Aggiornato il 27.02.2023
L’ipertensione arteriosa è una condizione che si manifesta quando la pressione del sangue sulle pareti delle arterie supera i valori soglia di 90 mmHg (minima) e 140 mmHg (massima).
È una condizione che costituisce un fattore di rischio per altre patologie, sia cardiovascolari (infarto e ictus) sia di altri organi, come i reni e la retina.
Colpisce in Italia in media il 33% degli uomini e il 31% delle donne. Solo una parte delle persone interessate ne è consapevole e più del 60 %, nonostante la terapia, non raggiunge i valori pressori adeguati. Eppure, rientrare in valori normali potrebbe ridurre il rischio di mortalità per le malattie cardiovascolari, dato che sono riconducibili all’ipertensione il 40% delle morti per ictus e il 25% per malattie coronariche, tra cui l’infarto.
Occorre distinguere dal punto di vista terminologico l’ipertensione arteriosa dall’ipertensione intracranica (o endocranica), legata all’aumento delle dimensioni del cervello (a causa di condizioni quali traumi o assunzione di determinate sostanze) o all’eccessiva produzione di liquor cefalorachidiano (ipertensione liquorale). Nonché dall’ipertensione polmonare, limitata alla microcircolazione esistente nel sistema respiratorio, dall’ipertensione oculare (che può sfociare nel glaucoma) e dall’ipertensione portale (misurata nella vena porta e associata a malattie epatiche).
Stando ai dati pubblicati nell’aprile scorso, l’ipertensione è il fattore che più contribuisce al carico complessivo delle malattie cardiovascolari e delle morti ad esse correlate. Malgrado ciò, esistono notevoli margini di miglioramento in termini di consapevolezza, trattamento e controllo della patologia.
Un ampio studio condotto sul territorio ha mostrato che il 75% delle persone intervistate dichiara di essere consapevole dei propri valori pressori e che questa consapevolezza è effettivamente maggiore nei soggetti con i valori al di fuori dei range di normalità. Tuttavia, questi livelli superiori di attenzione non sono stati accompagnati da altrettanto accurati cambiamenti nelle abitudini di rilevazione.
La ricerca mostra chiaramente che strategie di comunicazione dirette al paziente possono rappresentare una motivazione che migliora il coinvolgimento, anche nella misurazione a domicilio, e quindi l’aderenza al trattamento.
Questo aspetto è stato messo in luce in particolare durante le fasi concitate della pandemia, soprattutto alla luce del rischio superiore per i soggetti ipertesi di andare incontro a forme gravi di COVID-19. Un fattore in più che deve spingere a raggiungere obiettivi migliori nel controllo dell’ipertensione.
La pressione arteriosa è il valore della spinta che il cuore esercita sul sangue per farlo circolare nel corpo. Si misura in mmHg ed è di solito costituita complessivamente da due valori:
Dipende essenzialmente da due fattori: la quantità di sangue che il cuore pompa nell’unità di tempo e la resistenza che trova nelle arterie. Se le arterie sono più contratte, e quindi il loro diametro è minore, il sangue incontrerà maggiore resistenza al suo passaggio: la pressione necessaria a muoverlo sarà dunque maggiore. Se le arterie sono più rilassate, e quindi il loro diametro maggiore, la pressione necessaria sarà minore.
Quando il volume di sangue circolante e/o le resistenze periferiche aumentano, aumenta anche la pressione: succede durante un intenso sforzo fisico, a causa di un forte stress oppure quando le arterie non sono abbastanza flessibili o elastiche (arteriosclerosi).
La pressione cambia in base al sesso, l'età, al peso, all'etnia e allo stato psicofisico: non è pertanto semplice stabilire dei valori normali per tutta la popolazione.
Ci sono poi fattori che influenzano la misurazione, come il tipo di dispositivo utilizzato, l'ora del giorno a cui avviene la rilevazione e la persona che la effettua.
Considerando tutte queste variabili c’è accordo tra gli esperti nel ritenere che, in un soggetto adulto, i valori normali siano:
Secondo le linee guida ISH 2020, redatte dall’International Society of Hypertension, le persone con pressione ai limiti più alti della norma ma compresi fra 130-139 e 85-89 mmHg sono considerate borderline. Esse potrebbero beneficiare di interventi sullo stile di vita e in alcuni casi assumere medicinali.
Valori superiori indicano ipertensione conclamata e necessitano di adeguato trattamento farmacologico. La cura deve portare a una riduzione della pressione arteriosa di almeno 20/10 mmHg, idealmente con un target di 140/90 mmHg nel giro di tre mesi.
I ricercatori sottolineano che la modifica degli stili di vita è la prima linea di trattamento anti-ipertensivo, da sola (nei casi lievi) o associata ai farmaci.
I pazienti con pressione alta, in particolare quelli con una storia familiare di malattie cardiovascolari, devono essere sottoposti a valutazione di ulteriori fattori di rischio, tra cui età, sesso, frequenza cardiaca, presenza di patologie come il sovrappeso o l’obesità e il diabete o di abitudini come il fumo.Non sono di solito presenti sintomi specifici (asintomatica): non a caso infatti tale condizione è nota come killer silenzioso. Molti pazienti convivono bene e a lungo con la pressione alta senza sapere di essere ipertesi.
Solo di rado si manifesta con:
In base alla causa che l’ha generata, si distingue una forma essenziale, che nasce da alterazioni dei meccanismi di regolazione, e una secondaria, legata a malattie che non riguardano il sistema cardiovascolare.
La stragrande maggioranza delle persone con la pressione alta (95%) riceve una diagnosi di ipertensione primaria, cioè alla quale non è possibile ricollegare una causa certa.
Origina comunemente da un’alterazione di una serie di meccanismi complessi che regolano la pressione sanguigna: sistema nervoso autonomo, equilibri biochimici fra le sostanze in circolo che hanno effetto sulla pressione.
Di solito, l’anomalia è dovuta a un aumento delle resistenze periferiche, che definisce una condizione definita ipertensione sistolica isolata, tipica delle persone anziane. Con l’età, infatti, le arterie tendono a perdere elasticità e perdono la capacità di adattarsi ai cambiamenti di flusso sanguigno (arteriosclerosi).
In generale, l’ipertensione primaria si manifesta con valori superiori a 140 mmHg per la massima e 89 mmHg per la minima.
Nel 5% dei casi la condizione è conseguenza di altre malattie, genetiche o acquisite, che interessano i reni, i surreni, i vasi, il cuore. In tali forme è possibile, una volta curata la malattia di base, normalizzare i valori pressori.
Le patologie responsabili più frequenti sono:
L’uso di sostanze stupefacenti (cocaina e amfetamine) può causare un aumento della pressione arteriosa.
Ci sono poi condizioni fisiologiche, come la gravidanza, che possono comportare un innalzamento della pressione. Le alterazioni compaiono intorno alla ventesima settimana. Se la pressione alta è accompagnata da un eccesso di proteine nelle urine, la condizione è detta pre-eclampsia (gestosi o ipertensione gestazionale). Entro 6 mesi dal parto, nella maggioranza dei casi, la pressione torna normale.
Esistono fattori di rischio che possono predisporre allo sviluppo di ipertensione fra questi:
Lo stress è particolarmente nocivo perché innesca una risposta ormonale che accelera il battito cardiaco. Situazioni di tensione, specie se continuate nel tempo, provocano una serie di problematiche sull’organismo, tra cui la pressione alta.
Tuttavia, è molto difficile stabilire in modo scientifico e oggettivo la quantità di stress capace di far alzare la pressione, dato che ognuno reagisce in modo diverso e quello che può essere fonte di ansia per una persona può non esserlo per un'altra. Alcune tecniche, come lo yoga e la mindfulness o arti marziali come il tai-chi possono essere d’aiuto nel ridurre la tensione.
A questo livello, la pressione ha valori della massima compresi tra 140 e 159 e della minima tra 90 e 99.
Se non sono copresenti altre patologie cardiovascolari, diabete o malattie renali, il cardiologo consiglia innanzitutto la modifica degli stili di vita e delle abitudini alimentari. Viene valutata caso per caso la necessità di prescrivere la terapia farmacologica.
La pressione massima è superiore a 160 mmHg, mentre la minima è almeno 100 mmHg.
Oltre ai cambiamenti delle abitudini di vita, in questi casi è quasi sempre consigliata l’assunzione di una terapia farmacologica.
Entro certi limiti, le oscillazioni sono fisiologiche durante la giornata: i valori aumentano al mattino e si riducono la notte.
Gli sbalzi diventano pericolosi quando, misurando la pressione a intervalli regolari, durante il giorno e durante la notte, si osserva che i valori rilevati sono molto diversi tra loro.
Frequenti sbalzi di pressione caratterizzano l’ipertensione instabile (labile), condizione più pericolosa di una pressione elevata ma costante. Ogni aumento di pressione causa una sollecitazione sulle arterie che promuove la degenerazione della loro parete e aumenta il rischio di eventi quali ictus e aneurismi.
All’origine degli sbalzi di pressione ci sono vari fattori che dipendono dalla genetica, ma anche dall’avanzare dell’età.
Quando la pressione arteriosa non riesce ad essere controllata dall'associazione di 3 farmaci, si è in presenza di ipertensione resistente ai farmaci.
Frequente e spesso sottostimato, questo fenomeno interessa il 5-30% degli ipertesi.
È spesso associata ad un elevato rischio di complicanze cardiovascolari e renali.
L’ipertensione resistente può essere:
Di notte la pressione scende naturalmente, ma in alcune persone si verifica proprio il contrario. Questa condizione si osserva soprattutto in chi soffre già di ipertensione e sarebbe all’origine di danni cerebrali focali di vario tipo.
L’ansia può causare una ipertensione transitoria.
Un esempio tipico di tale fenomeno benigno l'ipertensione da camice bianco, cioè valori di pressione più elevati dovuti al fatto che la misurazione è effettuata dal medico.
Proprio per questo motivo, prima di confermare una diagnosi il medico consiglia di effettuare delle misurazioni a casa, in un ambiente di vita normale.
L’urgenza ipertensiva impone di recarsi in Pronto Soccorso per ridurre i valori in tempi brevissimi al fine di evitare complicazioni più serie.
Non essendo correlata alla comparsa di sintomi specifici, il metodo più efficace per diagnosticare precocemente l’ipertensione è misurarla con una certa regolarità. Di solito una persona scopre di essere ipertesa in seguito alla rilevazione casuale eseguita dal medico.
La misurazione può essere eseguita utilizzando diversi tipi di apparecchio:
Di solito, prima di formulare una diagnosi, il medico chiede al paziente di effettuare delle misurazioni a casa. In questo modo si riesce a quantificare il cosiddetto effetto camice bianco, secondo il quale la pressione rilevata in ambulatorio è più elevata rispetto alla misurazione domestica. Allo scopo tornano utili gli apparecchi automatici, che permettono un'auto-misurazione semplice, effettuabile dal paziente stesso a casa propria.
Prima della misurazione è bene restare seduti per alcuni minuti. La posizione ottimale è quella con entrambi i piedi appoggiati sul pavimento e le braccia in posizione di riposo, preferibilmente appoggiate al tavolo.
Per l’automisurazione, si procede al posizionamento del manicotto sul polso e si attiva il dispositivo. Se la misurazione è effettuata con sfigmomanometro aneroide, si pone il manicotto intorno al braccio, all'altezza del cuore, e si procede alla misurazione della pressione massima e minima, definite rispettivamente dalla comparsa e dalla scomparsa di un battito rilevabile con un fonendoscopio.
La prima volta che effettua una misurazione, è opportuno rilevarla su entrambe le braccia, per identificare eventuali disturbi della circolazione periferica. In caso di valori differenti sarà considerato quello più elevato. Il braccio in cui la pressione è più alta (braccio dominante) verrà utilizzato nelle misurazioni successive.
Per ottenere dei valori affidabili è bene non assumere caffeina e non fumare nei 30 minuti prima del test.
Le persone che vogliono avere un riferimento preciso da portare al medico in occasione dei controlli possono seguire un piano di automisurazione, che consiste nell’effettuare 2 misurazioni al mattino appena svegli (a distanza di qualche minuto l’una dall’altra) e 2 la sera prima di cena.
Non vanno considerati i valori del primo giorno. Si calcola la media dei 24 valori ottenuti gli altri giorni e si portano tutti i valori al medico.
Se la media è superiore a 135-85 mmHg si è in presenza di ipertensione, ma la valutazione definitiva deve essere fatta dal medico.
L'incidenza dell'ipertensione giovanile è in continuo aumento. Non solo per l’incremento della frequenza dei fattori di rischio anche nei più piccoli, prima fra tutti l’obesità, ma anche per la maggiore attenzione dei pediatri nei confronti di questo problema.
Si stima che il disturbo interessi il 3,5% di bambini e adolescenti che apparentemente godono di buona salute, per arrivare ad una prevalenza intorno al 25% in quelli affetti da obesità.
Come prevedibile, in età pediatrica la percentuale di casi di ipertensione secondaria è superiore rispetto alla proporzione che caratterizza la fascia di età adulta. Fra le malattie più coinvolte, i disturbi renali, ormonali o correlati a malformazioni vascolari arteriose e, in una percentuale minore di soggetti, la prematurità e il basso peso alla nascita.
Quando è di lieve entità, può essere trattata senza farmaci, intervenendo soltanto su alcune abitudini nello stile di vita. Ad esempio, praticando attività fisica aerobica (passeggiate, nuoto, bici) e adottando un’alimentazione sana e bilanciata.
In caso di ipertensione moderata o grave, oltre alla correzione delle abitudini alimentari e dello stile di vita, potrebbe essere necessario associare una terapia farmacologica. Questa, dietro prescrizione medica, può prevedere il ricorso a diuretici, beta-bloccanti, ACE-inibitori, calcio-antagonisti, antagonisti del recettore dell’angiotensina.
Questi medicinali possono essere utilizzati da soli o in combinazione, modulando le modalità di trattamento da caso a caso. Nella maggior parte dei pazienti di solito la terapia iniziale è rappresentata da un’associazione di 2 farmaci.
Prima di iniziare la terapia farmacologica è utile valutare con il medico l’utilità dell’attività fisica regolare e della riduzione del peso corporeo. Ricorrere ai farmaci è sicuramente utile e, spesso, indispensabile, ma è veramente un peccato non sfruttare i vantaggi (notevoli) offerti da un poco di moto e da piccoli sacrifici a tavola.
Per chi assume farmaci gli errori nella terapia possono essere molti e impattare anche significativamente sul suo successo.
I più comuni sono:
Non è raro che, in presenza di disturbi quali mal di testa, capogiri, vomito, vertigini, malessere di vario tipo, si decida di misurare la pressione.
Se si riscontrano valori più alti (anche molto più alti) di quelli usuali, la prima cosa da fare è cercare di mantenere la calma.
A questo scopo, è bene ricordare anche che la pressione sia alza fisiologicamente in seguito a stimoli di diversa natura (dolore, ansia, paura…). È quindi possibile che i valori siano maggiori perché si sta poco bene, perché si sta affrontando un brutto periodo.
In ogni caso, è utile sdraiarsi e bere qualcosa di caldo per favorire il rilassamento della muscolatura.
A quanto detto sopra fanno eccezione alcune condizioni, che sono serie e devono essere indagate con urgenza, sia che compaiano insieme che nel caso se ne presenti una sola delle 2 e che possono essere inquadrate in un contesto di ipertensione maligna:
Il ricorso al Pronto Soccorso o al 118 è indicato se l’aumento della pressione è accompagnato da:
Queste situazioni sono rare e, nella grande maggioranza dei casi, l’aumento della pressione arteriosa non comporta pericoli immediati.
Il persistere di valori pressori costantemente elevati danneggia le arterie e gli organi interni.
Sottopone, ad esempio, il sistema cardiocircolatorio ad un superlavoro, promuovendo l’ingrossamento del cuore e l’ispessimento della parete interna delle arterie. I vasi diventano così più rigidi e predisposti alla deposizione delle placche di colesterolo che possono creare le condizioni per eventi ischemici.
Fra le conseguenze dell'ipertensione, è dunque normale che quelle più frequentemente considerate siano ictus, infarto miocardico (per saperne di più: "Infarto, il bis è in agguato") e scompenso cardiaco. Ma le ripercussioni possono riguardare anche altri distretti del corpo.
La pressione alta può danneggiare le arterie dei reni e penalizzare la loro capacità di filtrazione, portando nel tempo a malattia renale cronica e insufficienza renale.
Questa condizione è anche alla base della genesi di alcune forme di demenza: provoca infatti danni nelle arteriole del cervello, creando aree di necrosi correlate alla perdita di neuroni.
Se ad essere danneggiati sono i vasi sanguigni delle gambe, si possono avere conseguenze di diversa gravità, che vanno dai crampi e dolori ai polpacci a forme di paralisi.
L’ipertensione arteriosa è il più importante fattore di rischio modificabile per le malattie coronariche, l’ictus cerebrale, lo scompenso cardiaco e l’insufficienza renale.
A parità di condizioni (età, sesso, colesterolemia, …) chi ha la pressione più alta rischia di più rispetto a chi l’ha più bassa e il rischio è tanto maggiore quanto più alta è la pressione.
Il livello di rischio è differente da individuo a individuo e dipende dalle caratteristiche e abitudini personali:
Anche condizioni non modificabili come l’assetto genetico hanno un ruolo in tutto ciò. Come è noto, figli di genitori con ipertensione hanno maggiore probabilità di sviluppare la malattia rispetto a quelli che hanno genitori normotesi. Tuttavia, poiché la componente di familiarità impatta significativamente su una minoranza dei casi di ipertensione, non ha senso attivare screening genetici estesi sulla popolazione.
Le raccomandazioni da adottare nella vita di tutti i giorni per ridurre il rischio di ipertensione sono dunque:
Una regola base della sana alimentazione consiglia di consumare almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno.
Alcuni cibi, come quelli ricchi di potassio (cioccolato, avocado, spinaci, fagioli, banane e persino il caffè), contribuiscono in modo efficace alla riduzione della pressione (tratto dall'articolo: "Cardiovascular benefits associated with higher dietary K+ vs. lower dietary Na+: evidence from population and mechanistic studies").
Ecco alcuni esempi di cibi consigliati:
Le cause dell’ipertensione includono stress, fumo, alimentazione ricca di grassi e scarsa attività fisica, ma possono esserci delle condizioni di familiarità che predispongono al disturbo. L'ipertensione di solito aumenta con l’età per un irrigidimento delle pareti dei vasi sanguigni che porta ad un aumento delle resistenze periferiche.
Si definisce stadio 1 di ipertensione una condizione in cui la pressione massima è compresa tra 130 e 139 mm Hg e la minima compresa tra 80 e 89 mm Hg. L’ipertensione di stadio 2 è più grave perché ha valori di pressione massima superiori a 140 mm Hg e la minima a 90 mm Hg o superiore.
Picchi pressori transitori si possono verificare, in assenza di altre cause, per l'uso eccessivo di bevande stimolanti come tè, caffè e alcol. Anche l’assunzione di alcuni farmaci da banco (antinfiammatori e decongestionanti) può essere un fattore in grado di aumentare la pressione. Poi, condizioni fisiche, come il sovrappeso, anche fisiologiche, come la gravidanza.
Una corretta idratazione fa funzionare meglio i reni e quindi può contribuire ad abbassare la pressione, ma di per sé non ha un’azione diretta.
Camminando, perdendo i chili di troppo e facendo regolare esercizio fisico (basta mezz’ora al giorno). Smettendo di fumare e curando l’alimentazione. In particolare, va ridotto il consumo di grassi, zuccheri, alcol, caffeina, cibi industriali e sale. E aumentato l’apporto di frutta e verdura e alimenti ricchi di potassio (banane, cioccolato nero in quantità moderate).
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