Epidemie e pandemie: cause, prevenzione e l’importanza della preparazione globale

Epidemie e pandemie: cause, prevenzione e l’importanza della preparazione globale

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Domande e Risposte

Cos’è la Giornata internazionale per la preparazione alle pandemie

"Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. Non missili, ma microbi". Lo diceva Bill Gates nel 2015, sottolineando lo spostamento del baricentro delle paure mondiali dallo spettro della guerra nucleare a quello di una terribile pandemia. Quella che in quel momento appariva come un monito esageratamente funesto si è rivelato essere una profezia: nel 2020 l’arrivo della pandemia Covid-19 ha messo in discussione tutte le certezze su cui si reggeva il mondo occidentale e portato alla ribalta uno scenario terrificante.

A seguito di quel drammatico frangente della storia dell’umanità, con la Risoluzione A/RES/75/27 del 7 dicembre 2020, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato per il 27 dicembre la Giornata internazionale di preparazione alle pandemie. L’obiettivo è quello di portare l’attenzione della comunità internazionale sul tema, di scambiare informazioni utili, conoscenze scientifiche e buone pratiche e di promuovere educazione e programmi di advocacy sulle epidemie a livello locale, regionale e globale.

Poiché i microbi non vedono frontiere e oggi viaggiano molto rapidamente a bordo di aerei di linea, è chiaro come solo un’azione congiunta e integrata da parte di tutte le istituzioni sanitarie e governative mondiali possa individuare soluzioni realmente efficaci. È quindi necessario creare reti di collaborazione e procedure condivise al fine sia di prevenire l’arrivo di pandemie sia di gestirle nel malaugurato caso in cui si presentino. Tutto ciò si basa su un approccio alla salute globale, introdotto e adottato negli ultimi decenni, che viene definito One Health e che considera l’uomo come parte di una realtà molto più ampia, che ne condiziona giocoforza la salute.

Al di là dei TED Talks del fondatore di Microsoft, gli esperti ritengono che quella del 2020 non sia stata l’ultima pandemia, ma che ragionevolmente dobbiamo aspettarci che altri microorganismi acquisiscano la capacità di minacciare la nostra salute. Per via delle alterazioni degli ecosistemi indotte dalla deforestazione e dai cambiamenti climatici, è più probabile (come del resto si è verificato per il SARS-CoV-2) che il pericolo arrivi dal mondo animale. Sono le zoonosi, cioè le malattie originariamente veterinarie che hanno saputo compiere il salto di specie e colpire l’uomo, a preoccupare maggiormente le autorità sanitarie e politiche.

La Giornata internazionale per la preparazione alle pandemie è necessaria, pertanto, ad alzare i livelli di attenzione sul bisogno di mettere a punto non solo strategie sanitarie coordinate, ma anche politiche contro la disinformazione e a favore di un accesso alle cure equo.

Cosa sono le epidemie e perché sono pericolose

Il tema delle malattie infettive sembrava desueto: una minaccia d’altri tempi o dei Paesi poveri, che hanno un accesso problematico all’acqua corrente e agli antibiotici d’uso comune. Patologie come il cancro e l’Alzheimer, data la loro diffusione e pericolosità, hanno assorbito tutta l’attenzione del mondo occidentale, e con essa la maggior parte delle risorse economiche destinate alla ricerca.

È stato così messo da parte il problema dell’antibiotico resistenza, che sta rendendo inefficaci gli antibiotici attualmente disponibili, e non sono stati dedicati sufficienti sforzi allo sviluppo di nuovi medicinali antibatterici. Accanto a ciò, le pressioni antiscientifiche ormai diffuse nelle nostre società hanno potenziato l’esitazione vaccinale e portato ad un pericoloso abbassamento della quota di popolazione vaccinata nei confronti delle malattie prevenibili.

Ci siamo così trovati in una situazione di rischiosa impreparazione, non solo per quanto riguarda gli strumenti sanitari che è necessario predisporre in concomitanza con l’insorgenza di focolai di infezione, ma anche dal punto di vista della reale consapevolezza dei rischi a cui eravamo esposti.


Ma cos’è una pandemia e in che senso si differenzia dal concetto di epidemia?

Quando una malattia infettiva si manifesta in una popolazione in cui non è stabilmente presente, si parla di casi sporadici.

Se un soggetto malato contagia più di una persona e, a loro volta, i contagiati diffondono il microbo ad altri individui, l’infezione si diffonde nella quota di popolazione suscettibile (ad esempio perché non vaccinata). Si viene così a determinare una epidemia, cioè un aumento del numero di casi della malattia che supera quello atteso in quella specifica area. Si parla di numeri attesi perché alcune patologie sono stabilmente presenti in certi territori, senza esprimere picchi di frequenza: queste sono definite malattie endemiche.

Quando la diffusione del contagio esce al di fuori dei confini locali per interessare più continenti o comunque vaste aree del mondo e coinvolgere una quota significativa della popolazione mondiale, allora si parla di pandemia. Fra il riconoscimento dell’epidemia e quello della pandemia, nel caso in cui le ricadute per la Salute pubblica siano possibili ripercussioni che superano i confini nazionali, può essere dichiarata l’emergenza di Sanità pubblica di rilevanza internazionale. Si tratta di un evento straordinario che può costituire una minaccia sanitaria per altri Stati attraverso la diffusione di una malattia e richiedere una risposta coordinata a livello internazionale.

Di questi fenomeni abbiamo molte testimonianze scritte in letteratura e nei documenti storici. Già i libri della scuola dell’obbligo riportano informazioni dettagliate sulla peste nera che ha imperversato a metà del XIV secolo, più che dimezzando la popolazione europea. L’ignoranza sulle cause, sul ruolo dei topi come vettori, sull’importanza dell’igiene e, di conseguenza, sui possibili comportamenti preventivi fu alla base dei numeri impressionanti con cui ancora oggi viene ricordata.

Anche in tempi più recenti abbiamo avuto prove di straordinaria virulenza da parte di microorganismi circolanti. Basti pensare all’influenza spagnola, apparsa nel 1918 sul finire della Prima Guerra Mondiale e responsabile di un numero di morti compreso fra 20 e 50 milioni.

L’invenzione dei vaccini ha cambiato lo scenario pandemico, a partire dalla sconfitta inflitta ad un virus antichissimo, quello del vaiolo. Un microrganismo estremamente letale (mortalità superiore al 30%) che nel 1978 è stato dichiarato ufficialmente debellato.

L’esperienza del passato, anche recente, non porta a pensare che le pandemie siano un problema superato, ma piuttosto una minaccia senza tempo: ciò che può fare la differenza, è (oltre alla capacità di prevenzione attraverso l’attuazione di politiche sanitarie opportune) la preparazione con cui vengono affrontate e gestite.

In tempi più prossimi, abbiamo avuto il caso dell’AIDS, sulla cui diffusione ha pesato non solo il fatto che si trattasse di un virus sconosciuto, ma anche lo stigma sociale che circondava i malati, ostacolando la diagnosi e la predisposizione delle misure di protezione dal contagio. La diffusione dell’HIV ha portato, si stima, a 25 milioni di morti a livello mondiale.

Diverso il caso di Ebola, un virus anch’esso zoonotico scoperto nel 1976 e la cui diffusione è stata per anni contenuta all’interno del territorio africano senza (a torto) impensierire l’Europa. La prima epidemia, che risale al 2013 ed è stata dichiarata emergenza di Sanità pubblica di rilevanza internazionale nell’agosto 2014, ha provocato oltre 11.000 vittime. Nel 2019 è stato approvato l’uso di un vaccino vivo attenuato (Ervebo).

Altra emergenza infettiva, altra zoonosi: l’infezione umana da virus Zika è una malattia trasmessa dalla puntura di zanzare infette di alcune specie appartenenti al genere Aedes, che ne sono vettori. In Italia, la sorveglianza dei casi di malattia è regolata (insieme ai casi di Dengue e di Chikungunya) dal Piano nazionale di sorveglianza e risposta alle arbovirosi trasmesse da zanzare pubblicato nel 2016.

Il coinvolgimento attivo dei Governi nella predisposizione e attuazione di piani di preparazione è giustificato non solo dalle implicazioni sanitarie in termini di salute pubblica, ma anche dalle preoccupazioni economiche correlate alla diffusione di infezioni a rischio pandemico. Si pensi che la pandemia Covid-19 ha prodotto una riduzione del PIL dell’8,9% nel 2020. La necessità di destinare risorse economiche alla Sanità distraendole da altri settori, la riduzione della produttività, l’inasprimento delle disuguaglianze sociali sono alla base dei rischi di recessione e impoverimento delle popolazioni.

Cause delle epidemie

Come anticipato nei paragrafi precedenti, la deforestazione e i cambiamenti climatici sono alla base del fenomeno delle zoonosi. Le alterazioni degli ecosistemi indotte da tali fattori determinano infatti una maggiore contiguità fra uomini e animali selvatici e, quindi, un aumento delle probabilità che microorganismi di pertinenza veterinaria compiano il salto di specie, divenendo in grado di infettare l’uomo.

Accanto a ciò, la globalizzazione ha dato impulso ai viaggi, favorendo il contatto interpersonale e accelerando lo spostamento dei microorganismi e il loro attecchimento su nuovi territori.

A completare il quadro, la presenza di sistemi sanitari fragili e impreparati, messi a dura prova da una spesa esplosiva, da cure sempre più innovative e quindi anche costose, da un assetto demografico ostico. Viviamo un’epoca di emergenze continue, che impongono scelte difficili in termini di allocazione delle risorse e che rischiano di comportare rinunce fatali.

Occorre, pertanto, individuare le direttrici di sviluppo ancor prima che predisporre le misure necessarie e mettere a disposizione le relative risorse economiche. È importante che ai tavoli dei decisori partecipino con l’opportuno peso i rappresentanti della comunità scientifica, perché sia possibile individuare con chiarezza le priorità per la salute pubblica e gli interventi caratterizzati da parametri di costo-efficacia più favorevoli.

Lezioni dal passato: cosa abbiamo imparato dalle epidemie

Le conseguenze tragiche delle pandemie hanno, a spese dell’umanità, messo in evidenza aspetti su cui concentrarsi per evitare che l’evenienza si ripetesse. Temi non sempre nuovi alla comunità scientifica, per la verità. L’importanza della cooperazione internazionale ai fini della gestione del rischio di contagio delle infezioni era già nota e ampiamente ribadita. Lo stesso intervento di Bill Gates, che ha avuto risonanza mondiale essendo stato riportato dalle maggiori testate internazionali, aveva in tempi non sospetti portato il focus sul problema dell’assenza di una rete che garantisse il flusso di informazioni e di piani integrati e armonizzati a livello globale.

A monte di tutto ciò, è essenziale che il personale sanitario sia adeguatamente formato e sensibilizzato. La pandemia Covid-19 ha evidenziato le lacune nell’attuazione, da parte degli operatori, delle corrette misure di prevenzione del contagio e di gestione del rischio infettivo nelle strutture. In altre parole: le procedure erano note e codificate, ma non venivano rispettate. È, dunque, fondamentale non solo fornire gli opportuni aggiornamenti ma anche attivare la collaborazione di medici, infermieri e farmacisti, stimolarne il coinvolgimento. Inutile ripetere come gli investimenti in prevenzione permettano di risparmiare in maniera significativa in termini di miglioramento dei parametri di salute pubblica, riduzione del numero di persone contagiate e/o morte e dei costi associati all’assistenza.

Allo stesso modo, le emergenze hanno anche dato enfasi alle misure che ognuno di noi può mettere in atto per difendersi dal contagio. Dal lavaggio accurato e frequente delle mani, al distanziamento sociale rispetto alle persone infette o potenzialmente tali, all’impiego di dispositivi di protezione individuali (mascherine), sono molti gli input anch’essi non nuovi ma sottolineati dalla situazione contingente vissuta.

Abbiamo, più in generale, imparato che temi di rilevanza globale richiedono partecipazione globale: nessuno può ritenersi escluso dal coinvolgimento.

immagine che mostra delle persone che indossano una mascherina per proteggersi da un'epidemia

Come prepararsi alle epidemie

Nel novembre 2020, proprio nel corso della pandemia da Covid-19, in occasione del Forum di Parigi per la pace, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel propose di elaborare uno strumento internazionale sulle pandemie. Di mettere, cioè, a punto raccomandazioni globali allo scopo di affrontare nella maniera più opportuna eventuali pandemie.

Piano strategico operativo di preparazione e risposta ad una pandemia da patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico 2024-2028

Nel 2022 sono state introdotte importanti modifiche a livello UE nel coordinamento della risposta alle emergenze di salute pubblica e nelle funzioni dei principali organismi deputati alla preparazione e risposta alle emergenze attraverso una serie di provvedimenti:
  • Regolamento (UE) 2022/2371 relativo alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero: fornisce indicazioni per la pianificazione della prevenzione, della preparazione e della risposta, per la valutazione costante dei livelli di preparazione e per l’adozione di acquisti congiunti. Il Regolamento introduce la possibilità di riconoscere un’emergenza di Sanità pubblica a livello UE;
  • Istituzione dell’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) della Commissione Europea;
  • Revisione ed estensione dei mandati dello European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).
A livello mondiale, è stato istituito un centro di intelligence epidemica e pandemica da parte dell’OMS, che nel 2023 ha emanato in proposito una serie di raccomandazioni contenute nel documento Preparedness and Resilience for Emerging Threats Module 1: Planning for respiratory pathogen pandemics Version 1.0 (PRET). Il paper propone un approccio multi-patogeno per via principale di trasmissione.

L’OMS ha anche sviluppato la cosiddetta strategia Mosaico, che individua come obiettivi prioritari (domini):
  • Dominio I: identificazione e valutazione di un virus respiratorio emergente/ri-emergente;
  • Dominio II: monitoraggio delle caratteristiche epidemiologiche dei virus respiratori nelle fasi interpandemiche; 
  • Dominio III: fornire dati sull’impatto degli interventi per la salute umana. 
Per sviluppare un sistema resiliente di sorveglianza dei virus respiratori a potenziale epidemico o pandemico, l’OMS propone una visione e degli obiettivi di realizzazione per ogni dominio.

Purtroppo, non è ancora stato raggiunto un accordo sul Trattato pandemico, il documento globale OMS che ha l’obiettivo di codificare una collaborazione fra i diversi Paesi in caso di eventi pandemici. Ricordiamo, a questo proposito, che l’adozione del Trattato richiede il voto di due terzi dei 194 Stati che aderiscono all’Organizzazione Mondiale della Sanità e che l’accordo sarà vincolante solo per i Paesi che lo ratificheranno.

Il miglioramento delle aspettative di vita che si è registrato negli ultimi 100 anni è legato specialmente alla scoperta e diffusione dei vaccini e degli antibiotici. In particolare, gli studi effettuati su Covid-19 hanno portato ad ulteriore sviluppo dei vaccini a mRNA, costituendo una base per ulteriori ricerche e prodotti sempre più performanti. Lo sviluppo di antivirali ha permesso di gestire l’AIDS come una malattia cronica e di curare definitivamente patologie come l’epatite C. È dunque inevitabile guardare alla ricerca come ad uno strumento insostituibile su cui basare investimenti e aspettative di miglioramento nella preparazione alle pandemie. Ma l’innovazione non si limita al mondo dei farmaci: ricordiamo, infatti, che la possibilità di diagnosticare rapidamente e a domicilio i casi di positività al SARS-CoV-2 ha consentito di controllare il contagio e tracciare il quadro epidemiologico dell’infezione. Il panorama della diagnostica è sempre più sofisticato e capace di rilevare malattie negli stadi iniziali, quando sono ancora asintomatiche, permettendo di instaurare tempestivamente una terapia appropriata e di prevenirne la diffusione.

Anche la comunicazione deve fare la sua parte. Abbiamo avuto tutti la possibilità di sperimentare i danni provocati dall’infodemia, dalla diffusione di enormi quantità di informazioni non verificate e accessibili a tutti. La confusione generata nel corso della pandemia ha portato ad errori terapeutici, assunzione di farmaci inappropriati, esitazione vaccinale e altre ripercussioni potenzialmente gravi in una fase storica in cui invece ci sarebbe stata assoluta necessità di indicazioni chiare e univoche (nei limiti del possibile). È dunque opportuno il coinvolgimento dei media perché adottino linee editoriali in accordo ai principi scientifici e del pubblico perché ricorra a fonti verificate per le informazioni sulla salute. 

Il ruolo della tecnologia nella prevenzione

L’enorme quantità di dati sanitari resa disponibile dall’uso di strumenti digitali permette di conoscere rapidamente e gestire fenomeni complessi come le pandemie. Se questa chance è divenuta nota al grande pubblico solo dopo il 2020, fin dal 2008 i data scientist di Google utilizzavano le informazioni provenienti dal web per tracciare l’andamento delle malattie infettive, L’algoritmo Google Flu Trend ha rappresentato il primo significativo tentativo di usare i Big Data per il monitoraggio della salute pubblica.

La raccolta e l’analisi dei dati permette lo sviluppo di modelli predittivi del comportamento dei microorganismi che aiutano a prevedere quale possa essere il pattern di diffusione. L’intelligenza artificiale, attraverso strumenti di machine learning, consente di affinare i modelli perché imparino dall’acquisizione di nuove informazioni, allo scopo di ottenere algoritmi sempre più accurati.

Il digitale non si limita a supportare gli aspetti epidemiologici della questione, ma può entrare nella gestione concreta e quotidiana dell’assistenza, ad esempio mediante la telemedicina. Una connessione internet ed uno smartphone possono consentire di contattare un medico da remoto, senza rischiare che il paziente diffonda il contagio né che egli stesso metta a rischio la propria salute. Proprio a questi aspetti della cura il PNRR ha dedicato importanti sforzi economici.

Se anche le app hanno giocato un ruolo di prim’ordine nel corso della pandemia Covid-19, continueranno auspicabilmente a garantire un supporto nella gestione della risposta collettiva alle chiamate di Sanità pubblica (campagne vaccinali, screening di massa).

Come contribuire individualmente alla prevenzione

Come si è detto, è determinante che ognuno di noi è coinvolto nella protezione della salute individuale e collettiva. In accordo al principio su cui si basa l’approccio One Health, nessuno può essere sano da solo. Il nostro benessere è legato a quello degli animali che popolano il pianeta e alla qualità degli ambienti in cui viviamo: per questo, prendercene attivamente cura è una scelta di sano egoismo prima ancora di responsabilità civile.

Se i vaccini hanno contribuito più di ogni altro presidio ad aumentare l’età media, sembra davvero difficile spiegarsi il perché di tanta reticenza. Andare incontro all’esigenza di informazione e chiarezza da parte dei cittadini è compito delle istituzioni sanitarie e degli operatori (medici, infermieri, farmacisti) che appaiono nei media. Non bisogna avere paura di essere trasparenti, di spiegare che il rischio zero non esiste (e non solo per i vaccini), di citare i numeri relativi alle reazioni avverse correlate: la trasparenza è la base per la costruzione di un rapporto di fiducia e alleanza fra cittadini e istituzioni.

È, inoltre, importante l’adozione delle misure che abbiamo visto assumere un valore primario nella protezione dal contagio. Indossare la mascherina può aiutare anche oggi, anche senza che sia in atto una particolare minaccia infettiva, a difendersi dal rischio di influenza. Un gesto che protegge noi, la nostra salute, ma anche chi vive con noi ed è magari più a rischio (parenti anziani o fragili, bambini piccoli). Lavarsi le mani di frequente, con sapone e acqua calda è il miglior modo per prevenire il contagio, non soltanto dai virus che tipicamente infestano i mesi invernali, ma anche dalle tossinfezioni alimentari.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Domande e risposte

Cos’è la Giornata Internazionale per la Preparazione contro le Epidemie?

Con la Risoluzione A/RES/75/27 del 7 dicembre 2020, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) ha proclamato per il 27 dicembre la Giornata internazionale di preparazione alle pandemie. L’obiettivo è quello di portare l’attenzione della comunità internazionale sul tema, di scambiare informazioni utili, conoscenze scientifiche e buone pratiche e di promuovere educazione e programmi di advocacy sulle epidemie a livello locale, regionale e globale.

Quali sono le principali cause delle epidemie?

In primo luogo, la deforestazione e i cambiamenti climatici, alla base del fenomeno delle zoonosi, ovvero il salto di specie compiuto da alcuni microorganismi animali che imparano ad infettare l’uomo. Accanto a ciò, la globalizzazione, che promuove il contatto interpersonale e accelera lo spostamento dei microorganismi e il loro attecchimento su nuovi territori. La presenza di sistemi sanitari fragili, indeboliti da una spesa esorbitante e da un assetto demografico ostico non aiuta ad allocare adeguatamente le risorse. 

Cosa posso fare per proteggermi da un’epidemia?

In primo luogo, attraverso la vaccinazione, laddove disponibile. In seconda battuta, informandosi consultando fonti accreditate (siti di istituzioni governative e sanitarie, testate verificate). È poi importante adottare le misure di protezione raccomandate: indossare la mascherina dove richiesto, lavarsi le mani di frequente con sapone e acqua calda, mantenere il distanziamento sociale da individui infetti o potenzialmente infetti.

Qual è il ruolo dei governi nella preparazione contro le epidemie?

Il ruolo dei Governi è quello di predisporre piani di preparazione integrati e coordinati con quelli previsti dalle istituzioni sovranazionali.

Quali tecnologie aiutano a prevenire le epidemie?

La raccolta e l’analisi dell’incredibile quantità di dati sanitari resi disponibili dall’uso di strumenti digitali permette lo sviluppo di modelli predittivi delle epidemie. L’intelligenza artificiale, attraverso strumenti di machine learning, consente affinarli perché imparino dall’acquisizione di nuove informazioni, allo scopo di ottenere algoritmi sempre più accurati. Attraverso la telemedicina è possibile contattare un medico da remoto, proteggendo se stessi ed altre persone dal rischio di contagio. Le app di tracciamento garantiscono supporto nella gestione della risposta collettiva alle chiamate di Sanità pubblica (campagne vaccinali, screening di massa).

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