La malattia di Alzheimer: le cause, i primi segnali e come rallentarne la progressione

La malattia di Alzheimer: le cause, i primi segnali e come rallentarne la progressione

Indice

Domande e risposte

Che cos’è l'Alzheimer?

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, e oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. Sebbene la maggior parte dei malati abbia più di 80 anni, ci sono casi di Alzheimer precoce, anche a 40 o 50 anni. Come tutte le demenze, si caratterizza per una perdita progressiva della memoria associata a un disturbo cognitivo: perdita del linguaggio, delle capacità esecutive e del pensiero critico o astratto.

Viene definita come una malattia cerebrale caratterizzata da demenza progressiva e irreversibile che si manifesta in età adulta o senile. In sostanza si attiva un meccanismo che distrugge le cellule del cervello, causando un deterioramento a oggi irreversibile delle funzioni cognitive.
Dal punto di vista morfologico, nella Malattia di Alzheimer il cervello si riduce di peso e volume per una diffusa atrofia del tessuto cerebrale. Le alterazioni anatomo-patologiche caratteristiche sono:
  • Placche senili", aggregati di amiloide nello spazio extra-cellulare;
  • Degenerazioni neurofibrillari", depositi proteici all’interno della cellula nervosa;
  • Angiopatia amiloidea", danno vascolare indotto dall’amiloide.

C’è ancora moltissimo da capire dal punto di vista morfologico rispetto a questa malattia.

Immagine che mostra la differenza tra un neurone sano e le placche amiloidi

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Che cosa causa l'Alzheimer?

Non possiamo dire che l’Alzheimer sia ereditario. Solo nell’1% dei pazienti la malattia ha un’origine genetica ed è quindi ereditaria, nel senso che è possibile (non certo) che compaia fra generazioni vicine in familiari stretti. Generalmente in questi casi l’Alzheimer è dovuto a una mutazione genetica autosomica dominante presente sin dalla nascita e i figli, della persona portatrice presentano, indipendentemente dal sesso, un rischio di ereditare la malattia del 50%.

Fino ad ora la ricerca scientifica è riuscita ad individuare alcuni dei geni in cui possono essere presenti delle mutazioni (Presenilina1, Presenilina2 e il Precursore della Proteina Beta-Amiloide APP). Ma bisogna precisare che al momento non tutte le mutazioni sono note.

Nel restante 99% dei casi l’insorgenza della malattia è sporadica. Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l'alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che,porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante, non ci sono metodi di prevenzione mirati.

Quali sono i sintomi iniziali dell’Alzheimer?

I primi segnali di malattia che non dobbiamo trascurare riguardano la perdita di memoria (amnesia), ma è bene tenere presente che ci sono diversi tipi di memoria.

  • Memoria episodica. Si divide in memoria a breve termine (che conserva le informazioni dell'ultima ora) e memoria a lungo termine;
  • Memoria semantica, che riguarda il significato delle parole;
  • Memoria procedurale, il ricordo di come si utilizzano gli strumenti.

Poi c’è l’Afasia, l’alterazione nella capacità di parlare o capire, sia sostituendo una parola con un’altra o senza trovare il legame fra un termine e un altro. 

Un altro sintomo è l’Agnosia, cioè la perdita della capacità di riconoscere gli oggetti e a che cosa servono.

Accanto a questi sintomi, i malati presentano cambiamenti di personalità e disturbi del comportamento, fra cui l'incontinenza, l'aggressività, e l'insonnia.

Quali sono le tre fasi dell'Alzheimer?

La malattia ha decorso lento e progressivo, e possiamo individuare tre fasi:

  1. Nella fase iniziale il sintomo principale è il deficit della memoria a breve e medio termine, generalmente minimizzato dallo stesso paziente e dai parenti, che spesso si associa a una reazione depressiva secondaria alla consapevolezza della perdita di memoria;
  2. Nella seconda fase il deficit della memoria è sempre più marcato e progressivamente si accompagna a disturbi dell’attenzione, della capacità critica e di giudizio, del linguaggio e della difficoltà a partecipare ad attività lavorative e familiari. Non sono rari disturbi del pensiero di tipo persecutorio o paranoideo. La capacità di svolgere attività quotidiane risulta compromessa e il paziente necessita di assistenza parziale;
  3. Nella terza fase il deficit della memoria interessa anche la componente a lungo termine e si associa a grave compromissione di tutte le componenti cognitive sopra descritte. I disturbi del pensiero possono accentuarsi ed eventualmente associarsi ad allucinazioni e deliri. In questa fase il paziente è completamente non-autosufficiente e necessita, quindi, di un’assistenza completa.

Progressivamente possono comparire difficoltà a deglutire, difficoltà nei movimenti, perdita di peso e di appetito e maggiore sensibilità alle infezioni.

Quali sono le differenze fra Alzheimer e demenza

La demenza non è una malattia, ma una sindrome, cioè un insieme di sintomi, che comporta l’alterazione progressiva di alcune funzioni del nostro organismo come la memoria, il linguaggio, l’umore, la personalità, che finiscono per interferire la quotidianità. Di fatto la demenza è provocata da danni subiti dalle cellule cerebrali, che faticano a comunicare fra di loro. Quella che comunemente chiamiamo demenza può dunque essere causata da diverse patologie, fra cui appunto la malattia di Alzheimer, che rappresenta il 50-60% dei casi. Altre cause di demenza sono ad esempio demenza vascolare, la demenza a corpi di Lewy, la malattia di Pick, di Huntington, di Creuzfeldt-Jakob, il morbo Parkinson. Non è sempre semplice capire l’origine di una demenza: spesso la sindrome risulta da un’interazione di fattori genetici, alterazioni neurochimiche, e malattie pregresse.

Come avviene la diagnosi di Alzheimer?

Una premessa doverosa: la certezza totale della presenza della malattia si può fare solo con post mortem, con una biopsia del cervello per individuare le placche amiloidi nel tessuto cerebrale, che può avvenire solo in autopsia.

Le diagnosi in vita sono dunque solo di:

  • Malattia di Alzheimer possibile. La diagnosi è basata sull'osservazione di sintomi clinici e sul deterioramento di due o più funzioni cognitive (per es. memoria, linguaggio o pensiero) in presenza di una seconda malattia che sebbene non funga da causa, rende comunque la diagnosi di malattia di Alzheimer più dubbiosa;
  • Malattia di Alzheimer probabile. La diagnosi è basata sempre sull'osservazione di sintomi clinici e sul deterioramento di due o più funzioni cognitive ma non vi è la presenza di una seconda malattia.
Non esiste quindi un test specifico per diagnosticare la malattia, ma si procede escludendo altre patologie. La prima cosa che viene fatta è una visita dove il medico pone al paziente e ai familiari alcune domande, per esempio su difficoltà di memoria o di gestione delle proprie necessità. Il malato può essere sottoposto ad una visita neuropsicologica, e spesso viene impiegato un test chiamato Mini-Mental State Examination (MMSE), che consiste in una serie di domande specifiche (come il test dell’orologio) e di operazioni semplici da far eseguire al paziente.
Vengono poi proposti esami di laboratorio per escludere altre malattie ed esami strumentali come Risonanza magnetica e TAC (Tomografia assiale computerizzata) che permette di misurare lo spessore di una parte del cervello, che nei malati di Alzheimer risulta assottigliata. È possibile poi sottoporre il paziente a SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo) che misura il flusso del sangue nel cervello e a PET (tomografia a emissione di positroni).

Immagine che mostra una RMN cerebrale

Esistono test precoci per l’Alzheimer?

Un’altra strada verso cui la ricerca scientifica si sta orientando sempre di più è quella della diagnosi precocissima, sia con test cognitivi, che tramite elettroencefalogramma, che tramite analisi del sangue. È in atto per esempio il progetto inglese EDoN (Early Detection of Neurodegenerative diseases) dell'Alzheimer Research UK, che mira a capire i segnali precocissimi delle demenze, non solo dell’Alzheimer. EDoN riunisce esperti globali in scienza dei dati, tecnologia digitale e neurodegenerazione per sviluppare uno strumento digitale per la diagnosi precoce delle malattie che causano la demenza. L’idea è raccogliere enormi quantità di dati digitali donati da volontari di studi di ricerca utilizzando app per smartphone e dispositivi indossabili, con l’obiettivo finale di sviluppare un dispositivo digitale in grado di rilevare queste "impronte digitali" in persone che non presentano ancora sintomi evidenti di demenza. 

Il nuovo test del sangue per la diagnosi precoce dell’Alzheimer del team di scienziati dell'Institute of Psychiatry, Psychology & Neuroscience (IoPPN) presso il King's College di Londra, è stato per esempio sperimentato su pazienti con Mild Cognitive Impairment (Mci), una condizione associata a lievi peggioramenti della memoria e della capacità cognitiva, che tuttavia non si traduce sempre in Alzheimer.

Ma soprattutto, il vero problema è che cosa farne di questa informazione, dal momento che non esiste un farmaco che al momento sia in grado di bloccare la progressione della malattia anche alle prime fasi. Semmai alcuni farmaci stanno mostrando dei risultati circa il rallentamento dei sintomi.

Si può prevenire l’Alzheimer?

Non è facile dare una risposta perché di fatto la ricerca scientifica non ha chiarito l’origine specifica della malattia. Quello che possiamo dire è che esistono dei fattori correlati alla sua insorgenza, e quindi possiamo supporre che ridurre la prevalenza di questi fattori di rischio abbia dei riscontri positivi sul rischio complessivo. 

Questi fattori noti (alcuni correlati fra di loro) sono:

  • Obesità;
  • Diabete;
  • Fumo;
  • Ipertensione;
  • Sedentarietà;
  • Avere un basso livello di istruzione che si accompagna spesso a una minore abitudine a mantenere attiva la mente con la lettura, i dibattiti, i giochi matematici;
  • Diagnosi di depressione.

Ci sono quindi dei comportamenti che fanno bene al nostro cervello e che lo mantengono in allenamento:

  • Mantenere uno stile di vita sano: fare attività fisica, anche solo camminate o cyclette, poiché che aiuta anche a ossigenare le cellule nervose;
  • Mantenersi mentalmente attivi sia da soli che con gli altri. Da soli leggendo libri o riviste, facendo un cruciverba, giocando a carte o a scacchi, andando a una mostra o un concerto per esempio;
  • Non isolarsi ma stare con gli altri. I rapporti sociali quotidiani hanno plurimi benefici sullo stato di salute fisico ma anche mentale della persona;
  • Evitare il fumo e l’abuso di alcol;
  • Tenere sotto controllo il peso, la pressione sanguigna e la glicemia con alimentazione sana (come la dieta mediterranea).

La cura: come rallentare i sintomi dell'Alzheimer

Purtroppo a oggi la malattia di Alzheimer non è guaribile, ma esistono farmaci che possono migliorare per qualche tempo i sintomi cognitivi. Si tratta degli inibitori della acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge il neurotrasmettitore acetilcolina e aiuta nelle prime fasi della malattia, e della memantina. La difficoltà nel trovare una cura è dovuta essenzialmente al fatto che non si conoscono ancora perfettamente le dinamiche che portano all’originarsi della malattia e al suo progredire.

La ricerca scientifica sta comunque da decenni studiando altre molecole in grado di rallentare i sintomi della malattia.

Alcune speranze erano riposte negli anticorpi monoclonali, che tuttavia a oggi (settembre 2023) hanno dato piccoli risultati, ma al momento non rivoluzionari. Gli anticorpi monoclonali hanno la caratteristica di avere diversi  tipi di recettori che riconoscono gli antigeni sulla superficie dei patogeni.Gli anticorpi monoclonali studiati per la malattia di Alzheimer sono diretti contro la proteina beta-amiloide, una delle principali protagoniste della patogenesi di questa forma di demenza. Sono attualmente in fase di studio diversi anticorpi monoclonali ma al momento non ci sono risultati definitivi. In ogni caso il punto è che la proteina beta-amiloide è uno dei fattori coinvolti nella complessa eziologia della malattia, e quindi non è detto che un farmaco che agisca contro di essa sia sufficiente a contrastare la malattia in maniera significativa. Sarà necessario affiancare questa ricerca con studi su altri elementi coinvolti nella malattia come gli oligonucleotidi antisenso e la proteina Tau.

Per rimanere aggiornati sugli studi in corso e sulle prospettive di trattamento della malattia di Alzheimer consigliamo di monitorare il sito web dell’Osservatorio Malattie Rare (OMAR) https://www.osservatoriomalattierare.it/alzheimer.

La riabilitazione per l'Alzheimer funziona?

Un altro metodo efficace per contrastare lo sviluppo della malattia è costituito dal "training cognitivo" multidimensionale che si avvale di tecniche mnemoniche, di concentrazione e di orientamento, oltre a strategie per ricordare eventi e appuntamenti. 
Le terapie di riabilitazione sono di diverso tipo:
  • Terapia occupazionale, per rendere il malato il più autonomo possibile nelle sue attività quotidiane, come lavarsi, nutrirsi;
  • Stimolazione cognitiva. Alcuni esempi: la creazione di brevi racconti, che aiutano a fissare i ricordi e migliorano la padronanza del linguaggio, i passatempi più comuni come le parole incrociate, le carte o il sudoku;
  • Rot o Reality Orientation Therapy, per supportare l’orientamento spaziale del paziente;
  • Validation Therapy, un insieme di tecniche per comunicare empaticamente con la persona;
  • Pet Therapy.
Per le famiglie è una gestione difficile, ma non si è soli. Ci sono diverse associazioni, anche con distaccamenti locali. Segnaliamo per esempio la Federazione Alzheimer che supporta i caregivers: www.alzheimer.it

Cosa non fare con i malati di Alzheimer

Spesso le persone che non sono abituate ad avere a che fare con persone che soffrono di demenza non sanno come comportarsi, per evitare di agitare la persona, di farla arrabbiare. Alcuni consigli utili degli esperti sono:

  • Non contraddire con insistenza: un sintomo di Alzheimer avanzato è la presenza di allucinazioni e deliri contro i quali l’argomentazione razionale non ha alcun impatto;
  • Non alzare la voce;
  • Non ostinarsi a voler comprendere i passaggi logici di ogni discorso;
  • Non sottolineare eventuali errori e dimenticanze alla persona;
  • Non offendersi se non ci si comprende;
  • Non imporre alla persona delle modifiche importanti e improvvise riguardo alle sue abitudini.

La questione del caffè come presunto protettore contro l’Alzheimer

Si fa un gran parlare del caffè, e in particolare della caffeina, come una sostanza che svolgerebbe un ruolo protettivo contro la malattia di Alzheimer. Facciamo chiarezza: uno studio pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry ha concluso che il caffè espresso mitigherebbe l'aggregazione e la condensazione della proteina Tau del cervello, associata all'Alzheimer. Diverse ricerche precedenti, infatti, hanno già suggerito come il caffè, e in particolare la caffeina, possa avere alcuni benefici contro alcune malattie neurodegenerative, prevenendo l'aggregazione delle proteina Tau nel cervello e riducendo così i sintomi della malattia. I ricercatori  hanno unito alcune sostanze presenti nel caffè espresso (caffeina, trigonellina, genisteina e teobromina) insieme alla proteina Tau per 40 ore, osservando che all’aumentare della concentrazione queste sostanze aggregati di Tau, correlati con l’insorgenza della malattia si erano ridotti.

Chiaramente questa osservazione è ben lontana dall’essere una scoperta scientifica nella prevenzione dell’Alzheimer. Quindi: non vuol dire che bere tanti caffè ci protegge dalla malattia. Questo perché come si diceva l’Alzheimer è una patologia complessa e sappiamo che sono diversi i meccanismi che entrano in gioco, non solo la proteina Tau.

 
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Domande e risposte

Quanto si vive con il morbo di Alzheimer?

Dipende da diversi aspetti. Le statistiche parlano di una media di 10 anni, ma ogni situazione è diversa, a seconda della gravità della malattia, della riabilitazione che si mette in campo. Alcuni pazienti vivono anche vent’anni.

Quali sono le cause che provocano l'Alzheimer?

Solo nell’1% dei pazienti la malattia ha un’origine genetica. Nel resto dei casi l’insorgenza è sporadica. Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l'alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che, porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante, non ci sono metodi di prevenzione mirati.

Cosa succede nel cervello di un malato di Alzheimer?

Dal punto di vista morfologico, nella Malattia di Alzheimer il cervello è ridotto di peso e volume per una diffusa atrofia del tessuto cerebrale. Le alterazioni anatomo-patologiche caratteristiche sono:

  • "Placche senili", aggregati di amiloide nello spazio extra-cellulare;
  • "Degenerazioni neurofibrillari", depositi proteici all’interno della cellula nervosa;
  • "Angiopatia amiloidea", danno vascolare indotto dall’amiloide.

Quanti tipi di Alzheimer ci sono?

L’Alzheimer non è un’unica malattia, ma non sappiamo moltissimo dal punto di vista morfologico. Un articolo apparso nel 2017 su Nature ha individuato una variabilità nelle caratteristiche degli ammassi della proteina beta-amiloide, che si traduce in diversi tipi di malattia: forma tipica, atrofia corticale posteriore e rapida progressiva. 

Quali sono i primi segnali di Alzheimer?

Come tutte le demenze, si caratterizza per una perdita progressiva della memoria associata a un disturbo cognitivo come la perdita del linguaggio, delle capacità esecutive e del pensiero critico o astratto.  I primi sintomi spia riguardano la perdita di memoria (amnesia), poi c’è l’ Afasia, l’alterazione nella capacità di parlare o capire, sia sostituendo una parola con un’altra o senza trovare il legame fra un termi e un altro. Un altro sintomo è l’Agnosia, cioè la perdita della capacità di riconoscere gli oggetti e a che cosa servono. Accanto a questi sintomi, i malati presentano Cambiamenti di personalità e disturbi del comportamento, fra cui l'incontinenza, l'aggressività, e l'insonnia.

Quali sono le tre fasi dell Alzheimer?

La malattia ha decorso lento e progressivo, e possiamo individuare tre fasi:

  1. nella fase iniziale il sintomo principale è il deficit della memoria a breve e medio termine, generalmente minimizzato dallo stesso paziente e dai parenti, che spesso si associa a una reazione depressiva secondaria alla consapevolezza della perdita di memoria;
  2. nella seconda fase il deficit della memoria è sempre più marcato e progressivamente si accompagna a disturbi dell’attenzione, della capacità critica e di giudizio, del linguaggio e della difficoltà a partecipare ad attività lavorative e familiari. Non sono rari disturbi del pensiero di tipo persecutorio o paranoideo. La capacità di svolgere attività quotidiane risulta compromessa e il paziente necessita di assistenza parziale;
  3. nella terza fase il deficit della memoria interessa anche la componente a lungo termine e si associa a grave compromissione di tutte le componenti cognitive sopra descritte. I disturbi del pensiero possono accentuarsi ed eventualmente associarsi ad allucinazioni e deliri. In questa fase il paziente è completamente non-autosufficiente e necessita, quindi, di un’assistenza completa. Progressivamente possono comparire difficoltà a deglutire, difficoltà nei movimenti, perdita di peso e di appetito e maggiore sensibilità alle infezioni.

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