Tumori e alimentazione consigliata: intervista all'Istituto Candiolo

Tumori e alimentazione consigliata: intervista all'Istituto Candiolo

Intervista a Marilena Rinaldi, Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione presso l’IRCSS Istituto Candiolo 

 

Il legame fra ciò che arriva sulle nostre tavole e la nostra capacità di mantenerci nel miglior stato possibile di salute è un tema ampiamente esplorato, anche in passato. Oggi però abbiamo a disposizione strumenti come mai prima d’ora per indagare gli effetti farmacologici di ciò che mangiamo e individuare quali sono gli alimenti migliori in base a età, sesso e altri parametri.

Da buoni italiani, poi, non ci accontentiamo di mangiare, ma vogliamo mangiare bene: con gusto e soddisfazione. Amiamo i sapori decisi e, qualche volta, ci lasciamo prendere la mano…

Abbiamo intervistato Marilena Rinaldi, Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione presso l’IRCSS Istituto Candiolo, su come sia possibile controllare il peso senza rinunciare al gusto e su come si possa fare prevenzione oncologica anche e soprattutto a tavola.

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Immagine che rappresenta Marilena Rinaldi, Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione presso l’Istituto Candiolo IRCCS

Dottoressa Rinaldi, quali sono gli alimenti e le abitudini alimentari più correlati al rischio di tumori?

Mi fa piacere che, nella sua domanda, si parli non solo di alimenti ma anche di abitudini alimentari, perché effettivamente è l’abitudine a fare la differenza. Si tende a pensare che la dieta sia uno schema che si deve seguire per un determinato periodo, e poi? Scopriamo che è la quotidianità a cambiare le cose. Acquisire comportamenti sani, corretti dal punto di vista alimentare è la parte più difficile. Le restrizioni possono essere gestite per qualche giorno, per settimane o anche mesi, ma arriva il momento in cui, un po’ perché si è creata l’occasione, un po’ per la gola, un po’ per la stanchezza vengono abbandonate. 

Nel quadro della prevenzione oncologica, gli alimenti più a rischio sono certamente quelli processati. Cosa sono gli alimenti processati? Sono alimenti, come gli affettati e gli inscatolati, che hanno subito più lavorazioni. Consideriamo che arrivano sulle nostre tavole cibi che allo stato naturale si manterrebbero per pochi giorni e che, grazie ai processi di lavorazione che subiscono, si conservano per lunghi periodi di tempo. Pensi, ad esempio, alla carne in scatola, che dura anni. 

Dobbiamo, però, evitare le demonizzazioni e tenere presente il fatto che, quando si parla di alimentazione, è un po’ la quantità a fare il veleno. Mi spiego: se bevo un bicchiere di vino al giorno e sto bene, questo non mi crea problemi di salute, se ne bevo 5 me li crea. Mi capita di notare che le persone sono stupite dalle raccomandazioni a dosare l’olio d’oliva extravergine: eppure, anche nel caso di un prodotto di qualità, occorre tenere presente la quantità con cui viene assunto. Lo stesso ragionamento vale per la pizza, che di per sé non rappresenta una minaccia per la salute: il suo consumo frequente può, invece, fare male. 

Bisogna anche fare anche attenzione agli alimenti che tendiamo a introdurre quotidianamente nella nostra dieta, con il rischio di abusarne, come il formaggio. Dobbiamo tenere presente che il formaggio è estremamente ricco di grassi: non dimentichiamo che per produrne un chilo possono servire anche 30, 40 litri di latte. È credenza diffusa che i formaggi freschi siano magri. Le faccio l’esempio della ricotta. Tecnicamente, in realtà, non è neppure un formaggio, essendo prodotta a partire dal siero, che è la componente più magra del latte: è quindi il “formaggio” più magro che esiste, eppure non è magra, soprattutto se paragonata alla carne o al pesce. 

Quindi, facciamo attenzione al tipo di alimenti che mettiamo in tavola, ma anche e soprattutto alla quantità con cui li assumiamo.


Negli ultimi anni si è fatto strada il concetto di nutrizione funzionale, che vede gli alimenti non solo nella loro accezione strettamente nutritiva ma anche come determinanti dello stato di salute di una persona: ciò riporta l’attenzione sulla necessità di un approccio personalizzato alla dieta. Cosa ne pensa?

Personalmente, io sono una fautrice della dieta personalizzata, sempre, perché la dieta rappresenta un intervento terapeutico estremamente difficile. Vede, io faccio anche l'internista. Se viene nel mio studio una persona che ha la pressione alta, prescrivo un farmaco, poi monitoro l’efficacia e, se non funziona, glielo sostituisco con un altro. Posso essere ragionevolmente sicura di riuscire, con una terapia o un’altra, a riportare in equilibrio la sua pressione arteriosa. Ma se visito una persona che soffre di un problema di dislipidemia (cioè ha livelli superiori alla norma di trigliceridi o colesterolo nel sangue) oppure di una complicanza del diabete, non esiste un prodotto che, assunto, da solo e senza l’adozione di opportuni comportamenti, possa funzionare. Ciò che il paziente dislipidemico o diabetico deve assolutamente fare è cambiare abitudini di vita: ma questa è la parte più difficile del trattamento. Non si tratta di sottostare a determinate restrizioni per un certo numero di giorni, ma periodi molto lunghi, talvolta per sempre. Ecco perché la dieta deve essere estremamente personalizzata: è come un abito che deve essere cucito su misura. È estremamente importante l'approccio col paziente: occorre cercare di assecondare il più possibile le sue esigenze, in maniera da costruire un piano alimentare che possa sostenere nel tempo. Contestualmente, bisogna gradualmente modificare le sue abitudini scorrette: meno fatica fa il paziente a seguire la dieta e più è facile che la mantenga. 

Guardi, dieta vuol dire molto più dell’elenco dei cibi che una persona mangia: vuol dire stili di vita, comportamenti congrui alla salute, attività fisica e così via. Quindi, ciò che dobbiamo fare è puntare in maniera personalizzata, sulle abitudini positive già presenti cercando di limare il più possibile quelle negative, stravolgendole il meno possibile. Le faccio un esempio pratico. Se un paziente viene da me e mi racconta che per tutta la vita ha fatto colazione con latte e biscotti, molto difficilmente riuscirò a modificare le sue abitudini in tempi brevi al punto tale da convincerlo a mangiare ogni mattina pane tostato con poco olio oppure con una crema di ceci, che sarebbero alimenti più adeguati. 

Con riferimento alla nutrizione funzionale, tuttavia, bisogna fare attenzione a non confondere alimentazione e terapia. Molti sono convinti che mangiando in un certo modo si possa guarire da determinate malattie, ma non è proprio così: l’alimentazione è fondamentale, aiuta, previene, ma per molti disturbi è necessario anche un intervento farmacologico o di altro tipo. 

 

Quali sono gli alimenti e i metodi di preparazione e cottura raccomandati nell’ottica della prevenzione oncologica?

Sicuramente, è fondamentale che l'alimentazione sia variegata e gradevole da un punto di vista edonistico, che dia soddisfazione insomma. Questo impone di individuare metodi di cottura che siano sani e nello stesso tempo anche funzionali alla preparazione di pietanze che soddisfino il palato. In termini generali, non esistono metodi sbagliati in assoluto. Per esempio, la tanto demonizzata frittura, in realtà non è così nociva se ben eseguita e se vi si ricorre di tanto in tanto. 

Bisogna fare attenzione alle grigliate, perché la patina bruciacchiata che si forma sulla superficie della carne contiene sostanze cancerogene.

In linea di massima, meno manipoliamo gli alimenti e meglio è. Quindi in assoluto la cosa migliore è mangiare crudi tutti quegli alimenti che si prestano. Per quelli che richiedono cottura, è necessario usare la fantasia: questa è una cosa che ripeto spesso ai miei pazienti. Una fettina di pollo cotta in padella e servita con l'insalata verde può andare bene un giorno, qualche giorno … e poi diventa una noia. Ma se la stessa fettina la si mette in padella con una dadolata di verdure colorate, la si condisce con spezie a piacere e la si serve a fine cottura con un cucchiaio d'olio diventa un piatto sano ma anche gradevole.

Cerchiamo quindi di non esagerare con i fritti e la piastra, ma senza dover per forza escludere a priori determinati metodi di cottura.


I dati più recenti indicano un aumento dei casi di tumore ad esordio precoce: gli studi finora realizzati sembrano mostrare una correlazione con l’alimentazione e gli stili di vita. Che ruolo potrebbe avere l’alcol in questo fenomeno?

Guardi, io abito a Monforte e la mia famiglia produce vino: quindi, sono un po’ di parte su questi temi, pur essendo io astemia. A parte gli scherzi, l’alcol è un “alimento” (chiamiamolo così) che ci accompagna da sempre, dalla notte dei tempi, e per il quale, per tornare al concetto già anticipato, è proprio la quantità che fa il veleno. Bisogna fare attenzione a che tipo di bevanda alcolica si beve (facendo attenzione che sia di buona qualità) e a quanta se ne beve. 

Il vino rosso è particolarmente ricco di resveratrolo, che è una sostanza con azione antiossidante, ma allo stesso modo se lo bevo devo fare attenzione alla quantità e alla frequenza. Un bicchiere o due di vino la domenica non comportano problemi di salute in un soggetto sano. Gli uomini abituati a bere un bicchiere di vino tutti i giorni non incontrano problemi. Per le donne, i limiti quantitativi sono inferiori, perché la nostra capacità di metabolizzare l’etanolo è inferiore rispetto a quella degli uomini. Diverso il discorso per le persone con dislipidemia, ad esempio con i livelli di trigliceridi nel sangue più alti della norma, con steatosi epatica o in terapia con determinati farmaci (antidepressivi, chemioterapici), che non dovrebbero bere alcol. 

Oggi mi capita di vedere tanti ragazzi in studio, per motivi vari, e osservo che è diffusa l’abitudine di abusare dell’alcol. Non è raro parlare con ragazzini che raccontano di bere due birre medie in una sera, cioè un litro di birra, o 2-3 spritz per aperitivo. Quantità assolutamente deleterie per la loro salute. 

 

I pazienti oncologici possono andare incontro a problemi digestivi e di assorbimento, infiammazioni della mucosa orale e altre complicanze legate al tumore e alle terapie: come si possono prevenire gli stati di malnutrizione?

Su questo punto si apre un mondo, perché ogni paziente rappresenta una realtà unica. La prevenzione della malnutrizione in oncologia dipende dal tipo di malattia diagnosticata, dalla terapia istituita e da molti altri fattori.

La malnutrizione può anche rappresentare il primo campanello d'allarme della presenza di una malattia: non è raro che il paziente si rivolga al medico perché ha perso peso, non ha più appetito, oppure ha fame ma non riesce a mangiare perché ha dolore e bruciore alla bocca. Questi sintomi possono essere dovuti ad un tumore del cavo orale, che all’inizio passa inosservato o procura solo qualche lieve fastidio, una mucosite ad esempio, e poi si manifesta in maniera evidente. Ricordo un paziente che aveva appetito ma che non capiva perché, mangiando, il cibo gli andasse sempre di traverso: le indagini hanno messo in evidenza la presenza di un tumore dell’apparato digerente, responsabile della disfagia

Per quanto riguarda, invece, la prevenzione degli stati di malnutrizione che possono insorgere durante la terapia, l’optimum è la valutazione precoce del paziente, da eseguirsi appena la diagnosi viene confermata e prima della terapia: in questo modo, è possibile fornire al paziente le opportune raccomandazioni, in merito all’alimentazione e agli altri aspetti coinvolti, al fine di prevenire possibili conseguenze negative che impattano sulla sua capacità di alimentarsi. 

Molto spesso la malnutrizione e la patologia oncologica vanno di pari passo e non è sempre detto che la prima sia in difetto. Vediamo, a questo proposito, tante donne affette da tumore alla mammella che aumentano di peso in maniera significativa a causa di una terapia che provoca nausea. Per contrastare la nausea, queste donne tendono a mangiucchiare tutta la giornata. Ma così facendo, accumulano tessuto adiposo e noi sappiamo che la percentuale di tessuto adiposo in certi tipi di tumori (tipo, appunto, i tumori alla mammella) deve essere tenuta bassa, perché favorisce la sintesi di estrogeni, i quali hanno un’interazione negativa con il tumore. 

Spessissimo, invece, la malnutrizione è in difetto, perché magari il paziente ha nausea e non riesce a mangiare, oppure mangerebbe ma ha dolore e bruciore a causa della radioterapia, o ancora un problema meccanico gli impedisce di deglutire correttamente. In tutti questi casi, si interviene con terapie specifiche e consigli su come e cosa mangiare per dare sollievo ai sintomi e prevenire la malnutrizione. In qualche caso dobbiamo allestire un supporto artificiale, attraverso una supplementazione che contrasti le carenze specifiche del paziente oppure con la nutrizione artificiale, enterale o parentale, praticata con l’uso di un sondino, con la peg oppure con la somministrazione, attraverso un accesso venoso centrale, di apposite sacche. Fra gli integratori più impiegati a supporto del paziente a rischio malnutrizione, soprattutto se sottoposti a radioterapia, cito la glutammina, che contribuisce a migliorare le conseguenze delle terapie oncologiche.

Poiché i tumori sono correlati in generale ad un rischio significativo di problemi digestivi nel lungo periodo, tutti i pazienti oncologici dovrebbero essere monitorati da questi punti di vista. Oggi nella stragrande maggioranza delle strutture sono attivi protocolli che prevedono valutazioni rapide da parte dell'infermiere o del medico, finalizzate a individuare i soggetti che hanno bisogno di una visita presso il Dietologo o il Dietista.

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