Indice
Domande e risposte
Introduzione
La
sindrome fetale da
citomegalovirus (CMV) è dovuta all’
infezione prenatale da questo
virus, che appartiene alla vasta famiglia degli
Herpes virus. Si tratta di una fetopatia che può insorgere quando una
donna in gravidanza,
positiva al CMV,
trasmette il virus al feto in utero.
È dunque una malattia che si verifica durante lo
sviluppo embrionale (embriogenesi), nonché l’infezione virale congenita più diffusa.
Si presenta con una
frequenza variabile tra lo 0,2 e l’1% di tutti i nati vivi. Ogni anno in
Italia nascono circa
5.000 bambini positivi per citomegalovirus.
Cos’è il citomegalovirus
Il citomegalovirus (CMV) è un
patogeno appartenente alla
famiglia degli Herpes virus (Herpesviridae), diffuso a livello globale. In seguito all’infezione il virus va incontro ad una
fase litica,
nella quale
attacca e
distrugge le
cellule, e successivamente permane nell’organismo in stato di latenza. La riattivazione del microrganismo può avvenire in caso di
indebolimento delle difese immunitarie e, talvolta, in
gravidanza.
Nella maggior parte dei casi l’infezione da citomegalovirus è
asintomatica o produce
sintomi, quali:
- Mal di gola;
- Ingrossamento dei linfonodi;
- Febbre persistente, simili a quelli della mononucleosi, la malattia causata dal virus di Epstein-Barr, oppure di un’influenza.
Il quadro clinico assume invece un valore prognostico diverso negli
individui immunodepressi, nei quali può causare
gravi complicanze, e in
gravidanza.
Chi colpisce e quando preoccuparsi
Mentre, come analizzato sopra, l’infezione da citomegalovirus normalmente
non produce
conseguenze particolari nell’individuo immunocompetente,
se trasmessa al feto le conseguenze possono essere gravi e anche permanenti.
La gravidanza è associata ad una transitoria
depressione del
sistema immunitario, necessaria per ridurre il rischio di aggressione al feto, che potrebbe essere considerato un elemento estraneo da una sorveglianza troppo efficiente. In questo contesto, la donna ha maggiori possibilità di contagio se esposta al virus, sia nel caso di infezione primaria che secondaria.
L’infezione da CMV
alterna fasi litiche, nella quali attacca e distrugge le cellule del corpo, a fasi di
latenza, durante cui rimane silente all’interno dell’organismo, senza dare segno di sé. In questo quadro, l’infezione può anche andare incontro ad una riattivazione in
gravidanza.
In Italia si stima che
8 donne su 10 abbiano contratto il virus, in molti casi (soprattutto se l’infezione è stata asintomatica o paucisintomatica)
senza neppure esserne a conoscenza.
L’infezione può essere primaria o secondaria, a seconda che la mamma sia già stata
infettata prima della
gravidanza in precedenza oppure per la prima volta durante la gravidanza. Il rischio di
trasmissione al feto
varia fra il 30 e il 40% nella
forma primaria (reinfezione in gravidanza) e fra lo
0,5 e il
2% nella
forma secondaria.
Il citomegalovirus in gravidanza: come si prende
Chi lo trasmette?
La trasmissione dell’infezione in gravidanza si verifica in maniera
verticale per
via trans-placentare dalla mamma al feto.
Malgrado l’epoca della gestazione in cui si verifica il contagio non pare essere determinante ai fini della gravità delle
conseguenze sul bambino feto, i rischi sembrano essere maggiori quando la trasmissione
avviene nel primo trimestre.
L’infezione nel feto
non è sempre correlata allo sviluppo di una sindrome fetale da citomegalovirus.
Citomegalovirus senza sintomi
L’
85-90% dei neonati con infezione congenita da citomegalovirus è
asintomatico (infezione congenita asintomatica). Il
10% dei neonati asintomatici manifesta
sequele tardive dei sintomi neurologici, in particolare a carico dell’
udito e della
vista.
Il
10-15% dei neonati è sintomatico: la morte sopraggiunge nel 30% dei casi e la possibilità che le
manifestazioni neurologiche siano permanenti è maggiore nel caso in cui i sintomi siano già presenti alla nascita.
Per quanto tempo si è contagiosi?
Il neonato
positivo può ospitare il
virus nel suo organismo per
anni.
Come si manifesta la sindrome fetale da citomegalovirus
I
neonati affetti da infezione congenita da citomegalovirus e sintomatici possono
manifestare sintomi sia
transitori che
definitivi.
Quelli temporanei sono rappresentati dall’ingrossamento del fegato (epatomegalia), che può andare incontro ad una penalizzazione della sua funzionalità (causa di aumento dei
valori ematici della bilirubina e ittero), e della milza (splenomegalia). Complessivamente la condizione viene definita epatosplenomegalia.
Il ritardo della crescita prenatale provocato dall’infezione può determinare alla nascita un peso inferiore alla norma. In alcuni casi, il parto si verifica prima del termine, aggravando i rischi per la salute del bambino.
Il virus può
indurre carenza di
piastrine (
trombocitopenia) ed un’
alterazione della coagulazione del sangue, che porta alla formazione di petecchie, piccole chiazze cutanee rosse che sono il risultato di micro-emorragie, e a condizioni quali la porpora.
A distanza di tempo, con la dentizione, il bambino può
manifestare sequele dell’infezione quali la
colorazione giallastra dei denti, che appaiono anche
opachi.
I sintomi neurologici della sindrome fetale da citomegalovirus sono tanto rilevanti da determinare la classificazione della malattia come
malattia neurologica rara. L’infezione da CMV interferisce con la
normale migrazione dei
neuroni della corteccia cerebrale durante lo sviluppo del sistema nervoso centrale del feto e per questo
può causare gravi danni neurologici. Inoltre, il processo infiammatorio che si sviluppa in conseguenza della presenza del virus peggiora il quadro clinico.
I neonati
sintomatici hanno un tasso di mortalità che raggiunge il 30% e il 40-90% dei sopravvissuti presenta deficit neurologici quali:
- Microcefalia: il piccolo può avere la testa più piccola della norma, una condizione spesso associata a ritardo mentale;
- Calcificazioni intraventricolari;
- Sordità neurosensoriale, un sintomo permanente che nei casi più gravi è associato a mutismo;
- Corioretinite: si tratta di un disturbo che può causare cecità irreversibile e che si manifesta anche nel 10% dei neonati sintomatici;
- Disabilità motoria e cognitiva, di grado da lieve a molto grave;
- Deficit di coordinazione dei movimenti: anche questa una condizione permanente;
- Letargia;
- Epilessia.
L’infezione da citomegalovirus a fine gravidanza
L'infezione perinatale viene acquisita con l'
esposizione alle secrezioni cervicali materne infette durante il
parto.
Con il citomegalovirus si può allattare?
No, il latte della madre con l’infezione può trasmettere il virus al piccolo; quando il contagio si verifica attraverso il latte materno, viene definita infezione postnatale.
Gli anticorpi della madre giocano probabilmente un ruolo protettivo. La maggior parte dei neonati a termine, malgrado il contatto, è asintomatica o non infetta. Il problema è più serio per i piccoli prematuri, che possono sviluppare infezioni severe e potenzialmente letali.
La trasmissione con il latte materno è correlata a conseguenze generalmente
meno gravi.
Citomegalovirus e COVID-19
Di recente uno studio condotto dai
ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con l’
Università di Genova e la
University of Melbourne ha messo in luce il
meccanismo con cui il sistema immunitario umano riesce a
liberarsi del
virus.
Questo processo si basa sull’arruolamento di linfociti specifici che intercettano le cellule infette e le uccidono.
La
conclusione appare di chiara importanza in particolare per il trattamento di pazienti immunocompromessi o affetti da altre patologie che possono
penalizzare la risposta immunitaria, COVID-19 compresa.
Il citomegalovirus nell’uomo
I
valori medi di riferimento per la concentrazione delle immunoglobuline anti-citomegalovirus nell’uomo (ma sono uguali a quelli della donna) differiscono a seconda che si tratti di
IgM, gli anticorpi che vengono
prodotti subito
dopo il
primo contatto con il virus e scompaiono entro qualche settimana, o di
IgG, quelli che l’organismo
sintetizza nel
lungo periodo e che permangono per tutta la vita.
Il dosaggio delle IgM può dare una risposta di
positività (che indica un’infezione recente) o
negatività (nessuna infezione recente).
Per quanto riguarda le IgG, invece, i valori inferiori a 4 AU/mL indicano l’assenza di infezioni pregresse (esame negativo) e dunque
suscettibilità al
contagio; quelli compresi fra 4 e 5 AU/mL inquadrano un contesto dubbio; se uguali o superiori a 6 AU/ml, depongono per un’infezione pregressa (esame positivo).
Quando
sia il test per le IgM che quello per le IgG è negativo, significa che l’uomo
non ha mai contratto l’infezione (né di recente né in passato) oppure che è venuto in contatto con il virus ma non ha sviluppato anticorpi, ad esempio perché affetto da una forma di immunodeficienza.
Se il test per le
IgM è positivo e quello per le
IgG è negativo, può essere che il soggetto
abbia un’infezione contratta di recente, oppure che sia stato riesposto all’infezione o ancora che questa sia in fase di riattivazione.
Quando, al
contrario, il test per le
IgM è negativo e quello per le
IgG positivo (anche con IgG molto alte), significa che
si è verificata un’esposizione al virus in passato e che è stata acquisita un’immunità.
Test IgM e per IgG entrambi positivi indicano una
prima infezione non recente oppure una riattivazione del virus.
Occorre, tuttavia, sottolineare che questi risultati devono sempre essere
interpretati da un
medico, inquadrati nello specifico contesto generale del paziente.
I fattori di rischio
I
fattori che, secondo la letteratura scientifica, possono aumentano il
rischio di trasmissione materna sono la
giovane età della
mamma ed il suo contatto frequente con i
bambini.
Sono proprio le giovani, infatti, ad avere minori possibilità di essere già venute a contatto con il
virus e quindi di avere
già sviluppato anticorpi.
Quando si è immuni al citomegalovirus?
La letteratura riporta un tasso di
reinfezione da citomegalovirus piuttosto
elevato, indicando che l’immunità nei confronti di questo virus è parziale e non definitiva.
Come evitare la trasmissione al feto
Non sono disponibili
farmaci che
proteggano il feto dall’acquisizione del virus e gli antivirali efficaci contro il citomegalovirus sono estremamente tossici nel periodo prenatale.
Esiste un vaccino anti-CMV?
Benché già nel 1999 il vaccino anti-CMV sia stato dichiarato una
priorità per la ricerca mondiale,
attualmente non è ancora disponibile una vaccinazione. Ci sono diversi candidati in step diversi della sperimentazione, che tuttavia è ancora
lontana dalle fasi conclusive.
Come evitare l’infezione
Per
ridurre il rischio di
contagio la madre deve osservare una
scrupolosa igiene personale e dell’
ambiente domestico:
- Lavarsi spesso le mani con acqua calda e sapone, soprattutto prima di preparare i pasti e mangiare, dopo aver cambiato pannolini, dopo essere andata in bagno e dopo ogni contatto con i fluidi corporei;
- Non scambiare posate con altre persone, in particolare se bambini;
- Non baciare bambini.
Più in generale la pulizia della casa e soprattutto delle superfici contaminate da fluidi corporei (come saliva, urina, feci, liquidi seminali e sangue)
facilita la
prevenzione del contagio.
Come si diagnostica la sindrome fetale da citomegalovirus
Per la
diagnosi dell’infezione da citomegalovirus è disponibile un
test del sangue che
rileva la presenza di
anticorpi IgG diretti contro il virus, definito
test di avidità.
Questo test mette in evidenza rileva tutte le infezioni associate a questo microorganismo e non differenzia fra quelle più recenti (di maggior interesse ai fini della diagnosi prenatale) e quelle del passato. Le
infezioni più
vicine nel
tempo sono invece associate ad un’altra tipologia di anticorpi, le
immunoglobuline di tipo IgM.
In passato, il test per la rilevazione delle IgM anti-CMV è stato usato, anche come parametro indicativo per la diagnosi prenatale, ma ha mostrato scarsa affidabilità, producendo
numerosi falsi positivi.
Quando fare il test in gravidanza
Lo
screening in gravidanza per il CMV non veniva sempre raccomandato (insieme agli altri test tradizionalmente eseguiti all’inizio della gestazione, come quello per la toxoplasmosi), per diverse ragioni. Anzitutto, per l’assenza, in passato, di cure disponibili e misure di protezione per il bambino. Il dato diagnostico è
efficace se permette di istituire, in caso di
positività, una
cura o comunque una forma di
tutela. Condizioni che
non sono completamente
realizzabili.
In secondo luogo, i risultati del test sono difficilmente correlabili a conseguenze precise in termini di condizioni di salute del feto.
Non esistono strumenti in grado di
stabilire se il neonato che ha acquisito l’infezione avrà conseguenze e di che tipo. Ed è associato ad un numero relativamente alto di falsi positivi.
In ultimo, il
test potrebbe essere causa di ansia nella mamma e aumentare il rischio di perdita iatrogena del feto, ossia indotta dall’eccessiva medicalizzazione della gravidanza. In passato accadeva spesso che, di fronte a esiti positivi, gli operatori sanitari consigliassero l’aborto ancora prima di verificare con altri sistemi se l’infezione fosse realmente presente.
Da quando la comunità scientifica ha identificato nella
somministrazione delle immunoglobuline anti-CMV un rimedio per trattare le donne in gravidanza positive al virus, il test ha acquisito un
senso più pieno. Rimangono le perplessità relative ai risultati sperimentali prodotti dall’utilizzo delle immunoglobuline, che sono ancora in discussione.
Sono positiva al citomegalovirus e incinta: cosa devo fare?
Il
counselling orientativo in tutti i casi (test negativo al citomegalovirus in gravidanza, positivo o dubbio) rappresenta un
passaggio fondamentale per individuare la scelta più opportuna da compiere.
L’ecografia prenatale per la diagnosi della sindrome fetale da citomegalovirus
Mediante l’
ecografia possono essere messi in evidenza alcuni
segni presenti nella
malattia, come il
ritardo di crescita intrauterina (definito con l’acronimo IUGR), la
microcefalia, le
calcificazioni cerebrali, la
dilatazione dei
ventricoli cerebrali (ventricolomegalia) e, talvolta, l’
epatosplenomegalia.
Questo esame non ha un valore diagnostico, perché alcuni dei
segni sono
caratteristici anche di
altre patologie e perché solo il 15% circa dei feti positivi all’infezione manifesta segni evidenti all’ecografia: piuttosto fornisce indicazioni sull’opportunità di eseguire un’amniocentesi.
L’analisi del sangue fetale
Per determinare l’
effettiva trasmissione del virus al feto sono necessarie
procedure diagnostiche più
invasive, come l’analisi del sangue fetale. Si tratta di una procedura utile nelle prime tre settimane di gravidanza, che ricerca la presenza diretta del virus.
Per quanto riguarda il secondo periodo della gestazione
non sono ancora stati
individuati marker biologici identificativi.
Il test nei neonati
Si tratta
dell’esame più usato per la diagnostica dell’infezione a questa epoca.
Nei neonati l’identificazione del virus può essere effettuata mediante
prelievo colturale di urina, saliva o campione di tessuto.
In caso di positività alla nascita, devono essere eseguite le seguenti
valutazioni:
- TC o ecografia cerebrale per la ricerca di eventuali calcificazioni periventricolari;
- Valutazione oculistica: per verificare eventuali riduzioni della vista;
- Test dell’udito: viene eseguito di routine su tutti i neonati. I piccoli positivi all’infezione da citomegalovirus devono essere attentamente monitorati anche per lunghi periodi, perché la perdita dell’udito può verificarsi gradualmente a distanza di tempo dalla nascita;
- Esame del sangue: emocromo completo e test di funzionalità epatica (incluse le transaminasi).
Come si cura
Le immunoglobuline anti-CMV
La
tempestività nella
diagnosi permette di istituire un
trattamento durante la
gravidanza prima che il virus abbia prodotto nel feto le conseguenze disastrose a livello neurologico che spesso mette in atto.
La
somministrazione di immunoglobuline specifiche anti-CMV riduce in maniera significativa il rischio di
trasmissione verticale al feto nel caso in cui non abbia ancora contratto il virus e spegne la virulenza dell’infezione quando è già stata trasmessa. Il trattamento deve essere protratto anche dopo la nascita, in associazione agli antivirali.
Gli antivirali
Gli
antivirali approvati per il trattamento dell’infezione da citomegalovirus sono tossici in gravidanza e quindi non possono essere somministrati prima della nascita. La terapia viene istituita subito dopo il parto nei neonati sintomatici.
Il
ganciclovir e il
valganciclovir vengono impiegati diffusamente (il primo per via parenterale mentre il secondo per via orale) per curare l’infezione nei neonati sintomatici, di solito per terapie della durata di 6 settimane, e risultano molto efficaci nella prevenzione della perdita dell’udito. Diversi
studi mostrano che il
prolungamento del trattamento per 6 mesi è associato ad una migliore protezione a lungo termine dell’
apparato uditivo e del
sistema nervoso centrale.
Poiché gli effetti collaterali di questi medicinali comprendono l’alterazione della funzionalità dei reni, del fegato e del midollo osseo, durante la terapia i neonati devono essere monitorati regolarmente per i parametri renali, epatici e per la composizione delle cellule del sangue (esame emocromocitometrico).
In caso di neutropenia (riduzione del numero di globuli bianchi neutrofili) severa (ossia al di sotto delle 500 unità per µL) il trattamento deve essere temporaneamente sospeso.
La terapia antivirale non è consigliata nei neonati con sintomatologia lieve.
Domande e risposte
Quanto dura l’infezione da citomegalovirus?
L’infezione da CMV dura circa 2-3 settimane nella sua fase litica, ma rimane nelle cellule anche dopo la apparente guarigione, entrando nella fase cosiddetta latente. In queste condizioni può riattivarsi e dare luogo ad una nuova fase litica in caso di indebolimento dell’organismo.
Come si contrae il citomegalovirus?
L'infezione si propaga da persona a persona tramite il contatto con i fluidi del corpo (sangue, saliva, urina, lacrime, liquido seminale, secrezione vaginale e latte). Si trasmette piuttosto facilmente negli ambienti domestici e di comunità (scuole e asili).
Come si cura l’infezione da citomegalovirus?
Sono disponibili alcuni antivirali (ganciclovir e valganciclovir) piuttosto efficaci per il trattamento dell’infezione sintomatica. Poiché si tratta di molecole teratogene (ossia correlate al rischio di malformazioni fetali) non possono essere assunte in gravidanza, ma, in caso di infezione congenita da CMV, vengono somministrate al neonato subito dopo il parto.
Ci sono pareri discordanti riguardo l’utilizzo delle immunoglobuline anti-citomegalovirus per trattare le infezioni durante la gestazione, allo scopo di prevenire i possibili danni neurologici associati.
Cosa fare per evitare il citomegalovirus?
In gravidanza, è bene che la madre osservi norme igieniche stringenti. Che lavi frequentemente le mani (specialmente prima di preparare i pasti e dopo avere cambiato o lavato un bambino) ed eviti il più possibile il contatto con bambini piccoli: i baci, gli scambi di posate o altri oggetti personali sono ad alto rischio di trasmissione.
Quanto è pericoloso il citomegalovirus in gravidanza?
L’infezione da CMV è molto rischiosa in gravidanza, soprattutto (questo è quanto emerge da molti studi) se acquisita nel corso del primo trimestre. Mentre nel 85-90% dei casi il neonato rimane asintomatico, nel restante 10-15% sviluppa sintomi che possono avere conseguenze irreversibili, in particolare a livello neurologico.
Si possono determinare danni al sistema nervoso centrale di tale gravità da portare alla morte del feto.
Alcune manifestazioni dell’infezione sintomatica sono transitorie (epatosplenomegalia, ittero, polmonite), mentre altre sono permanenti. Appartengono a questa categoria gli effetti sul cervello (microcefalia, calcificazioni intraventricolari, ritardo mentale, sordità, corioretinite e altri disturbi oculari, disabilità motoria e cognitiva, deficit di coordinazione dei movimenti, letargia, epilessia).