Uno sguardo agli altri Paesi
Sulla base del principio che i cittadini hanno il diritto di scegliere il luogo di cura e di essere rimborsati in tutta l’Unione Europea, il 25 ottobre 2013 è entrata in vigore la Direttiva della Commissione Europea Cross-border healthcare.
Per descrivere, tra i tanti, un modello di assistenza utilizzato in un paese diverso dall’Italia, ecco il caso dell’Olanda dove dal 2004 esiste ParkinsonNet, un modello di assistenza collaborativa che coinvolge professionisti specializzati e pazienti interessati, che collaborano per raggiungere i migliori risultati in termini di salute.
Il modello prevede una rete regionale di diversi professionisti (neurologo, psichiatra, medico delle residenze per anziani, fisioterapista, terapista occupazionale, logopedista, psicologo, dietologo, infermiere specializzato) ultra specializzati nel trattamento del morbo di Parkinson.
Questi specialisti approfondiscono le Linee Guida basate sulle evidenze cliniche e collaborano (a volte con professionisti al di fuori del network come il medico di medicina generale, il geriatra o il farmacista) per offrire il trattamento migliore al paziente di Parkinson. L'obiettivo è quello di soddisfare tutti i suoi bisogni e non limitarsi alla sola somministrazione di farmaci o a singoli interventi sanitari.
Attraverso un portale online, i pazienti possono consultare le pagine dei professionisti sanitari allo scopo di sceglierli come curanti e, una volta entrati anch’essi nella rete, possono avere con tutti gli operatori sanitari iscritti continui confronti in merito alla malattia.
Il portale offre anche la possibilità di interagire con altri pazienti o reperire trovare informazioni utili riguardanti la patologia e il suo trattamento.
Lo scenario della ricerca
Nuove frontiere nella terapia sono rappresentate dallo studio di fattori neurotrofici, ossia fattori che favoriscono la sopravvivenza dei neuroni, e dall’utilizzo di cellule staminali per ripopolare i neuroni che sono andati incontro a degenerazione. Contestualmente, è in corso di studio l’efficacia di alcuni farmaci impiegati nella terapia anti-tumorale, che sembra possa raggiungere il tessuto cerebrale e degradare l’accumulo di alfa-sinucleina, implicato nell’alterazione e nella morte dei neuroni.
Una rete di eccellenza per la ricerca, la cura e l’assistenza ai malati di Parkinson è la Parkinson Outcome Project supportata dalla National Parkinson Foundation americana, è stata recentemente avviata anche in Italia con 5 centri di eccellenza che produrrano nuove ricerche e nuove proposte di terapia e parteciperanno ad uno dei più ampi studi sulla patologia.
Di interesse anche il Progetto italiano mHealth Platform for Parkinson’s Disease Management, finanziato dall’Unione Europea all’interno del Programma Horizon 2020.
Il progetto consiste in un software che, collegato a dei sensori posizionati sul paziente, consente un monitoraggio continuo attraverso applicazioni per smartphone o tablet, permettendo così un contatto costante con il medico e l’aggiustamento in tempo reale della terapia.
I percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali nel Parkinson, come anche la rete istituzionale di supporto per i pazienti, variano molto da regione a regione e molte delle attività di informazione e supporto sono svolte da associazioni di volontariato.
Michael J. Fox e il Parkinson
All’attore canadese Michael J. Fox il Parkinson è stato diagnosticato nel 1991, all’età di 29 anni. Una condizione che pochi anni dopo Fox ha deciso di rendere pubblica, dando il via ad una serie di iniziative promotrici della ricerca sulla malattia.
Sono malato di Parkinson. Malgrado al momento dell’accertamento della malattia i medici gli avessero pronosticato soli 10 anni di carriera cinematografica e forti difficoltà nella gestione della vita quotidiana, a causa del futuro aggravamento delle sue condizioni, l’attore ha continuato a lavorare e ha avuto 4 figli. Ma, come lui stesso ha confessato, non è stato affatto facile accettare la diagnosi e reagire. Fox ha raccontato di avere sofferto di depressione e di avere sviluppato una dipendenza dall’alcol, prima di trovare la forza di pianificare comunque un futuro.
La creazione della Michael J. Fox Foundation (MJFF), che dal 2010 ha raccolto più di 100 milioni di dollari, ha l’obiettivo di promuovere tutti i possibili percorsi di ricerca sulla malattia.
Fra gli altri progetti, la MJFF promuove il Fox Trial Finder, il più grande database esistente sulla malattia di Parkinson per la ricerca di pazienti volontari con le caratteristiche più adatte per le differenti sperimentazioni in fase di studio.
Come da lui stesso spiegato nel suo libro Lucky Man, prima della sua testimonianza al Senato americano nel 2002 nell’ambito di un progetto di advocacy, Michael J. Fox ha rinunciato all’assunzione dei farmaci, per mostrarsi alla politica e alle telecamere con tutti i sintomi della malattia e sensibilizzare l’opinione pubblica e i decisori sulle reali difficoltà dei pazienti.
Mohammed Alì: i pugni ti fanno vibrare il cervello
In quell’evento svoltosi al Senato USA era presente anche un altro paziente celebre, Mohammed Alì, sulla cui forma di Parkinson i medici non sono mai stati in grado di fornire un responso definitivo. Il grandissimo pugile, forse il più grande della storia, non ha mai potuto sapere se la sua malattia fosse in qualche modo connessa al suo passato pugilistico, ai numerosi e importanti traumi cerebrali che questo ha comportato. Nel suo libro autobiografico descrive con precisione l’effetto dei colpi: “I cazzotti ti fanno vibrare il cervello come un diapason”.
Malgrado sia ormai accertato che i traumi cranici aumentino il rischio di sviluppare il Parkinson, è difficile stabilire caso per caso quale sia la causa esatta della malattia.
La malattia e la pazienza: Papa Wojtila
Il Parkinson ha colpito anche Papa Giovanni Paolo II: il Pontefice che aveva assistito ai più eclatanti eventi del Novecento notò i primi sintomi nel 1991. Per un lungo periodo, quei segni, prima il tremore e poi anche la difficoltà nel mantenimento dell’equilibrio, furono sottovalutati. Poi la diagnosi e le terapie.
Le complicazioni a livello osteo articolare impedivano al Papa di restare in piedi a lungo e di camminare agevolmente, rendendo necessario l'uso del bastone e poi di pedane mobili. Il dolore fisico fu il sintomo più intenso e si sommò alla sofferenza morale e spirituale dettata dalla condizione di dipendenza che la malattia aveva instaurato.
I medici che lo avevano in cura riferiscono che, a seguito della tracheotomia che gli fu praticata negli ultimi giorni di vita per consentirgli di respirare, egli si rese conto di non potere più parlare e scrisse su una lavagnetta: “Cosa mi avete fatto? Totus tuus”, frase nella quale il rimprovero ai sanitari era smorzato dal motto di devozione alla Madonna che lo aveva accompagnato dal momento dell’attentato.
Lo sai che...
Anche l’alimentazione può migliorare la risposta alla terapia nel Parkinson: è importante avere alcuni accorgimenti, che saranno adeguatamente consigliati dal medico, tra cui, per esempio, assicurare un apporto proteico e calorico adeguato (i pazienti con Parkinson hanno un consumo calorico maggiore rispetto alla popolazione generale) e preferire un regime ipoproteico che interferisce di meno con l’assorbimento della levodopa.