Angioplastica coronarica (con PTCA): come si esegue e si svolge. Dove è meglio curarsi? Dati PNE

Angioplastica coronarica (con PTCA): come si esegue e si svolge. Dove è meglio curarsi? Dati PNE

Indice

Domande e risposte
 

Micuro ti aiuta a trovare le strutture migliori per Angioplastica Coronarica (PTCA)

Di seguito i dati sulle migliori strutture ospedaliere per angioplastica coronarica (PTCA). La valutazione di queste strutture si basa sui dati del Programma Nazionale Esiti (dati del 2024, riferiti al 2023), resi pubblici per conto del Ministero della Salute. Micuro analizza e sintetizza questi dati per stilare classifiche che ti aiuteranno a individuare la struttura più adatta alle tue esigenze

Come ha spiegato la Prof.ssa Elena Azzolini, medico specialista in Sanità Pubblica e responsabile del Comitato Scientifico di Micuro: “È noto da tempo e dimostrato in letteratura come vi sia una correlazione diretta tra il numero degli interventi annui di angioplastica coronarica, gli esiti positivi e la riduzione delle complicanze dopo l’intervento chirurgico. Perciò, è importante scegliere le strutture che raggiungono le soglie minime fissate dal Ministero della Salute (DM 70/2015) di n. 250 interventi/anno, al di sotto delle quali il rischio di esiti negativi aumenta notevolmente.  In caso di intervento urgente per infarto miocardico acuto, è importante considerare ulteriori indicatori come la sopravvivenza a 30 giorni dal ricovero e la percentuale di pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica entro 90 minuti dall’accesso in strutture”.


Classifica nazionale: le 5 strutture che nel 2023 in Italia hanno effettuato un maggior numero di interventi chirurgici di angioplastica coronarica

  1. Centro Cardiologico Monzino di Milano (n° interventi: 2.151) 
  2. Casa di Cura Montevergine di Mercogliano (n° interventi: 1.219)
  3. IRCCS Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio di Milano - Gruppo San Donato (n° interventi: 1.137)
  4. Presidio Ospedaliero Pugliese Ciaccio di Catanzaro (n° interventi: 1.124)
  5. IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano - Gruppo San Donato (n° interventi: 1.101)

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Cos’è l’angioplastica coronarica

L’angioplastica coronarica è una procedura mininvasiva utilizzata per dilatare le arterie coronarie ostruite parzialmente o totalmente a causa di un trombo, eseguita da un cardiochirurgo in una struttura ospedaliera.

Viene anche definita angioplastica transluminale percutanea (nota con la sigla PTCA).

Consiste nell’inserimento di un dispositivo medico a forma di palloncino (catetere) nel vaso da trattare, in modo da allargarne il diametro in corrispondenza del restringimento. Ha lo scopo di consentire al sangue di tornare a scorrere liberamente e prevenire la necrosi nelle aree a valle.
Se è indicato, nel corso dell’intervento il cardiochirurgo impianta uno stent, una sorta di protesi metallica che mantiene il tratto di arteria interessato dall’ostruzione aperto (intervento coronarico percutaneo).

L’angioplastica coronarica è un’evoluzione dell’impianto di bypass aortocoronarico, nata negli anni ’70 come tecnica meno invasiva e correlata a complicanze meno frequenti e meno gravi. La procedura di bypass aortocoronarico continua ad essere praticata nei casi di ostruzione grave oppure quando l’occlusione coronarica è diffusa e interessa più vasi.

La sola presenza di una malattia coronarica che ha richiesto la angioplastica raramente consente di ottenere il riconoscimento di invalidità

Cosa sono le coronarie

Le coronarie sono le arterie che nutrono il cuore
Si tratta di 2 vasi sottili che partono dall’aorta e arrivano fino al muscolo cardiaco (miocardio), una a destra per irrorare atrio e ventricolo destro (coronaria destra) e l’altra a sinistra per irrorare atrio e ventricolo sinistro (coronaria sinistra). Nel loro decorso, le coronarie si sfioccano in vasi più piccoli, in maniera da coprire tutta la superficie del cuore con la loro azione.

La coronaria sinistra parte come vaso unico (tronco comune) per poi biforcarsi e formare il ramo interventricolare anteriore e l’arteria circonflessa, mentre la coronaria destra non si biforca.

Quando si esegue l’angioplastica coronarica

L’angioplastica coronarica viene effettuata in presenza della malattia coronarica, correlata all’aterosclerosi, una condizione che causa la formazione di placche che vengono deposte sulla parete interna delle arterie. Le malattie per il trattamento delle quali è indicata solo l’angina pectoris (quando i farmaci non hanno avuto successo) e l’infarto miocardico.


La malattia coronarica

La deposizione della placca ateromatosa è alla base della malattia coronarica ed è favorita da condizioni patologiche quali:
  • Ipercolesterolemia (colesterolo alto);
  • Ipertrigliceridemia (trigliceridi alti);
  • Malformazioni delle coronarie: le alterazioni nel decorso dei vasi (stenosi) tendono ad alterare il flusso del sangue, rendendolo irregolare e promuovendo la formazione dei depositi.
  • Difetti delle valvole cardiache, anche congeniti (ossia presenti fin dalla nascita);
  • Processi infiammatori;
  • Ipertensione: la pressione alta mette a dura prova la resistenza delle arterie, danneggiandone la parete e favorendo i processi di infiammazione e formazione delle placche.
Le placche non sono tutte uguali, ma ne esistono di varie tipologie (placca fibrotica, placca lipidica e placca calcifica) in base alla componente predominante. 

Quando la placca si forma e cresce sulla parete arteriosa, il flusso del sangue ne viene ostacolato: di conseguenza, nelle aree che dovrebbero essere irrorate ne arriva meno. Questo provoca una condizione di ipossia (riduzione dell’apporto di ossigeno). Le cellule rimaste in carenza di ossigeno vanno in sofferenza e liberano una serie di sostanze nel tentativo di risolvere il problema: è ciò che chiamiamo infarto miocardico. Questa è la ragione per cui la malattia coronarica, cioè la presenza di placche ateromatose all’interno delle coronarie, rappresenta un fattore di rischio grave per l’infarto.

I mediatori rilasciati, in realtà, più che mettere una pezza peggiorano la situazione: danno il via ad un processo infiammatorio che, se l’afflusso di sangue non viene ripristinato, porta le cellule alla necrosi.

Immagine che rappresenta una procedura di angioplastica a palloncino


Sintomi della malattia coronarica

I sintomi della presenza di placche ateromatose all’interno delle coronarie sono prevalentemente legati alla riduzione dell’apporto di ossigeno verso il cuore:
  • Dolore al petto (angina pectoris), che si può irradiare al braccio sinistro e verso il collo ed è accompagnato da un senso di oppressione;
  • Difficoltà a respirare (dispnea, fiato corto, mancanza d’aria).
Non sempre le manifestazioni compaiono subito, non appena la placca si è formata: talvolta, i sintomi appaiono anche anni dopo. Ciò rende la diagnosi difficile e spiega perché in molti casi le persone ne vengono a conoscenza solo dopo un infarto. Ecco la ragione per cui la prevenzione della malattia coronarica assume un’importanza strategica nella riduzione della morbidità e della mortalità per patologia cardiovascolare.

Angioplastica coronarica: diagnosi

La malattia coronarica viene riconosciuta attraverso un esame che permette di osservare le arterie dal loro interno, la coronarografia. Questo esame viene eseguito con le stesse modalità dell’angioplastica, ma senza l’ausilio di dispositivi che consentano la riapertura dell’arteria e il suo mantenimento in una condizione di pervietà. Possiamo dire che, mentre l’angioplastica ha valore terapeutico, la coronarografia ha funzione diagnostica. 
La coronarografia consente di attestare che le coronarie siano pervie (cioè aperte al passaggio del sangue), che sia presente una stenosi (restringimento che crea difficoltà al flusso ematico) o una placca ateromatosa.
Possono essere impiegate anche altre tecniche diagnostiche, più sofisticate, fra cui la OPT (Optical Coherence Tomography) e la IVUS (Intra Vascular Ultrasound Imaging).


Angioplastica o bypass?

La corretta identificazione del problema e la definizione della sua gravità consentono di capire qual è l’intervento più opportuno, scegliendo fra quello di angioplastica e quello di impianto di bypass aortocoronarico. La diagnosi è anche mirata a stabilire la tipologia di stent più adatta per ogni singolo caso, rappresentando un supporto per la scelta fra i diversi gradi di flessibilità e spessore che caratterizzano i diversi modelli disponibili.
L’angioplastica è indicata nei casi di restringimento del lume vasale uguale o superiore all’80% oppure quando l’ostruzione è minore ma viene comunque dimostrata una riduzione del flusso sanguigno al cuore.

Preparazione

Se devi sottoporti alla procedura, ricordati di presentarti presso la struttura sanitaria a digiuno da almeno 6-8 ore.
Se assumi terapie farmacologiche o integratori alimentari (di qualsiasi tipo, anche non indicati per il trattamento della malattia coronarica) parlane con il tuo medico: ti saprà consigliare sull’eventuale interruzione in preparazione all’intervento.
Prima dell’intervento, dovrai sottoporti ad un dosaggio della creatininemia: sarà sufficiente un semplice esame del sangue e servirà a certificare la corretta funzionalità dei tuoi reni

Come si esegue: anestesia, con stent e senza stent, durata

La procedura si svolge generalmente in anestesia locale, praticata nel sito di inserimento del catetere. L’anestesia generale è di solito non necessaria e viene praticata solo in casi particolari.

Può durare da 15 minuti a qualche ora, a seconda della complessità dell’intervento in uno specifico paziente. 
Viene eseguita all’interno di una sala operatoria dotata di apparecchiature a raggi X (sala di cateterismo), che vengono impiegate per guidare la procedura di inserimento del dispositivo che deve ripristinare il diametro fisiologico delle coronarie. 

Il paziente viene fatto sdraiare sul lettino. Il cardiochirurgo inserisce in un’arteria del braccio (o dell’inguine, arteria femorale, o del polso) un tubicino, che scorre all’interno dei vasi, fino alle coronarie, guidando il dispositivo.

Una volta portato il dispositivo nel sito interessato, viene rilasciato un liquido di contrasto, che serve al chirurgo per visualizzare la posizione esatta del restringimento e l’entità del problema. A questo punto, il palloncino viene gonfiato e sgonfiato più volte, per dilatare l’arteria e posizionare lo stent, nei casi in cui è previsto.
La fase successiva implica il controllo del corretto ripristino del flusso sanguigno all’interno del vaso. Una volta accertato che il sangue scorra di nuovo senza ostacoli, il catetere viene sfilato.

La procedura non è dolorosa. Alcuni pazienti avvertono un lieve fastidio al petto durante gli step di dilatazione dell’arteria e di posizionamento dello stent: questo è dovuto al fatto che l’attivazione del palloncino provoca l’interruzione del flusso sanguigno per qualche istante. Lo scorrimento del dispositivo nei vasi non provoca dolore. In ogni caso, essendo sveglio, il paziente può interagire con i medici e gli altri operatori sanitari presenti in sala per qualsiasi dubbio.
Durante l’intervento, possono occasionalmente verificarsi episodi di aritmia.


Le tipologie di angioplastica

A seconda delle caratteristiche dell’occlusione e della gravità con cui si presenta, vengono eseguite diverse tipologie di intervento:
  • Angioplastica con elevate pressioni: vengono usati palloncini in grado di raggiungere valori di pressione molto elevati (fino a 30 atmosfere), al fine di dilatare anche i vasi affetti da ostruzioni più resistenti;
  • Angioplastica rotazionale (aterectomia rotazionale, rotablator): viene impiegata una fresa diamantata per la frantumazione delle placche; la procedura è indicata quando sono è presente una placca calcificata;
  • Angioplastica con litotripsia (shock wave): vengono impiegate onde d’urto analoghe a quelle usate per la frantumazione dei calcoli renali;
  • Angioplastica con laserterapia: viene utilizzata una tecnologia laser per vaporizzare i trombi presenti all’interno della coronaria interessata e responsabili dell’ostacolo al flusso sanguigno.


Cos’è lo stent e come è fatto

Lo stent è un dispositivo formato da una sottile rete tubolare costituita da metallo biocompatibile, generalmente acciaio o leghe di cobalto e cromo. 
Il dispositivo viene fatto aderire alla parete del vaso durante la procedura di angioplastica, in modo che questo rimanga aperto e consenta il passaggio del sangue.
Oggi vengono impiantati stent a rilascio di farmaco (stent medicati), cioè rivestiti di una sostanza che impedisce che la placca ateromatosa si riformi. Questo medicinale viene rilasciato progressivamente nell’arteria dopo la procedura.

Quando è controindicata

L’angioplastica coronarica è controindicata in caso di:
  • Ostruzione che interessa più vasi;
  • Ostruzione che interessa vasi molto piccoli;
  • Insufficienza renale grave;
  • Insufficienza cardiaca.
Quando la procedura di disostruzione e posizionamento dello stent non è indicata, il cardiochirurgo può consigliare l’intervento di applicazione di bypass aortocoronarico (rivascolarizzazione miocardica). Con questo intervento, vengono creati dei ponti fra l’aorta e il cuore, utilizzando vasi sani prelevati dal corpo del paziente stesso (arteria mammaria interna, arteria radiale, arteria gastroepiploica, vena grande safena degli arti inferiori). Ciò permette di bypassare (da qui il nome dell’intervento) il restringimento e ripristinare il corretto passaggio del sangue.

Cosa succede dopo: la convalescenza

La procedura prevede la degenza in ospedale per la notte successiva: il paziente viene tenuto in osservazione per le possibili complicanze a breve termine. La dimissione si verifica, se non compaiono complicanze, entro le 24-36 ore dall’intervento.
Al momento della dimissione, ti verranno fornite tutte le informazioni utili inerenti la terapia farmacologica che dovrai assumere e all’alimentazione e agli stili di vita che dovrai seguire per proteggere il tuo cuore e le tue arterie.

Al fine di ridurre il rischio che si formino trombi, verrai sottoposto a terapia anticoagulante.

Durante la convalescenza, per favorire la guarigione della ferita in corrispondenza dell’incisione effettuata per l’inserimento del catetere, non bagnare l’area di pelle interessata per una settimana circa. Per qualche giorno è anche bene evitare le attività fisiche faticose.
La presenza di malattie cardiovascolari impone, anche a valle dell’intervento, l’adozione e il mantenimento di stili di vita salutari ed equilibrati e l’assunzione di una opportuna terapia farmacologica: segui le indicazioni del cardiochirurgo e del cardiologo. 
Dopo l’angioplastica, sarai chiamato per una serie di controlli, utili a compiere un monitoraggio nel tempo della sua riuscita. In queste sedi, verrai sottoposto a visita medica con esame obiettivo e alla esecuzione di test quali elettrocardiogramma sotto sforzo.

I tassi di riuscita dell’intervento dipendono principalmente dalla gravità dell’ostruzione e della malattia coronarica di base. 


Posso tornare a viaggiare in aereo dopo l’intervento?

Dopo una procedura di angioplastica programmata e riuscita correttamente è possibile tornare a volare ma non nei giorni immediatamente successivi. Parla con il tuo medico in modo da avere una risposta personalizzata in base al tuo caso. 
Tempi di recupero: se non si verificano complicanze, potrai tornare alle tue normali attività quotidiane nel giro di due settimane circa.

Complicanze: dolore al petto e quando e perché assumere l’antiaggregante

Possono comparire nell’immediato, subito dopo l’esecuzione della procedura, oppure a distanza di tempo. La loro incidenza è superiore rispetto a quella della sola coronarografia, ma comunque molto bassa.
Le complicanze a breve termine più frequenti sono rappresentate da ecchimosi, emorragie e lividi che compaiono nel punto di inserimento del catetere.
Se l’apertura e il posizionamento dello stent hanno causato dolore durante la procedura, è possibile che questo si protragga anche dopo la sua conclusione, per cessare tuttavia entro un’ora. In caso di dolore particolarmente intenso, il cardiochirurgo può prescrivere un analgesico.

L’inserimento del dispositivo nella coronaria affetta da occlusione può creare un danno, così come il posizionamento dello stent può causare la formazione di coaguli o il distacco della placca ateromatosa dalla parete su cui è deposta. Ciò rappresenta un fattore di rischio grave per l’insorgenza di infarto o ictus. Quest’ultimo può verificarsi se il trombo che si è staccato viene trasportato dalla circolazione sanguigna e termina la sua corsa in un piccolo vaso del cervello, che ne viene ostruito.
Se lo stent è impiantato da almeno 6 mesi-un anno e non ha dato problemi, verosimilmente significa che è stato rivestito dai tessuti che compongono anche il vaso e che non ne causerà più. Anche se esiste la possibilità che si riformi un’occlusione nello stesso punto, le statistiche mostrano che essa ha una probabilità dell’1% circa di comparire.  

Il rischio di formazione di trombi viene prevenuto con la somministrazione di farmaci antiaggreganti dopo la procedura. Allo scopo vengono usate combinazioni di aspirina (a dosi inferiori rispetto a quelle impiegate per ottenere un’azione antinfiammatoria) e altri medicinali. La terapia prosegue per tutto il periodo impiegato dallo stent per ambientarsi nella coronaria. 
La scelta dei farmaci dipende dalle caratteristiche del paziente e dalla concomitante presenza di altre patologie (ad esempio, dal fatto che il paziente soffra anche di fibrillazione atriale).

Prevenzione della malattia coronarica: lo stile di vita

Prevenire la malattia coronarica significa prevenire la deposizione di placche ateromatose all’interno delle arterie. 
Questo vuol dire mantenere il metabolismo in equilibrio, un aspetto su cui gli stili di vita possono agire in maniera estremamente incisiva.
In passato, si è attribuito un ruolo fondamentale nell’aumento del rischio cardiovascolare ai grassi presenti nella dieta, soprattutto a quelli di origine animale. Questa acquisizione ha spinto a campagne di sensibilizzazione mirate alla riduzione dell’apporto di carne, formaggi e burro. 

Poi, più di recente, è stata dimostrata la correlazione fra l’eccessiva assunzione di zuccheri e la comparsa di patologie metaboliche nonché l’aumento del rischio cardiovascolare. La comunità scientifica ha dimostrato che un’alimentazione ricca in carboidrati favorisce l’instaurarsi nell’organismo di fenomeni di infiammazione, che portano alla liberazione di sostanze nocive per i vasi sanguigni.

Il rischio cardiovascolare può essere controllato con una dieta equilibrata, caratterizzata da un basso apporto di zuccheri e grassi, soprattutto se di origine animale, e da una cospicua presenza di ortaggi e cibi proteici. 

Dal momento che il fumo danneggia le arterie, smettere di fumare o non iniziare mai è una strategia certamente utile a minimizzare il rischio.
Diabete, sovrappeso e obesità rappresentano fattori di rischio importante per l’insorgenza della malattia coronarica: prevenirli significa proteggere anche le coronarie.
 


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Domande e risposte

Cosa si intende per angioplastica coronarica?

L’angioplastica coronarica è una procedura mininvasiva utilizzata che viene impiegata per dilatare le arterie coronarie ostruite parzialmente o totalmente a causa di un trombo, eseguita da un cardiochirurgo in una struttura ospedaliera. Consiste nell’inserimento di un dispositivo medico a forma di palloncino (catetere) nel vaso da trattare, in modo da allargarne il diametro in corrispondenza del restringimento. Ha lo scopo di consentire al sangue di tornare a scorrere liberamente e prevenire la necrosi nelle aree a valle.

Quanti giorni di ricovero per una angioplastica?

La procedura prevede la degenza in ospedale per la notte successiva: il paziente viene tenuto in osservazione per le possibili complicanze a breve termine. La dimissione si verifica, se non compaiono complicanze, entro le 24-36 ore dall’intervento.

Come si vive dopo un intervento di angioplastica?

Al momento della dimissione, vengono fornite tutte le informazioni utili inerenti la terapia farmacologica e l’alimentazione e gli stili di vita da seguire. Durante la convalescenza, per favorire la guarigione della ferita in corrispondenza dell’incisione effettuata per l’inserimento del catetere, l’area di pelle interessata non deve essere bagnata per una settimana circa. Per qualche giorno è anche bene evitare le attività fisiche faticose. La presenza di malattie cardiovascolari impone, anche a valle dell’intervento, l’adozione e il mantenimento di stili di vita salutari ed equilibrati e l’assunzione di una opportuna terapia farmacologica. Dopo l’angioplastica, sono previsti dei controlli nel tempo. Dopo una procedura di angioplastica programmata e riuscita correttamente è possibile tornare a volare ma non nei giorni immediatamente successivi. Se non si verificano complicanze, è possibile tornare alle normali attività quotidiane nel giro di 2 settimane circa.

Quali sono i rischi?

Le complicanze possono comparire nell’immediato o a distanza di tempo, con incidenza superiore rispetto a quella della sola coronarografia, ma comunque molto bassa. Le complicanze a breve termine più frequenti sono ecchimosi, emorragie e lividi che compaiono nel punto di inserimento del catetere. Se l’apertura e il posizionamento dello stent hanno causato dolore durante la procedura, è possibile che questo si protragga anche dopo la sua conclusione, per cessare tuttavia entro un’ora. L’inserimento del dispositivo nella coronaria affetta da occlusione può creare un danno, così come il posizionamento dello stent può causare la formazione di coaguli o il distacco della placca ateromatosa dalla parete su cui è deposta. Ciò rappresenta un fattore di rischio grave per l’insorgenza di infarto o ictus. Se lo stent è impiantato da almeno 6 mesi-un anno e non ha dato problemi, verosimilmente significa che è stato rivestito dai tessuti che compongono anche il vaso e che non ne causerà più. Il rischio di formazione di trombi viene prevenuto con la somministrazione di antiaggreganti dopo la procedura. 

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