Infarto: cos'è? Significato, cause e sintomi. Dove è meglio curarsi? Dati PNE

Infarto: cos'è? Significato, cause e sintomi. Dove è meglio curarsi? Dati PNE

Indice

Domande e risposte
 

Micuro ti aiuta a trovare le strutture migliori per Infarto Miocardico Acuto

Di seguito i dati sulle migliori strutture per infarto miocardico acuto. La valutazione di queste strutture si basa sui dati del Programma Nazionale Esiti (dati del 2023, riferiti al 2022), resi pubblici per conto del Ministero della Salute. Micuro analizza e sintetizza questi dati per stilare classifiche che ti aiuteranno a individuare la struttura più adatta alle tue esigenze

Come ha spiegato la Prof.ssa Elena Azzolini, medico specialista in Sanità Pubblica e responsabile del Comitato Scientifico di Micuro: “È stato dimostrato in letteratura che all’aumentare del numero di casi di infarto del miocardio acuto trattati da una struttura sanitaria aumenta la sopravvivenza dopo il ricovero. Perciò, è importante scegliere le strutture che raggiungono le soglie minime fissate dal Ministero della Salute (DM 70) di 100 ricoveri/anno, al di sotto delle quali il rischio di esiti negativi aumenta notevolmente. Oltre al numero totale di ricoveri eseguiti in un anno è fondamentale considerare anche le soglie fissate dal Programma Nazionale Esiti rispetto alla percentuale di sopravvivenza a 30 giorni dal ricovero che dovrebbe essere superiore al 92% e alla percentuale di pazienti (con infarto STEMI) che eseguono l'angioplastica (PTCA) entro 90 minuti dall'arrivo in ospedale che dovrebbe essere superiore al 50%”.


Classifica nazionale: le 5 strutture che nel 2022 in Italia hanno effettuato un maggior numero di ricoveri per infarto miocardico acuto

  1. Azienda Ospedaliera di Padova (n° ricoveri: 965, sopravvivenza: 92,32%, PTCA entro 90 min: 38,63%)
  2. Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (n° ricoveri: 854, sopravvivenza: 95,18%, PTCA entro 90 min: 70,44%)
  3. Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste - Cattinara - Maggiore - ASU Giuliano Isontina (n° ricoveri: 801, sopravvivenza: 95,95%, PTCA entro 90 min: 64,77%)
  4. Presidio Ospedaliero Pugliese Ciaccio di Catanzaro (n° ricoveri: 771, sopravvivenza: 90,73%, PTCA entro 90 min: 59,84%)
  5. Presidio Ospedaliero Universitario Santa Maria della Misericordia di Udine (n° ricoveri: 730, sopravvivenza: 94,84%, PTCA entro 90 min: 34,27%)

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Infarto: che cos'è?

L’infarto è un evento acuto causato dall’interruzione dell’irrorazione sanguigna in un distretto del corpo, che può portare alla perdita definitiva delle cellule coinvolte e a conseguenze di grado variabile, inclusa la morte del paziente.

Perché si chiama così? Il termine deriva dal latino infartus, participio passato di infarcire, occludere.

Cosa sono infarto e ictus? Anche se siamo abituati a ricollegarlo al cuore, l’infarto può colpire qualsiasi tessuto. In questa trattazione ci occuperemo degli organi più frequentemente interessati, primo fra tutti il miocardio (il muscolo del cuore) e in seconda battuta il cervello (a livello del quale l’infarto prende il nome di ictus ischemico o infarto cerebrale). 
Ma sono diffusi casi di infarto anche in distretti meno considerati, come l’orecchio (infarto cocleare), gli arti inferiori (infarto diabetico), la retina e l’intestino.

Chi rischia un infarto?

Poiché l’infarto è un evento che interessa il sistema circolatorio, i fattori di rischio sono condivisi in tutti i tessuti in cui si può presentare.
Esistono fattori modificabili, sui quali è possibile intervenire mettendo in atto strategie di prevenzione, e fattori non modificabili, sui quali non è possibile agire ma che devono essere monitorati nel tempo.


Infarto: come evitarlo

I fattori di rischio modificabili oggi noti sono:

  • Sedentarietà: l’esercizio fisico mantiene il metabolismo attivo, riduce i livelli di lipidi nel sangue e la possibilità che questi si depositino sulle pareti delle arterie; gli esperti consigliano di effettuare almeno 20-30 minuti di attività fisica al giorno, che possono consistere semplicemente in una lunga camminata, purché eseguita con passo disteso e sostenuto;
  • Fumo: oltre ad aumentare il rischio cardiovascolare, è anche direttamente implicato nello sviluppo di tumori;
  • Alcol: è correlato a diversi tipi di danno cellulare, ad un innalzamento del rischio cardiovascolare e all’insorgenza del tumore;
  • Droghe: l’uso di cocaina e anfetamine (MDMA, ecstasy…) aumenta il rischio di infarto e riduce l’età media a cui questo subentra;
  • Grassi saturi: gli alimenti di origine animale contribuiscono ad innalzare i livelli dei lipidi nel sangue e a favorire la deposizione delle placche ateromatose sulla parete delle arterie. Per ridurre il rischio, deve essere limitato il consumo di carne, e latticini e potenziato l’apporto di vegetali, spezie e aromi (peperoncino, curcuma, cumino…) che esercitano azione antiossidante e permettono di ridurre le quantità di sale usate;
  • Ipertensione: il sangue pompato ad alta pressione sottopone la parete delle arterie a sollecitazioni straordinarie, che possono danneggiarla e promuovere la deposizione di placche e la formazione di aneurismi. Inoltre, lo sforzo compiuto dal cuore aumenta il rischio di scompenso cardiaco. In particolare, l’epidemiologia mostra che il 40-90% delle persone colpite da ictus soffre di ipertensione al momento dell’evento. Malgrado ciò, occorre sottolineare che l’infarto può verificarsi anche in individui con pressione arteriosa bassa;
  • Diabete: gli zuccheri in eccesso nel sangue possono depositarsi e danneggiare le arterie, creando le condizioni la formazione delle placche;
  • Sovrappeso: sovrappeso e obesità aumentano il rischio cardiovascolare;
  • Vasculiti: sono patologie autoimmuni che comportano infiammazione dei vasi sanguigni, una condizione che promuove la deposizione delle placche.

Esistono, poi, fattori non modificabili sono:

  • Età: il rischio di infarto aumenta con l’età. Se durante l’adolescenza (dai 14-15-16 ai 18-19-20 anni) si tratta di un’eventualità rara, intorno ai 40 anni le possibilità che si verifichi sono maggiori e toccano un picco fra i 50 ed i 60 anni;
  • Sesso: mentre in età giovanile l’infarto e l’aterosclerosi sono più comuni nei maschi (in questa fascia di età l’infarto colpisce di più gli uomini), dopo la menopausa la perdita, da parte delle donne, dell’azione protettiva degli estrogeni livella i sessi nella quantificazione del rischio;
  • Familiarità: la presenza di precedenti in famiglia aumenta il rischio di essere soggetti a infarto.

Chi colpisce, dunque, l’infarto? Prevalentemente soggetti maschi, di età compresa fra i 50 ed i 60 anni, soggetti a uno o più fattori di rischio. In Italia si verificano circa 120.000 infarti ogni anno, con una mortalità pari circa all’11%, ma in continuo e deciso miglioramento.

Malgrado le percentuali aumentino in presenza di una o più condizioni favorenti, è doveroso ricordare che l’infarto può verificarsi anche senza fattori di rischio.

Infarto del miocardio

L’infarto miocardico acuto, definito più comunemente attacco di cuore, è un gravissimo evento cardiovascolare che comporta la morte di una porzione più o meno estesa di cellule del muscolo cardiaco.

Quando avviene? Esordisce molto rapidamente, quando il flusso di sangue diretto ad un’area del cuore viene interrotto. 

La causa? L’ostruzione di una o più arterie coronariche, i vasi che nutrono il cuore.

Se l’irrorazione sanguigna non viene ripristinata in tempi brevi, l’ischemia si può estendere, causando una perdita di tessuto progressivamente più importante e conseguenze più gravi. Dove il muscolo cardiaco è andato in necrosi, infatti, viene deposto tessuto cicatriziale, privo delle fisiologiche caratteristiche contrattili, con conseguenze più o meno gravi sulla funzione cardiaca.

Perchè succede? Le cause dell’infarto miocardico

La causa dell’infarto miocardico è l’interruzione o la drammatica riduzione dell’irrorazione sanguigna al cuore. 
Le condizioni che possono provocare questo fenomeno sono diverse: di seguito una breve disamina delle principali.


L’aterosclerosi

Quando sono presenti in concentrazione elevata nel sangue (iperlipidemia), i lipidi tendono a depositarsi sulle pareti delle arterie, formando le cosiddette placche ateromatose. Nel caso dell’infarto miocardico, queste arterie sono le coronarie. 
Le placche ostacolano il passaggio del sangue riducendo l’irrorazione del cuore. Inoltre, creano anomalie nel flusso, aumentando la vorticosità e di conseguenza il rischio di danni alla parete delle arterie e di distacco di frammenti della placca (emboli) che possono occludere altri vasi. 
 

Lo spasmo coronarico

La muscolatura liscia della parete arteriosa può reagire contraendosi in risposta a diversi fattori, fra cui l’assunzione di stupefacenti (come la cocaina). 
In questo caso, aumenta il rischio di un infarto non trombotico.
 

Malformazione coronarica

In rari casi il restringimento del lume di una coronaria dovuto ad una malformazione congenita può determinare un’alterazione del flusso del sangue e portare alla formazione di un trombo, responsabile dell’infarto.

Un caso particolare è rappresentato dalla dissezione coronarica, una malformazione congenita o acquisita che consiste nello scollamento fra i foglietti che formano la parete di una coronaria. Una delle conseguenze è la riduzione del diametro interno del vaso, che può rendere difficoltoso il passaggio del sangue. 
 

L’infarto può essere causato da stress? 

La sindrome di Takotsubo è una forma di infarto miocardico che colpisce prevalentemente le donne e che può essere innescata da un forte stress emotivo, un dispiacere, senza ostruzione del flusso di sangue nelle coronarie (o con coronarie pulite, come si direbbe in termini poco scientifici). 
Il nome attribuito alla sindrome deriva dalla forma assunta dal cuore colpito da questo disturbo, che ricorda il cestello usato dai pescatori giapponesi per riporre i pesci.  
 

Infarto e COVID

La pandemia, soprattutto nelle sue prime fasi, ha messo a dura prova i servizi sanitari e reso più difficile l’assistenza erogata per le altre patologie. 
La reticenza a recarsi in ospedale, nella paura di finire contagiate, ha spinto molte persone vittime di infarto a ritardare il consulto medico d’emergenza, con un rischio più elevato di mortalità e complicanze.
 

Christian Eriksen: è stato un infarto?

Gli Europei di calcio che si sono giocati la scorsa estate hanno avuto un brusco avvio, dovuto al terribile evento occorso al giocatore della nazionale danese e dell’Inter Christian Eriksen. 
Malgrado le voci circolanti, i resoconti che ne hanno dato i medici smentiscono l’ipotesi di un infarto. La causa del suo malore sarebbe stata un’aritmia ventricolare, un’altra circostanza potenzialmente fatale.
 

E il canoista Antonio Rossi?

Lo scorso luglio il canoista ex campione olimpico Antonio Rossi è stato vittima di un infarto miocardico, confermato per sua stessa ammissione. 
In seguito all’evento, Rossi è stato sottoposto ad angioplastica coronarica per il posizionamento di uno stent.
 

Infarto rosso e infarto bianco

L’infarto è detto rosso quando è di tipo emorragico e si verifica a causa di un’occlusione arteriosa negli organi con doppia circolazione o dotati di circoli collaterali. Può interessare i polmoni oppure il cuore quando l’area colpita viene riperfusa, in seguito alla lisi del trombo, spontanea o da farmaci.
Viene, invece, definito bianco (o infarto anemico) quando si verifica in tessuti compatti (cuore, milza, reni) nei quali lo stravaso ematico è minimo.
 

Infarto STEMI e NSTEMI

Quello che viene definito NSTEMI è l’infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (Non ST-segment Elevation Myocardial Infarction), un evento meno grave, dovuto ad ischemia acuta e associato a necrosi limitata. In questo caso, gli indici di necrosi sono superiori alla norma.
Il quadro più grave è, invece, quello dell’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), associato a necrosi a tutto spessore del miocardio (infarto transmurale), con innalzamento significativo degli indici di necrosi.
 

Consulta le Migliori Strutture per Infarto miocardico acuto (fonte dati PNE):

Migliori Strutture per Infarto miocardico acuto

Come riconoscere i sintomi?

L’infarto può essere anticipato e accompagnato da una serie di manifestazioni molto soggettive. La durata di questi segni prodromici è variabile e può oscillare fra pochi attimi e 30-40 minuti. Il sintomo che più frequentemente precede l’infarto è il dolore.

Può verificarsi un infarto senza dolore? Sì, l’evento può accadere senza essere preceduto o accompagnato dal dolore


Il dolore al petto

Il dolore al petto dovuto a infarto miocardico insorge senza una causa apparente o a seguito di uno sforzo fisico o una forte emozione. 

Dove fa male il petto? Il dolore ha intensità e durata variabili ed è localizzato nella zona centrale del petto e dietro lo sterno (dolore retrosternale). Questo tipo di dolore è presente anche nell’angina pectoris, è un disturbo che si manifesta con un dolore al petto causato da un’ostruzione coronarica non tanto intensa o prolungata da provocare un infarto. 

Talvolta il dolore al petto può essere puntuale e simile a quello prodotto da una ferita. 

A differenza del dolore intercostale, il dolore anginoso o da infarto non si modifica con le vari fasi della respirazione. 
Talora il dolore retrosternale da reflusso gastroesofageo può essere scambiato per un sintomo di ischemia cardiaca. 


Il dolore al braccio

immagine che rappresenta un uomo con un forte dolore al braccio sinistro, sintomo di infartoIl dolore al petto può essere bruciante e irradiarsi al braccio sinistro, alla schiena (nell’area interscapolare), alla mandibola (ed essere confuso con un potente mal di denti) e alle spalle.

Quale braccio fa male? Il destro o il sinistro? In genere il braccio colpito è il sinistro.


Il dolore addominale

A volte sono presenti sintomi di tipo gastroenterico (bruciore di stomaco, nausea, vomito, diarrea) che mimano un’indigestione o una gastroenterite e che possono confondere il paziente sull’origine del disturbo.

Cosa si prova? Talvolta l’infarto è accompagnato da una sensazione di angoscia, di costrizione, come di una morsa che stringe il petto.
Alcuni pazienti riferiscono di avere sperimentato un senso di morte imminente.
 

Infarto o ansia

Molti pazienti raccontano di avere sperimentato uno stato di prostrazione e forte affaticamento, malessere profondo.
Questo aspetto dell’infarto viene condiviso da altre sindromi, quali il disturbo da attacchi di panico o altri disturbi d’ansia.
 

Altri sintomi

I battiti cardiaci durante un infarto sono alti o bassi? Alcuni studi mostrano come un battito al di sopra dei 75 battiti al minuto sia correlato ad un aumento significativo del rischio di infarto.
L’evento è spesso associato a dispnea (difficoltà a respirare), che può impattare sulla saturazione di ossigeno nel sangue.
Inoltre, possono essere presenti sudorazione fredda e vertigini, capogiri, stordimento, svenimento con perdita di coscienza.

La diagnosi dell’infarto miocardico

Il primo step è quello dell’anamnesi: se il paziente è cosciente, può riferire al medico i sintomi, quando sono sopraggiunti e l’eventuale presenza di famigliari colpiti da infarto o altre malattie cardiovascolari.
Vengono, in prima istanza, eseguiti alcuni esami, che supportano i medici nella ricostruzione del quadro clinico:

  • Elettrocardiogramma (ECG): può segnalare, attraverso l’alterazione delle sue onde, la presenza di un infarto;
  • Esami ematochimici: vengono dosati enzimi che, se presenti in eccesso, possono segnalare la necrosi delle cellule del miocardio. I cosiddetti enzimi cardiaci sono la troponina, la creatin-chinasi (CK) nelle sue isoforme (CM-MB, CK-MM e CK-BB), CK-MB, la lattato-deidrogenasi (LDH). I dosaggi di queste sostanze vengono ripetuti a distanza di 3, 6, 9 ore per tracciare l’evoluzione del quadro clinico;
  • Angiografia coronarica: si tratta di un esame durante il quale viene iniettato un mezzo di contrasto, che, esposto ai raggi X, evidenzia la circolazione nel cuore e nei vasi sanguigni allo scopo di identificare eventuali ostruzioni;
  • Ecocardiogramma: si tratta di una procedura eseguita per confermare la diagnosi di infarto e valutare i danni prodotti.

Come si cura l’infarto miocardico

Il primo fattore chiave nel trattamento è il tempo: ogni secondo, ogni minuto che passa in attesa dei soccorsi implica un maggior numero di cellule.
Il danno deriva dal fatto che, durante la convalescenza, i miocardiociti non vengono sostituiti da cellule con le stesse caratteristiche di autocontrattilità, ma da tessuto cicatriziale, duro, poco elastico, fibrotico, incompatibile con la fisiologica funzionalità cardiaca.

Un infarto può avvenire senza necrosi? Se il ripristino dell’irrorazione sanguigna è sufficientemente tempestivo, la morte dei miocardiociti può essere prevenuta.

Dal ritardo nei soccorsi e nell’istituzione del trattamento dipende anche la probabilità che l’infarto miocardico si complichi, con conseguenze potenzialmente fulminanti come la fibrillazione ventricolare.

Cosa fare subito, quando andare al Pronto Soccorso. I famigliari e conoscenti vicini ad un paziente presumibilmente colpito da infarto devono rivolgersi ai soccorsi d’emergenza nel più breve tempo possibile. Nel caso si tratti di un soggetto già diagnosticato con patologie cardiovascolari e al quale sono stati prescritti farmaci antianginosi da assumere anche al bisogno (come la trinitrina), è necessario somministrargli la pastiglietta.

Il secondo fattore determinante nella prognosi è l’adeguatezza delle cure. Le terapie farmacologiche e le procedure chirurgiche previste dai protocolli sono somministrabili ed eseguibili in sicurezza solo da professionisti con grande esperienza, per i gravi rischi che comportano.

Il primo step dei soccorsi comporta la stabilizzazione del paziente, per quanto è consentito dalle sue condizioni. Innanzitutto, gli sforzi dei sanitari sono volti al ripristino dell’afflusso di sangue nel tessuto miocardico. 

Il secondo step è quello della ricerca delle cause. 

Cosa succede dopo? Nella terza fase gli specialisti istituiscono misure terapeutiche e riabilitative perché un’evenienza così grave non debba ripetersi. Parte della terapia somministrata in emergenza dovrà essere proseguita dal paziente anche dopo la dimissione.
Il trattamento dell’infarto miocardico comprende la somministrazione di farmaci, l’esecuzione di interventi mirati a liberare le arterie occluse e la riabilitazione cardiologica.


I farmaci per l’infarto

Il trattamento farmacologico comprende la somministrazione di:
  • Antiaggreganti: l’acido acetilsalicilico viene somministrato dal medico, normalmente dal personale del 118 o dai sanitari che ricevono il paziente in Pronto Soccorso al fine di inibire l’aggregazione piastrinica, per ostacolare la formazione di nuovi coaguli;
  • Trombolitici: contribuiscono a dissolvere i coaguli che mantengono l’arteria chiusa inibendo l’attività della fibrina, una proteina che contribuisce alla formazione del coagulo; per questa ragione sono anche detti farmaci fibrinolitici. Devono essere somministrati con molta attenzione, perché comportano un rischio di sanguinamento;
  • Anticoagulanti: la terapia anticoagulante orale (TAO) modifica la capacità di coagulazione del sangue riducendo il rischio di formazione di trombi. Gli anticoagulanti interferiscono con i fattori di coagulazione protagonisti della cascata di reazioni che porta alla formazione del coagulo. Fra i più usati il warfarin e l’eparina. Questi medicinali vengono dosati in maniera personalizzata: per identificare la dose corretta in base alle esigenze del singolo paziente viene misurato regolarmente il suo tempo di coagulazione con un prelievo di sangue: l’indice da monitorare è l’INR (International Normalized Ratio o tempo di protrombina), che è compreso fra 0,8 e 1,2 nei soggetti sani. Gli anticoagulanti orali di nuova generazione (rivaroxaban, apixaban, dabigatran) agiscono anche nella prevenzione dell’ictus, non richiedono un dosaggio periodico, ma non possono essere utilizzati in pazienti nei quali sono state impiantate valvole cardiache sostitutive;
  • Antidolorifici: se il dolore toracico è molto intenso il paziente viene trattato con antidolorifici anche potenti, come la morfina;
  • Beta-bloccanti: rilassano la muscolatura cardiaca rallentando il battito e riducendo la pressione arteriosa, evitando che il cuore si affatichi, per scongiurare il rischio di scompenso;
  • Ipocolesterolemizzanti: statine e fibrati possono essere utili anche somministrati dopo l’attacco di cuore, per aumentare la sopravvivenza. 

Come prevenire un nuovo attacco. In seguito all’infarto, il paziente è più soggetto al rischio di un nuovo evento cardiovascolare rispetto ad una persona sana. Per minimizzare questa possibilità, deve seguire una prevenzione specifica, detta secondaria.
 

Quali interventi 

  • Angioplastica coronarica: si tratta di un intervento di chirurgia mininvasiva con il quale si introduce un catetere dotato di un palloncino gonfiabile all’apice attraverso l’arteria femorale fino al cuore. L’arteria occlusa viene liberata e vi viene impiantato uno stent, un dispositivo cilindrico che la mantiene pervia e permettere il flusso del sangue;
  • Applicazione di bypass aortocoronarico: è l’inserimento chirurgico di un ponte arterioso che bypassi il punto nel quale si è creata l’ostruzione collegando direttamente aorta e coronaria ristretta o ostruita mediante l’uso di tratti di altre arterie (come l’arteria mammaria interna) o vene (come la safena degli arti inferiori) prelevati dal paziente.


Come comportarsi dopo

Dopo l’infarto miocardico può essere indicata la riabilitazione cardiologica in regime di degenza o effettuata in ambulatorio a valle delle dimissioni.

Le complicanze dell’infarto

La tempestività e l’adeguatezza delle cure permette di salvare il paziente (laddove possibile), ridurre le conseguenze dell’evento cardiovascolare e aumentare la probabilità che l’infarto sia senza danni residui al cuore.

Quando l’infarto è mortale. Le complicanze dell’infarto miocardico sono eventi potenzialmente fatali, soprattutto perché interessano un paziente già fortemente debilitato:

  • Aritmie: alcune, come la fibrillazione ventricolare, possono essere letali;
  • Shock: a causa della vasta estensione dell’area di necrosi può realizzarsi un crollo della pressione sanguigna, che può portare a insufficienza e blocco renale;
  • Edema polmonare acuto: a causa dei gravi danni subiti a seguito dell’infarto, il cuore può trovarsi in una condizione di affaticamento tale da andare incontro a scompenso e al rischio di ipertensione polmonare;
  • Ischemia di altri organi: l’incapacità del cuore di pompare la sufficiente quantità di sangue a soddisfare le esigenze dei tessuti del corpo può ridurre l’ossigenazione dei tessuti periferici 
Quando si opera. La presenza di alcune complicanze può rendere necessaria la chirurgia.

Ischemia e infarto. L’ischemia è l’interruzione della normale irrorazione del cuore (o di un altro organo o tessuto); se sufficientemente limitata nel tempo e in termini di area colpita, può non causare necrosi delle cellule e quindi non avere come conseguenza l’infarto.

Infarto e arresto cardiaco. L’arresto cardiaco può essere una conseguenza dell’infarto, quando esteso.

Domande e risposte

Quali sono i sintomi prima di un infarto?

L’infarto può essere preceduto da alcuni sintomi. Il principale è il dolore al petto (che insorge senza una causa apparente o a seguito di uno sforzo fisico o una forte emozione) ha intensità e durata variabili ed è localizzato nella zona centrale del petto e dietro lo sterno. Talvolta viene avvertito non in maniera diffusa ma puntuale, come se fosse prodotto da una ferita. Il dolore al petto può essere bruciante e irradiarsi al braccio sinistro, alla schiena (nell’area interscapolare), alla mandibola e alle spalle. Possono essere presenti sintomi di tipo gastroenterico (bruciore di stomaco, nausea, vomito, diarrea, che mimano un’indigestione o una gastroenterite e che possono confondere il paziente sull’origine del disturbo. Molti pazienti riferiscono di una sensazione di angoscia, ansia, costrizione, come di una morsa che stringe il petto; alcuni raccontano di avere sperimentato un senso di morte imminente. In alcuni casi si può avere un forte affaticamento, uno stato di prostrazione. Spesso l’infarto è associato a difficoltà respiratoria; possono essere presenti sudorazione fredda e vertigini, capogiri, stordimento, svenimento con perdita di coscienza.

Quanto si vive dopo un infarto del miocardio?

Nell’immediato la sopravvivenza dipende dalla gravità dell’evento, dall’estensione dell’area colpita, mentre nel lungo periodo è funzione dell’andamento della malattia cardiovascolare di base.

Cosa si intende per infarto del miocardio?

Si tratta dell’interruzione o della riduzione dell’afflusso di sangue ad una porzione del muscolo cardiaco (miocardio) a causa di un’occlusione di una delle coronarie, le arterie che nutrono il cuore.

Qual è l’infarto più grave?

Il quadro più grave è quello dell’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), che è associato a necrosi a tutto spessore del miocardio (infarto transmurale), con innalzamento significativo degli indici di necrosi.

Quando si ha un infarto la pressione è alta o bassa?

La pressione alta è uno dei fattori di rischio che possono portare all’infarto miocardico. Dopo l’infarto, la pressione molto bassa può indicare uno stato di shock associato a insufficienza renale, una complicanza grave e potenzialmente fatale.

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