Indice
Domande e risposte
Introduzione: cos’è l’emofilia
L’emofilia è una
malattia genetica rara del sangue che comporta una maggiore tendenza alle emorragie rispetto al normale. È un disturbo
congenito ereditario causato dal deficit di alcune proteine coinvolte nella coagulazione del sangue: in funzione della gravità della carenza, si possono distinguere forme di emofilia lieve, moderata o grave.
Questa patologia è dovuta alla mutazione di un gene localizzato sul cromosoma X. La trasmissione è autosomica recessiva. In funzione del fattore della coagulazione carente si distinguono le forme
A (la più diffusa) e
B dell’emofilia. I pazienti sono per lo più
maschi.
L’etimologia del termine, che origina dal greco, rimanda al suo significato (amore, affezione per il sangue) ed è legata alla dipendenza dei pazienti nei confronti delle trasfusioni di sangue, frequente soprattutto in passato.
Di emofilia si muore? La malattia viene oggi trattata con la
terapia sostitutiva, mediante la quale vengono somministrati i fattori della coagulazione carenti. Oggi l’aspettativa di vita è paragonabile a quella della popolazione generale. Sono in sviluppo (alcuni sono già stati approvati)
farmaci innovativi di tipo biotecnologico, in particolare anticorpi monoclonali e prodotti per terapia genica.
L’emofilia ricorre nella storia delle grandi famiglie di regnanti come tratto ereditario ricorrente in alcuni casati nobiliari a causa dei frequenti matrimoni consanguinei. Per tali ragioni veniva anche denominata
malattia dei re. Uno degli esempi più citati dalle cronache storiche è quello di Alekseij Romanov, figlio minore dell’ultimo zar di Russia Nicolaij e imparentato, per parte paterna, con la dinastia reale inglese.
Mentre è sempre più numerosa la quota di pazienti che pratica
sport, anche a livello agonistico, a testimonianza di una qualità di vita paragonabile (o quasi) a quella delle persone sane, persistono alcune limitazioni per i pazienti. È il caso dell’esecuzione di
tatuaggi.
L’emofilia associata a deficit di fattore della coagulazione superiore al 25% consente di presentare domanda per il riconoscimento dell’
invalidità civile.
Tipi di emofilia
La coagulazione del sangue è resa possibile dall’azione congiunta di diverse proteine, i fattori della coagulazione, che vengono prodotte nei tessuti quando si verifica una lesione. Esse sono coinvolte nella formazione del tappo che arresta la fuoriuscita di sangue e dà il via al processo di cicatrizzazione e guarigione. Tali sostanze intervengono a cascata, attivandosi a vicenda, e vengono definite da numeri romani, in senso crescente dal fattore che interviene per primo in poi.
In base al fattore di coagulazione carente, si parla di:
- Emofilia A, se è coinvolto il fattore VIII (fattore 8);
- Emofilia B, se è coinvolto il fattore IX (fattore 9);
- Emofilia C, se è coinvolto il fattore XI (fattore 11).
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Della patologia si riconoscono anche diverse gravità, in funzione dell’importanza della carenza, a definire i seguenti quadri:
- Emofilia (A o B) grave: viene definita tale quando il valore dell’attività del fattore coinvolto è inferiore all’1%. I sintomi della forma grave compaiono nella primissima infanzia, spesso addirittura durante o subito dopo il parto, e di solito si arriva alla diagnosi entro i 2 anni di vita. Nei bambini affetti dalla forma grave, anche un’iniezione intramuscolare può determinare un sanguinamento importante e la formazione di un livido di grandi dimensioni e lievi traumi del cavo orale possono causare tumefazioni alla base della lingua tali da ostruire le vie respiratorie;
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Centri di riferimento per Emofilia A grave
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- Emofilia (A o B) lieve: l’attività del fattore della coagulazione interessato è compresa fra il 5 ed il 40%. La malattia viene diagnosticata in occasione di un trauma o di un intervento chirurgico, in seguito ai quali il paziente sanguina in maniera anomala; in genere questa forma è compatibile con una qualità di vita relativamente buona;
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- Emofilia (A o B) moderata: l’attività del fattore della coagulazione è compresa fra l’1 ed il 5%; viene riconosciuta durante l’infanzia anche se più tardi rispetto alla forma grave.
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Emofilia e trombofilia. Con l’espressione impropria
emofilia B di Leiden si intende una alterazione della struttura del fattore V di Leiden della coagulazione del sangue, che comporta una maggiore tendenza alla formazione di coaguli (
trombofilia).
Emofilia A acquisita
Una forma ultrarara di questo disturbo è l’
emofilia A acquisita, una variante non ereditaria che può comparire in qualsiasi momento della vita ed è provocata dalla formazione di autoanticorpi. Il meccanismo con cui compare non è stato ancora completamente chiarito.
L’emofilia A acquisita ha un’incidenza di una persona su un milione circa e spesso si manifesta durante la
gravidanza.
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Chi colpisce: l’ereditarietà
Trattandosi di una malattia causata dalla mutazione di un gene localizzato sul cromosoma X, l’emofilia produce conseguenze diverse a seconda che colpisca un uomo o una donna.
Com’è noto, i cromosomi sessuali maschili sono XY, mentre i femminili XX: dal momento che i maschi possiedono una sola copia del cromosoma X, in caso siano affetti dalla mutazione manifesteranno una sintomatologia più intensa. I sintomi più evidenti della malattia colpiscono dunque quasi esclusivamente la popolazione maschile, mentre le donne sono spesso portatrici sane.
L’emofilia A ha una incidenza di un caso su 10.000 nati, mentre l’emofilia B di un caso su 30.000 nuovi nati. Molto più rara l’emofilia C, che si differenzia dalla A e dalla B perché colpisce senza distinzioni maschi e femmine.
La malattia viene riconosciuta tramite l’esecuzione di un test genetico, che può essere effettuato anche in epoca prenatale.
A cosa è dovuta e come si trasmette
Il problema alla base della patologia è la mutazione di un gene situato sul cromosoma X: si tratta quindi di un disturbo cosiddetto X-linked di tipo ereditario. La trasmissione del difetto è di tipo autosomico recessivo.
Nelle femmine, che possiedono una doppia copia del cromosoma X (e quindi del gene interessato), i sintomi sono spesso lievi o assenti. Non a caso le donne sono il più delle volte portatrici sane della malattia. È nei maschi che le manifestazioni compaiono in maniera più impattante.
La trasmissione di un gene malato è la causa alla base della malattia e determina una produzione insufficiente di fattori della coagulazione e, di conseguenza, un’attività ridotta delle piastrine, le cellule del sangue che intervengono per prime nel tamponare una lesione.
Esistono, poi, stimoli che espongono gli emofiliaci al rischio di sanguinamento: traumi (anche di lieve entità), farmaci (antinfiammatori non steroidei, FANS, che sono pertanto controindicati), interventi chirurgici, estrazioni dentarie.
I sanguinamenti possono essere spontanei: ne sono esempi gli episodi di epistassi (sangue dal naso), gengive sanguinanti, di emorragie articolari (emartro) o muscolari (ematomi), presenza di sangue nelle urine (ematuria).
Come si manifesta e le conseguenze
Non vi sono differenze nelle manifestazioni fra emofilia A e B; la gravità dei sintomi è invece influenzata da quanto il fattore della coagulazione coinvolto è carente.
Ma cosa comporta questa malattia? Il sintomo principale è la
tendenza al sanguinamento anche in caso di traumi lievi (sbucciature, interventi odontoiatrici…) o in totale assenza di traumi (emorragia spontanea).
Altre manifestazioni ricorrenti sono la tendenza a formare
lividi sproporzionati rispetto alla serietà del trauma e la difficoltà nell’arrestare la fuoriuscita di sangue da una lesione.
La malattia comporta anche un aumento del rischio di sanguinamento interno di un’articolazione (
emartro) sollecitata da carichi normali. Il tipico esempio è rappresentato dall’emorragia interna al ginocchio che può verificarsi quando un bambino emofiliaco inizia a gattonare; tale condizione è comunque frequente anche negli anziani emofiliaci.
L’emartro colpisce prevalentemente anca e ginocchio ed è accompagnato da infiammazione locale, dolore, gonfiore e limitazione al movimento. Se non viene trattato adeguatamente, può evolvere verso una condizione di deformità e disabilità cronica detta artropatia emofilica. Spesso le conseguenze sono così importanti da rendere necessario un intervento chirurgico di rimozione del rivestimento articolare danneggiato e la sua sostituzione con una protesi.
La complicanza più grave dell’emofilia è l’
emorragia cerebrale che può subentrare in seguito ad un trauma anche lieve e si presenta con sintomi quali mal di testa intenso, vomito, confusione mentale, alterazioni/deficit del linguaggio e del movimento. Emorragie possono verificarsi anche a livello muscolare, gastrointestinale, oculare e nelle cavità (pericardica, pleurica).
I sanguinamenti, anche di piccola entità ma continuativi, possono portare ad una situazione di anemia.
Dal momento che l’emofilia comporta una riduzione della tendenza alla formazione di
coaguli (e quindi di trombi), verrebbe da pensare che gli emofiliaci siano meno a rischio di infarto rispetto alla popolazione generale. Ma tale ipotesi è smentita da prove scientifiche: i soggetti diagnosticati con emofilia hanno la stessa probabilità, a parità di condizioni, di andare incontro a eventi cardiovascolari degli individui sani.

Come si riconosce: esami del sangue e diagnosi genetica
Il disturbo può essere riconosciuto in epoca prenatale attraverso un test a cui di norma vengono sottoposte le donne che hanno casi di emofilia in famiglia. Per l’esecuzione dell’indagine, viene prelevato un
campione di villi coriali (tramite
villocentesi) o liquido amniotico (tramite
amniocentesi): l’esame genetico permetterà di rilevare la presenza o meno della mutazione genetica.
Perché non si fanno campagne di screening? L’emofilia è una malattia rara: questo significa che ha un’incidenza relativamente bassa nella popolazione. Ciò sconsiglia l’esecuzione di test a tappeto e suggerisce di sottoporre all’esame solo le donne con familiarità per la malattia. Tale raccomandazione è utile specialmente per diagnosticare i casi in cui la mutazione è presente ma i sintomi sono assenti o molto lievi, come spesso accade nella popolazione femminile, per le ragioni cui si accennava nei paragrafi precedenti.
Dopo la nascita, il test genetico per la diagnosi viene eseguito nei casi in cui si osserva un sanguinamento anomalo, alterazioni del tempo di coagulazione del sangue (
test del tempo di tromboplastina parziale, PTT) oppure allo scopo di verificare la presenza della mutazione in un soggetto con familiarità. Per stabilire il tipo di emofilia presente vengono dosati i
fattori della coagulazione VIII e IX: la carenza del primo comporta la diagnosi dell’emofilia A, mentre quella del secondo la diagnosi dell’emofilia B.
L’emofilia è una condizione nettamente differente rispetto ad altre malattie del sangue con cui talvolta può essere confusa, come l’
anemia mediterranea o talassemia (dovuta ad un’alterazione nella struttura dell’emoglobina), la
trombofilia (che, al contrario, comporta una maggiore tendenza alla formazione di coaguli e quindi alla trombosi) e la
piastrinopenia (riduzione del numero delle piastrine). La malattia non è associata ad alterazione del dosaggio del fattore di von Willebrand, anch’esso parte della cascata della coagulazione del sangue.
Cura: terapia sostitutiva e farmaci innovativi
Il trattamento tradizionale consiste nella somministrazione dei fattori di coagulazione carenti: è ciò che comunemente viene definito terapia sostitutiva. Originariamente tali proteine venivano ricavate dal sangue dei donatori, ma in epoca recente sono state messe a punto metodiche che consentono di ricavarle in laboratorio.
I fattori della coagulazione (VIII o IX, a seconda del tipo di emofilia) così ottenuti vengono iniettati per via endovenosa nel paziente agli scopi sia di prevenire (trattamento profilattico) sia di trattare (trattamento episodico, effettuato al bisogno, on demand) le emorragie.
Il trattamento profilattico viene istituito intorno ai 2 anni e somministrato (a casa dallo stesso paziente o da un familiare o caregiver) ogni 7-14 giorni nei soggetti con emofilia B e ogni 2-7 giorni in quelli con emofilia A. Questo rappresenta solo uno schema generale di trattamento: ogni paziente richiede una personalizzazione del dosaggio e della frequenza delle infusioni.
Nei pazienti con emofilia A lieve si dimostra efficace la terapia con desmopressina, un farmaco che promuove il rilascio del fattore VIII dalle riserve presenti nell’organismo.
Trattandosi di una malattia cronica, la terapia sostitutiva dura tutta la vita. Questo implica una qualità di vita non sempre buona e costi sociali importanti, legati soprattutto alla spesa per le cure. Nella definizione di questi parametri occorre anche tenere presente il fatto che la terapia sostitutiva è correlata al rischio di reazioni avverse e perdite di efficacia. Un esempio è rappresentato dallo sviluppo di inibitori: alcune persone sottoposte al trattamento producono anticorpi che rendono il fattore della coagulazione somministrato inefficace.
Le nuove cure
Di recente sono state approvate soluzioni biotecnologiche innovative capaci di migliorare significativamente la qualità di vita delle persone colpite da emofilia, ma ancora con costi molto elevati.
Per alcune forme di emofilia A è disponibile un anticorpo monoclonale (emicizumab) da somministrare ogni 7, 14 o 28 giorni. Per la B è stata da poco autorizzata da alcuni enti regolatori una terapia genica che ha fatto molto discutere per il suo costo, pari a 2,5 milioni di euro a paziente. Queste cifre possono sembrare sproporzionate per un disturbo che ha comunque già una soluzione, seppure insoddisfacente, e associato ad una aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. Tuttavia, numeri alla mano, si tratta di costi confrontabili con quelli correlati all’assistenza medica e farmacologica cronica di un paziente. Inoltre, è bene precisare che la terapia genica oggi già approvata per l’emofilia B, a differenza della terapia sostitutiva, è risolutiva, cioè guarisce definitivamente la malattia.
Emofilia e sport
Oggi sempre più persone con diagnosi di emofilia praticano sport, anche a livello agonistico. Il pericolo maggiore, in questi casi, è rappresentato dal sanguinamento articolare e intracranico.
Non esistono indicazioni precise o linee guida internazionali in merito a discipline sconsigliate ma certamente gli sport che prevedono contatto fisico frequente e relativamente violento (pugilato, rugby, pallanuoto) sono più a rischio. In generale, le discipline più raccomandate sono il nuoto, la vela, il ciclismo e il calcio (non il calcetto, per via della maggiore contiguità fra i giocatori e il rischio aumentato di contatto traumatico).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Domande e risposte
Quali sono i sintomi dell’emofilia?
Il sintomo principale è rappresentato dalla tendenza al sanguinamento, più intensa nei casi in cui la carenza del fattore di coagulazione è maggiore. Le conseguenze sono rappresentate da emorragie interne, che possono verificarsi a livello articolare (emartro), pericardico, pleurico o cerebrale. Il sanguinamento lieve ma continuativo può portare ad una condizione di anemia.
Che cosa succede ad una persona affetta da emofilia?
Le persone che soffrono di emofilia hanno più difficoltà nella guarigione delle ferite e delle lesioni interne. In seguito ad un trauma (anche lieve), intervento chirurgico o estrazione dentaria, vanno incontro a sanguinamenti prolungati e formazione di lividi sproporzionati rispetto alla reale gravità dello stimolo.
Come si trasmette?
L’emofilia è una malattia genetica rara dovuta a mutazione di geni coinvolti nella sintesi dei fattori di coagulazione del sangue. Tali geni sono situati sul cromosoma X. La trasmissione avviene per via genetica autosomica recessiva ed è ereditaria.
Perché l’emofilia è una malattia recessiva?
Perché è sufficiente una copia sana del gene a permettere una produzione normale dei fattori di coagulazione.
Cos’è l’emofilia B?
È la forma di emofilia che dipende dalla carenza del fattore IX della coagulazione, meno frequente rispetto alla A ma caratterizzata dai medesimi sintomi.