Indice
Introduzione
Nonostante l’allarme che innescano in famiglia, i disturbi del linguaggio che insorgono in età prescolare (dai 2 ai 6 anni, per la precisione), hanno generalmente evoluzione benigna e sono piuttosto diffusi, arrivando a colpire il 5% della popolazione infantile.
Si tratta generalmente di alterazioni transitorie di tipo eterogeneo, legate allo sviluppo neurolinguistico del piccolo e che possono essere associate a difficoltà neuromotorie, sensoriali, cognitive o relazionali e alterano la capacità di elaborare o articolare parole o frasi. Le anomalie possono riguardare la componente nervosa dell’espressione (il meccanismo situato a monte e che governa l’elaborazione della parola e della frase) oppure l’apparato fonatorio (l’insieme di strutture anatomiche localizzate a livello della gola e che presiede all’emissione della voce).
Oltre la metà dei bambini affetti da disturbi specifici del linguaggio presenta difficoltà di apprendimento dal punto di vista della lettura, scrittura e/o calcolo nei primi anni scolastici (Johnson et al 1999) e nel corso dell’adolescenza (Botting e Conti-Ramsden, 2000).
Cosa sono i disturbi specifici del linguaggio (DSL)

Nell’ambito del consistente numero di casi che si manifestano, esiste una quota di bambini in cui il problema esprime carattere permanente: la distinzione in sede diagnostica è complessa, perché lo sviluppo del linguaggio del bambino non avviene in maniera uniforme e standardizzabile, ma con estrema variabilità interindividuale, sia nei tempi che nei modi. La crescita e la maturazione delle abilità comunicative sono, infatti, estesamente influenzate da fattori esterni quali l’esposizione alla vita sociale, gli stimoli genitoriali alla conversazione, la presenza di fratelli e sorelle. L’acquisizione da parte dei piccoli dell’autonomia linguistica, procede a passi e ritmo non costanti: dapprima attraverso l’apprendimento dei suoni e successivamente il loro assemblamento a formare sillabe, che vengono ripetute e danno origine alle parole e, via via, alle frasi.
Il raggiungimento di una buona capacità espressiva si verifica mediamente intorno ai 30 mesi di età, quando il bambino è in grado di comporre costrutti di più parole. In generale, la maggior parte delle regole linguistiche viene appresa entro i primi 4/5 anni di vita. Tuttavia, questo limite è fortemente indicativo: la differenziazione fra parlatori tardivi (i cosiddetti
late talkers, praticamente il 13-20% dei bambini), bambini che riescono a recuperare il gap entro un anno di ritardo rispetto alla norma (
late bloomers) e bambini affetti da disturbi del linguaggio, richiede una procedura più articolata, nell’ambito di una visita medica specialistica multidisciplinare composta da
neuropsichiatra,
psicologo e
logopedista.
Mentre nel caso dei disturbi transitori, non occorre mettere in atto alcuna strategia terapeutica, quando si sospetta un
ritardo nello sviluppo linguistico è consigliabile consultare lo specialista. I
pediatri ritengono, in via generale, allarmante l’incapacità del piccolo di 30 mesi di età di produrre 50 parole e di mettere insieme due vocaboli.
Se, da un lato, non è prudente drammatizzare la questione, per evitare di innescare
blocchi psicologici o
sensi di colpa che finirebbero con il frenare ancora di più il bambino, dall’altro è opportuno sorvegliarla attentamente anche in relazione al confronto con le traiettorie di sviluppo.
Le
difficoltà nel linguaggio hanno, infatti, ricadute importanti nelle relazioni sociali e affettive, così come nell’apprendimento scolastico e, se trascurate, possono determinare problemi relazionali che penalizzano lo sviluppo armonioso del
bambino.
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Come si manifestano i disturbi primari del linguaggio
I disturbi primari del linguaggio si esprimono nella difficoltà di comunicazione e di gestione di una conversazione:
- Ritardo nella comparsa delle prime parole;
- Ritardo nell’abilità di strutturazione di frasi complesse;
- Alterazione nella produzione dei suoni linguistici;
- Difficoltà lessicali, sintattiche e grammaticali;
- Difficoltà a livello pragmatico;
- Difficoltà di comprensione del linguaggio parlato;
- Scarso uso della gestualità.
Quando preoccuparsi che possa trattarsi di un disturbo primario del linguaggio? L’ipotesi di un disturbo del linguaggio deve sorgere sulla base di un confronto della situazione reale con indici standard individuati come rappresentativi di una condizione di anomalia.
Questi riferimenti sono:
- Assenza della lallazione fra i 5 ed i 10 mesi;
- Assenza della gestualità fra i 12 ed i 14 mesi;
- Mancata acquisizione di schemi d’azione con oggetti a 12 mesi;
- Vocabolario inferiore a 20 parole a 18 mesi;
- Vocabolario inferiore a 50 parole a 24 mesi;
- Assenza o ridotta presenza di gioco simbolico e problemi nella comprensione di ordini non contestuali fra i 24 ed i 30 mesi;
- Ridotta presenza di gioco simbolico fra 30 e 40 mesi;
- Persistenza di idiosincrasie dopo i 30 mesi.
Come riconoscere i disturbi specifici del linguaggio

In prima istanza, gli esperti valutano se il
disturbo del linguaggio manifestato dal bambino è
primario (e quindi si tratta di un
disturbo del linguaggio puro, ossia un disturbo primario del linguaggio) o
secondario ad altre patologie (ritardi di sviluppo o cognitivi generali).
La
diagnosi di DSL è posta quando viene escluso che la compromissione delle competenze linguistiche sia da addebitare alla presenza di altre condizioni patologiche, così come riportato nel
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (
DSM V, acronimo inglese di Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).
Secondo l’
ICD 10 (la classificazione statistica internazionale delle Malattie e dei problemi sanitari correlati) il disturbo del linguaggio è una condizione in cui l’acquisizione delle normali abilità linguistiche è disturbata fin dai primi stadi dello sviluppo. Le cause non sono
neurologiche né relative ai meccanismi fisiologici dell’
eloquio, a compromissioni del sensorio, a
ritardo mentale o a fattori ambientali.
Si tratta, invece, di disturbi generalmente associati a problemi nella lettura e nella scrittura, anomalie nelle relazioni interpersonali e alterazioni emotive e comportamentali.
La diagnosi richiede una
valutazione neuropsicologica e
logopedica, l’anamnesi del bambino e gli appropriati approfondimenti medici, che possono eventualmente deporre per un’alterazione neurologica o a carico degli organi della fonazione.
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La classificazione dei disturbi del linguaggio
I Disturbi Specifici del Linguaggio possono essere classificati in sede diagnostica secondo diversi criteri.
In base al ICD 10 si distinguono:
- Disturbo specifico dell’articolazione;
- Disturbo del linguaggio espressivo;
- Disturbo del linguaggio ricettivo;
- Afasia acquisita con epilessia (Sindrome di Landau Kleffner).
Il DSM 5 ha provveduto ad aggiornare la classificazione dei disturbi del linguaggio rispetto alla sua edizione precedente:
- Disturbo del linguaggio: viene diagnosticato come tale un disturbo dell’espressione del linguaggio unito ad un disturbo misto dell’espressione e della ricezione del linguaggio;
- Disturbo fonetico-fonologico: in precedenza definito disturbo della fonazione;
- Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia: precedentemente chiamato balbuzie;
- Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica).
La balbuzie
La balbuzie è definita come un disturbo della fluenza con esordio in infanzia (DSM 5), che propone i seguenti criteri diagnostici:
- Alterazioni della normale fluenza e della cadenza dell’eloquio, inappropriate per età e abilità linguistiche, che persistono nel tempo, sono caratterizzate dal frequente ripetersi di elementi specifici e non sono causate da disturbi neurologici o altre condizioni medico-psichiatriche;
- Ansia nella comunicazione o limitazioni della sua efficacia, della partecipazione sociale e delle performance scolastiche o professionali;
- Esordio nel periodo precoce dello sviluppo.
Questa alterazione funzionale può coinvolgere il ritmo, la velocità e la fluidità dell’eloquio: la persona che balbetta ha chiaramente in mente ciò che vuole dire, ma non riesce ad esprimerlo in maniera fluida.
La balbuzie interessa l’1% della popolazione, ha un’incidenza maggiore nei maschi (con un rapporto 3-4:1 rispetto alle femmine). Esordisce fra i 2 ed i 7 anni (con un picco intorno ai 5) e, in una percentuale considerevole di casi, regredisce spontaneamente durante le fasi dell’adolescenza. Si stima che una percentuale variabile dal 75 all’80% dei bambini sia colpita da disfluenze verbali fisiologiche, compatibili con la maturazione del linguaggio.
La balbuzie si manifesta con segni caratteristici, quali:
- La frequente ripetizione di suoni e sillabe, specie quelle posizionate all’inizio della parola;
- Il prolungamento dei suoni;
- L’interruzione delle parole;
- Blocchi nel parlato, udibili o silenti (in quest’ultimo caso si parla di arresti tonici);
- Pause silenziose che accompagnano il tentativo verbale;
- Parole emesse con eccessiva tensione e rigidità fisica, che si manifestano anche con spasmi della bocca e del corpo, prodotti nel tentativo di evitare il balbettamento;
- La frequente perdita del contatto visivo nella relazione verbale.
Le
disfluenze verbali non sono sempre da ricollegare alla balbuzie: nella maggior parte dei casi, come già evidenziato sopra, si tratta di anomalie transitorie compatibili con lo sviluppo neurolinguistico del bambino, legate all’immaturità della funzione neuromotoria del linguaggio e dell’integrazione fra le diverse funzioni cerebrali. Per porre una diagnosi di balbuzie occorre che le anomalie del ritmo, della velocità e del flusso del parlato superino determinati valori soglia, individuabili in sede di valutazione logopedistica.

Il circolo vizioso dell’ansia di comunicare, di fatto, è talora tanto vorticoso da indurre a rinunciarvi. La balbuzie
si acutizza quando vi è una pressione a comunicare, ad esempio nel caso di un’interrogazione, di un’esibizione in pubblico: tutte circostanze che generano
ansia sociale.
Per spiegare più efficacemente la balbuzie, può essere utile questa osservazione: nel soggetto normoparlante si attivano prima le aree del cervello della parola e poi quelle che attivano la muscolatura coinvolta nella fonazione. Nel caso del balbuziente, è esattamente il contrario: si attivano prima i muscoli. Il balbuziente ha, dentro di sé, un ritmo accelerato, che deve imparare a gestire, con
esercizi di respirazione e strategie che bypassano la difficoltà nell’attacco delle parole e delle frasi, lo step per lui più problematico.
Il fatto che questo difetto sia normalmente assente o drasticamente meno accentuato quando il bambino canta, recita o colloquia con animali o oggetti inanimati, pone interrogativi che portano dritto al punto cruciale:
le relazioni interpersonali. Le disfluenze risentono in maniera significativa della presenza di un interlocutore, probabilmente perché la loro
componente emotiva, pur essendo fortemente variabile fra individuo e individuo, si mantiene sempre significativa.
La
recitazione, in particolare, sembra individuare una felice congiuntura per coloro che soffrono di disturbi della comunicazione. La spersonalizzazione che è alla base di questa forma di arte, consente alla persona balbuziente di spogliarsi dei propri abituali panni e diventare altro, alleggerendosi del carico emotivo e dimenticandosi dell’imbarazzo di non potersi esprimere.
Questa acquisizione è relativamente recente. Per secoli si è ritenuto che l’anomalia fosse associata ad un problema locale, a livello della laringe e dei muscoli della lingua. Interessante, a questo proposito, il personaggio (interpretato in modo molto suggestivo dall’attore premio Oscar Geoffrey Rush) del logopedista di
Re Giorgio VI nel pluripremiato film Il Discorso Del Re, che imponeva al sovrano balbuziente sfilze di esercizi mirati allo scioglimento della lingua.
La componente muscolare gioca comunque un ruolo determinante nel creare ostacoli al normale flusso del linguaggio, che le nuove teorie non hanno smentito. In parte la
Terapia del Linguaggio a tutt’oggi si concentra sullo scioglimento della muscolatura coinvolta nella respirazione e nella fonazione.
Uno studio pubblicato su The Lancet ha aggiunto un tassello importante alla comprensione dell’origine neurobiologica delle
disfluenze. Dalla ricerca emerge che un difetto nell’attivazione in specifiche aree cerebrali connesse al linguaggio, che potrebbe essere ereditario, sembra essere alla base di questo disturbo della comunicazione. Questa acquisizione è provata dall’alterazione delle
immagini PET del soggetto durante la produzione del parlato e spiegherebbe l’incidenza significativamente maggiore nella popolazione maschile e la tendenza a presentarsi in persone con altri casi in famiglia.
Sempre secondo questo lavoro, la balbuzie sembrerebbe essere associata a una
iperattività dopaminergica, in perfetta coerenza con l’accelerazione del ritmo.
Balbuzie: come diagnosticarla?
Quando intervenire nella balbuzie? L’intervento del logopedista è particolarmente utile quando l’inquietudine del bambino e la preoccupazione dei genitori diventano un freno allo sviluppo del linguaggio e delle relazioni sociali e affettive e si concentra, in accordo con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, su alcuni punti fondamentali.
In sede diagnostica viene:
- Raccolta l’anamnesi del bambino;
- La valutazione delle capacità e abilità uditive, motorie, linguistiche e cognitive (per escludere che l’anomalia del linguaggio sia secondaria ad altri fattori);
- La valutazione della disfluenza, della sua gravità, della sua frequenza e degli eventuali comportamenti secondari correlati;
- Identificate altre alterazioni della comunicazione eventualmente presenti, come la tensione muscolare, la reattività emozionale alla libertà di parola, i comportamenti di coping, gli aspetti non verbali della comunicazione, le anomalie nell’interazione sociale e le variabili esterne che influenzano la fluenza verbale.
In fase di diagnosi è fondamentale identificare anche le paure scatenate dalla balbuzie e dai comportamenti di evitamento messi in atto (che penalizzano in maniera più o meno significativa la comunicazione), ma anche dei punti di forza della capacità espressiva del soggetto (che devono essere potenziati). Inoltre, deve essere valutata la possibilità di estendere una parte del trattamento alla famiglia o ad altre persone che hanno un ruolo rilevante nella vita del bambino. Le reazioni ansiogene da parte delle persone che circondano il piccolo, che per esprimersi deve vincere la paura di parlare, possono, infatti, costituire un’ulteriore barriera alla comunicazione.
La Terapia del Linguaggio ha come scopo l’elaborazione di strategie di supporto alla comunicazione e il training al loro utilizzo, al fine di ridurre frequenza e gravità degli episodi di disfluenza e del ricorso all’evitamento. Lo stato non ancora pienamente soddisfacente delle conoscenze scientifiche sulla balbuzie e la sua grande variabilità interindividuale rendono difficile la parametrizzazione della terapia. Tuttavia, questo aspetto ne valorizza la personalizzazione.
L’indicazione ad effettuare altre valutazioni, accertamenti o trattamenti di supporto, come la terapia cognitivo-comportamentale, sinergica nella gestione della dell’emotività, in modo tale che questa non costituisca un ostacolo alla comunicazione e nella direzione del fornire al balbuziente strumenti per la gestione della tensione.
Disturbi primari del linguaggio: come intervenire
Il trattamento dei disturbi primari del linguaggio è prevalentemente logopedico.
Successivamente alla conferma della diagnosi, la riabilitazione neurolinguistica è affidata al logopedista, il professionista che si occupa di prevenzione, cura, riabilitazione e procedure di valutazione funzionale delle patologie del linguaggio e della comunicazione.
Il trattamento logopedico si propone il raggiungimento di obiettivi quali:
- Lo sviluppo nel bambino della capacità di esprimersi in maniera comprensibile e degli strumenti linguistici mirati all’ampliamento delle strutture sillabiche e del vocabolario e alla costruzione di frasi complesse;
- L’educazione alla corretta motricità dei muscoli che concorrono alla produzione del linguaggio;
- L’eliminazione degli errori che non permettono la corretta pronuncia delle parole;
- Promozione della comunicazione verbale e non verbale;
- Maturazione della consapevolezza e della sicurezza linguistica nel bambino.
Il potere della parola e la medicina narrativa
La comunicazione della persona balbuziente è penalizzata dal pensiero di controllare la parola, di evitare di balbettare, che sottrae energie all’obiettivo più coerente, quello del contenuto. La parola è al centro di qualsiasi disquisizione sulla balbuzie e le intersezioni con il ruolo che la stessa riveste nella psiche umana, sono molteplici.
L’importanza della parola nella nostra vita, nelle relazioni interpersonali è testimoniata anche dalla ricchezza, nel linguaggio comune, di espressioni che vi fanno riferimento: diciamo “ha una buona parola per tutti” per indicare una persona generosa, “mettere una buona parola” in riferimento ad una richiesta di intercessione, “essere in parola con qualcuno” se intendiamo parlare di una trattativa che è in corso, “avere l’ultima parola” per sancire il successo in un contenzioso, “togliere la parola di bocca” quando qualcuno ci anticipa formulando un pensiero già nella nostra mente…
La parola è alla base del pensiero e del ragionamento ed è il principale mezzo di comunicazione. Allo stesso modo, l’importanza del linguaggio per lo sviluppo del bambino è strategica.
La parola racchiude il pensiero e, in un certo senso, veicola una parte di noi. Può fare del bene oppure ferire. Quindi è ϕαρϻακον, nell’accezione greca classica ambivalente di rimedio e veleno.
Ma anche la verità va tenuta in gran conto. Se infatti abbiamo detto giusto, poco fa e la menzogna è in effetti inutile agli dei e utile agli uomini come pharmakon, è chiaro che esso va assegnato ai medici e i profani non devono mettervi mano.
Platone – La Repubblica
La parola come cura è al centro della
Medicina Narrativa,
una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa, con il fine di costruire la storia della cura, il percorso condiviso e personalizzato del paziente attraverso diagnosi e terapia. Il supporto di discipline quali la Medicina Narrativa è fondamentale in uno scenario innovativo nel quale il paziente è al centro, sia dal punto di vista terapeutico che da quello della sperimentazione clinica del farmaco. Un panorama in cui è necessario che si costituisca un’alleanza terapeutica fra tutte le parti in gioco, nell’ambito della quale il paziente sia protagonista, parte (finalmente) attiva e responsabile.
Anche qui, la sfida è individuare criteri di scientificità, che rendano la Medicina Narrativa uno strumento evidence-based e valorizzino contestualmente la componente di unicità emotiva di ogni singolo paziente.
Disturbi specifici del linguaggio nei bambini di 3 e 4 anni
Come anticipato nei paragrafi precedenti, generalmente i disturbi specifici del linguaggio che compaiono durante l’infanzia sono fenomeni transitori destinati ad evolvere verso la fisiologia.
Intorno ai
2 anni di vita il
bambino dovrebbe possedere un vocabolario di circa 100 parole e iniziare ad approcciare l’attività di formazione di frasi composte da più parole.
Ma è il compimento dei
3 anni a rappresentare per il bambino un momento significativo di
sviluppo del linguaggio. L’acquisizione delle sue capacità linguistiche procede con una rapidità molto più elevata rispetto al passato.
Dai 2 ai 3 anni il bambino deve imparare ad esprimersi sempre più chiaramente, ad utilizzare sempre meno le parole onomatopeiche e ad articolare suoni più precisamente, a comprendere brevi racconti.
Prima dei 3 anni non è possibile formulare una diagnosi di disturbo del linguaggio, ma in questa fase che è possibile distinguere fra late talkers e bambini con un disturbo del linguaggio.
Quando preoccuparsi per un possibile disturbo del linguaggio? Benché gli step nello sviluppo delle capacità linguistiche non siano strettamente standardizzabili, è bene ricorrere ad un consulto presso un
centro specializzato se un
bambino di 3 anni se si verificano le seguenti condizioni:
- Conosce meno di 50 parole;
- Non sa combinarne almeno due alla volta;
- Mostra difficoltà di comprensione e non sa interagire in dialoghi semplici.
Il consulto viene di solito effettuato mediante un approccio multidisciplinare da una equipe composta da
neuropsichiatra, psicologo e logopedista.
Se, da un lato, è bene evitare la drammatizzazione di piccole alterazioni che possono migliorare nel tempo, dall’altro occorre tutelare la socialità del piccolo, che potrebbe risentire delle difficoltà nel parlare. Inoltre, i disturbi del linguaggio possono influire negativamente anche sulla scrittura e sulla lettura.
In alcuni casi, gli specialisti consigliano di limitarsi ad osservare il bambino, monitorandone lo sviluppo linguistico
fino ai 4 anni; in altri, di procedere con un intervento.
Dai 4 anni in poi il bambino dovrebbe iniziare a collegare i concetti in termini di causalità e di successione temporale. Dal punto di vista delle
competenze morfosintattiche, dovrebbe acquisire la capacità di utilizzare frasi coordinate e subordinate per verbalizzare le inferenze logiche di avvenimenti e azioni.
Intorno ai 4 anni è possibile distinguere chiaramente fra
late talkers affetti da difficoltà evidente nella pronuncia dei suoni compatibile con l’accrescimento (
dislalia evolutiva), bambini con ritardo specifico del linguaggio (
dislalia combinatoria) e con compromissione delle competenze cognitive in senso più ampio.
Disturbi del linguaggio negli adulti: le cause
I disturbi del linguaggio negli adulti possono essere rappresentati da difficoltà nell’espressione linguistica dovute a problemi transitori o permanenti della capacità di elaborare e articolare parole e frasi che riconoscono cause eterogenee.
Nello specifico, si può trattare di anomalie:
- Della voce:
- Dell’articolazione delle parole e delle frasi:
- Del contenuto del messaggio
dovuti a disturbi di tipo psichiatrico (
autismo), neurologico (demenze,
Alzheimer,
malattia di Huntington,
sclerosi laterale amiotrofica,
sclerosi multipla, ictus), tumorale (
carcinoma del cavo orale, della laringe), respiratorio (
broncopneumopatia cronica ostruttiva), otorinolaringoiatrico (disfonia), morfologico (
palatoschisi), muscolare (
disartria).
Disturbi improvvisi del linguaggio negli adulti sono frequenti sintomi iniziali dell’
ictus, una patologia neurologica potenzialmente letale causata dall’interruzione dell’afflusso di sangue in aree del cervello. La tempestività dei soccorsi, in questi casi, può salvare la vita al paziente o limitarne i danni residui.
Quando disturbi del linguaggio compaiono in soggetti adulti senza una ragione nota e precisa, occorre rivolgersi immediatamente ad un medico.
Fra i danni residui prodotti dall’ictus, è possibile citare anche l’
afasia, ossia la perdita parziale o totale di una o più abilità comunicative, in particolare a causa di lesioni che colpiscono l’emisfero sinistro.
Fra le cause dei disturbi del linguaggio negli adulti, anche i
traumi.
Anche negli adulti l’intervento logopedico di tipo
riabilitativo (mirato al miglioramento delle abilità nel lungo periodo) o
compensativo (se l’abilità non può essere conservata e deve essere compensata con strumenti alternativi) può determinare importanti progressi nella capacità comunicativa.
Attraverso l’apprendimento di tecniche di corretta respirazione e riabilitazione e coordinamento muscolare, la
logopedia permette un recupero di grado variabile in funzione del tipo di patologia.
Domande e risposte
Cosa significa non riuscire a pronunciare le parole?
Le difficoltà del linguaggio possono avere diverse origini: oltre ai disturbi primari del linguaggio, le ragioni possono essere legate ad alterazioni neurologiche o a carico degli organi della fonazione, a malattie psichiatriche o semplici condizioni psicologiche transitorie. Inoltre, nella fase evolutiva, alcune anomalie nel linguaggio sono compatibili con la fisiologia. Nell’adulto, faticare a pronunciare le parole potrebbe invece assumere un significato di specifica gravità e deve imporre un consulto medico immediato.
Quali sono i disturbi della comunicazione?
I disturbi della comunicazione comprendono i deficit del linguaggio (nel senso della forma, della funzione e dell’utilizzo del sistema di codici), dell’eloquio (che comprende articolazione, fluenza, voce e qualità di risonanza di un individuo) e della comunicazione (qualsiasi comportamento verbale o non verbale che influenza il comportamento, le idee e le attitudini di un altro individuo).
Cosa fare quando un bimbo non parla bene?
Se alcune anomalie del linguaggio possono essere considerate fisiologiche, altre meritano approfondimenti diagnostici. I riferimenti per comprendere se è necessario chiedere un consulto sono i seguenti:
Questi riferimenti sono:
- Assenza della lallazione fra i 5 ed i 10 mesi;
- Assenza della gestualità fra i 12 ed i 14 mesi;
- Mancata acquisizione di schemi d’azione con oggetti a 12 mesi;
- Vocabolario inferiore a 20 parole a 18 mesi;
- Vocabolario inferiore a 50 parole a 24 mesi;
- Assenza o ridotta presenza di gioco simbolico e problemi nella comprensione di ordini non contestuali fra i 24 ed i 30 mesi;
- Ridotta presenza di gioco simbolico fra 30 e 40 mesi;
- Persistenza di idiosincrasie dopo i 30 mesi.
Come si chiama lo specialista che cura il linguaggio?
Lo specialista che interviene nel trattamento dei disturbi del linguaggio è il logopedista.
Come si cura la balbuzie?
La balbuzie viene trattata con un approccio prevalentemente logopedico in presenza di un supporto psicologico che possa, nei casi in cui fosse necessario, offrire strumenti nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale.